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Eran Efrati “La Storia bussa di nuovo alla porta: in Palestina”

Creato il 19 agosto 2014 da Maria Carla Canta @mcc43_

mcc43

Eran Efrati “Mi chiamo Eran Efrati, ho 28 anni sono nato a Gerusalemme da una catena di sette generazioni gerosolimitane. La mia famiglia é molto sionista e lo stesso si aspettava da me perché, si dice, se non sei sionista sei antisemita. La mia è anche una famiglia di militari: mio fratello é paracadutista, mia madre ufficiale dell’esercito, mio padre è il capo della polizia di Gerusalemme. Io tutta la vita ho voluto essere dalla parte giusta, invece a un certo punto mi sono accorto che stavo da quella sbagliata”

Così si presenta Eran, ex soldato dell’esercito israeliano diventato scrittore, ricercatore, simpatizzante anarchico e attivista per i Diritti dei Palestinesi nei Territori Occupati. Negli Stati Uniti sta conducendo un ciclo di conferenze per far conoscere gli aspetti dell’ Occupazione che l’opinione pubblica ignora. Com’è riuscito a svoltare dalla corsia mentale in cui l’avevano instradato la nascita, la famiglia e lo standard formativo predisposto dallo stato lo racconta con vivezza nella conferenza del marzo scorso registrata a Denver, nel video inserito in fondo all’articolo. Di recente, probabilmente a causa dell’Operazione Protective Edge è tornato in patria, ha fatto dei reportage da Gaza ed è stato arrestato e a lungo interrogato [suo post  in FB].

Eran è un grande comunicatore, si esprime in un inglese senza oscuri termini slang, è dotato di una pronuncia chiara,  non è arduo intendere le sue parole. Difficile è, al contrario, comprendere perché in Israele accade quello che egli racconta e che é la routine del soldato IDF, quell’esercito israeliano che si autodefinisce “il più morale del mondo”. In questo blog mi ero chiesta in due articoli Come addestra Israele i soldati  e i poliziotti per renderli così?. Nella conferenza Eran dà risposta alla domanda  e si scopre che, ormai, non riguarda più soltanto Israele ma si sta estendendo globalmente, attraverso la collaborazione che Israele intrattiene con vari paesi per l’addestramento degli agenti preposti all’ordine pubblico.
Quello che segue non è trascrizione letterale completa della sua conferenza di Detroit: é un riassunto inframmezzato dal virgolettato di alcuni passi più significativi.

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Già nell’infanzia Eran si reso conto di qualcosa terribilmente sbagliato nel mondo. Lo ha compreso perché in casa viveva la nonna, sopravvissuta di Auschwitz; l’ha capito da come reagiva alle situazioni, dalle sue paure e paranoie, soprattutto dalle sue grida nel sonno che lo svegliavano durante la notte. In quei frangenti la madre spiegava, a lui e al fratello, che cosa era stato l’Olocausto e che erano i ricordi del lager a causare gli incubi della nonna. Quelle grida diventano uno dei più vividi ricordi dell’infanzia, gli danno la sensazione di un ché d’incombente e terribile che instilla la decisione di farsi trovare, dovesse ancora accadere, dalla parte giusta.

Il contagio del clima emotivo ambientale, l’esempio dei genitori, il viaggio che ogni ragazzo fa con la scuola in Germania per visitare i lager, il continuo monito a trovarsi pronti per impedire la possibilità di un nuovo sterminio preparano Eran ad affrontare con convinzione i mesi del servizio militare. Scopre essere una vera preparazione a una vera guerra nei confronti di un nemico che avrebbe potuto essere l’Egitto, la Siria o l’Iran, sebbene da quarant’anni ormai Israele non fosse più minacciata da nessuno.
Durante i sette mesi del corso ogni giorno il soldato IDF impara e si prepara ad affrontare un nemico potente, un avversario con mitragliatrici, aerei, carri armati, missili. Gli viene raccontato della pericolosità di Hamas e di Hezbollah, dei gruppi terroristi. Mai una volta gli vengono nominati i Palestinesi in quanto popolo che vive nella medesima terra.

Al termine della formazione, Eran viene distaccato a presidiare un villaggio dei Territori occupati: Hebron.(L’allucinante situazione della città è raccontata nel post La vergogna dell’Occupazione israeliana: Hebron – Al Khalil ) .

Come ogni altro soldato esegue gli ordini: controlla documenti, irrompe nelle case per compiere perquisizioni, grida e spaventa, demolisce abitazioni di persone “sospette”, pattuglia le strade per far rispettare il coprifuoco. Si comporta, come i suoi commilitoni, secondo quello che gli hanno insegnato: affrontare il nemico come se si fosse in guerra. Fino al momento fatidico in cui la sua automatica obbedienza di soldato si incrina.

Nel cuore della notte, un commilitone scuote Eran dal sonno. E’ presto per la fine del turno, perché la pattuglia è rientrata prima del tempo? Spiegazione scioccante … forse … abbiamo ucciso un bambino. Incredulità. Confusione  … domani verificheremo se è vero…
Il mattino seguente entrambi sono di turno per controllare il rispetto del coprifuoco; il tracciato assegnato porta i due proprio alla casa dove abitava “quel” bambino. La famiglia è sulla porta, vuole uscire per un funerale…  Quindi era vero, lì i genitori si apprestano a portare la piccola salma al cimitero. I soldati: Curfew.. coprifuoco! Uscire di casa è vietato, in città c’è una folla di Ebrei venuti in pellegrinaggio alla tomba di Abramo e non devono incrociare Palestinesi. 
Il padre disperato si precipita fuori gridando, si avventa contro un soldato, lo spinge… No! Questo un Palestinese non se lo deve permettere… é aggressione, c’è l’arresto, si tratti di un ottuagenario o di un bambino.

Mentre caricano l’uomo sulla jeep, con gli occhi bendati e le mani legate dietro la schiena, anche la moglie si precipita in strada gridando. Grida parole in arabo che Eran non conosce, ma comprende egualmente perché le grida di quella madre sono identiche alle grida con cui la nonna scampata all’Olocausto riempiva la casa durante i suoi incubi.

“La Storia sta di nuovo bussando alla porta, lo fa qui, in Palestina, e io mi trovo dalla parte sbagliata”

Il soldato-Efrati continua il suo servizio militare obbedendo agli ordini, ma Eran se n’è allontanato. Nulla riesce a ricomporre l’unità delle emozioni personali, nemmeno i lunghi discorsi con il padre.

“Io avevo arrestato, ero entrato da padrone nelle case, sparato proiettili sui manifestanti … non potevo più essere la stessa persona in servizio e in licenza. Non mi riconoscevo più. Mia madre diceva che era diventato cattivo, la mia ragazza mi aveva lasciato, ero sull’orlo di un crollo mentale”

In preda alla confusione, cerca un vecchio amico, un coetaneo non allineato alla corrente dell’opinione generale. Sa che con lui si può aprire senza riserve e si sfoga come un fiume in piena. A un certo puntol’amico lo interrompe e gli fa una proposta, lì per lì inaccettabile: unirsi a una marcia di protesta organizzata dal gruppo degli “Anarchici contro il Muro”. Veemente rifiuto. L’amico incalza: “Che cosa hai da perdere?”

Israeli Wall in Belin

Il MURO di Israele attraversa Belin come altri paesi tagliando la casa dal campo, separando famiglie

E mi sono trovato in viaggio per Tel Aviv. Ho messo nel sacco la divisa, mi sono unito agli “Anarchici contro il Muro” e sono partito con loro per Belin, un paese vicino a Ramallah  che è diviso in due dal Muro, dove ogni venerdì, là come altrove,si ripetono le marce della protesta non violenta.
Non mi ero mai trovato in Palestina circondato da Palestinesi, senza la mia uniforme, il mio fucile, tutto il mio armamentario da guerra. Intorno a me tutti parlavano arabo e io di arabo conoscevo solo due frasi. “ A Terra!” e “Dammi i documenti” che , ovviamente, non erano le frasi che potevo dire in quella occasione.
Comincia la marcia. Un ragazzo tira un sasso contro il Muro. In un lampo siamo circondati da soldati … e sparano, senza preavviso. Sparano proiettili di gomma che però non sono di gomma,sono d’ acciaio rivestito di gomma,e candelotti lacrimogeni diretti contro i nostri corpi. Nessuno mi aveva mai sparato prima d’allora. Mi sono spaventato. Ho cominciato a gridare… basta… stop… non sparate sono un soldato israeliano.Quelli intorno a me hanno creduto che lo facessi apposta e anche loro si son messi ad agitare le braccia e gridare:sono un soldato israeliano non sparate…
L’effetto dei lacrimogeni è terribile, il gas ti prende alla gola, ti senti soffocare. Dovevamo scappare ma io non ce la facevo. Un Palestinese è tornato indietro, mi ha preso sottobraccio e mi ha portato a casa sua, mi ha dato della cipolla, un rimedio casalingo contro gli effetti del gas.

Non mi sembra fuori luogo, a questo punto, la voce di un’italiana che vive nei Territori e partecipa alle marce del venerdì. Arriviamo a Beit Furik, il tempo di metterci le kheffie ed andare lì davanti per capire cosa succede.. Mentre ci avviciniamo sparano alle gambe di due shebab, proiettili veri. Arrivati lì sulla strada, siamo fianco a fianco io e Mohammed. Ci fermiamo per capire cosa fare e per notare che ci sono sì 3 jeep davanti a noi, ma ci sono 3 cecchini sulla collina. Da quando siamo arrivati sono passati circa 5 minuti. Io e Mohammed, fermi, stiamo parlando. Grave errore stare fermi quando ci sono dei cecchini. Ecco, oggi è stata la volta che non ho sentito il fischio del proiettile, era per noi…Pochi centimetri dalla mia gamba alla sua, beccano la sua. Inizio ad urlare, ma stiamo già portando Mohammed in un’auto perché l’ambulanza in quel momento non c’è…”.
Per la cronaca: a colpire Mohammed è stato un dum dum, quel tipo di proiettile che si espande all’interno del corpo preso a bersaglio…

Il giorno della marcia di Belin Eran giura a se stesso che non indosserà mai più la divisa, ma il lunedì … è di nuovo a Hebron. Non sanno fare altro, dice riferendosi in generale ai soldati, sono stati educati a essere solo quello. Però il lavoro interiore prosegue. Entra in contatto con Medici senza Frontiere che assiste la gente dei Territori.

“Nei Territori Occupati il malato che ha bisogno di andare all’ospedale deve avere un permesso per muoversi da un paese all’altro. Sì, il permesso viene dato ma non a lui: a un avvocato oppure  a un dottore di Medici Senza Frontiere. Poi succede che quell’avvocato o quel dottore vengono arrestati, così che non possono consegnare il permesso al palestinese malato. Ma tutto questo avviene secondo la legge, quindi l’esercito è sempre dalla parte della ragione”

Il modo di essere soldato a Hebron, continua Eran, intanto era cambiato. La madre in quel periodo era malata di cancro, e questo lo ha spinto a farsi staffetta e portare i permessi di spostamento alle donne malate dei Territori, a parlare con le persone, a conoscere le cose dal loro punto di vista. Quando lascia il servizio militare immediatamente si unisce a Breaking the Silence, l’organizzazione fondata da un gruppo di veterani dell’esercito che si è dato la mission far conoscere la realtà dell’Occupazione che gli israeliani stessi ignorano.

Nel periodo dell’Operazione Piombo Fuso (2008/2009) Eran va sul confine di Gaza, intervista i soldati che ne escono, scopre che, a differenza delle versioni ufficiali che li descrivono entusiasti, sono completamente confusi. Non avevano quasi trovato “nemici”, il bombardamento aereo che aveva preceduto le truppe nella Striscia aveva fatto piazza pulita (cifre ufficiali variano secondo le fonti da 1166 a 1417 morti, 5000 feriti, 51.000 profughi). Pazientemente raccoglie decine e decine di testimonianze, decide di creare un libro e trovare una base editoriale per divulgare la ricerca.

Si rivolge a Haaretz, il contatto ascolta, vede, commenta “ Se tutto questo è vero è una storia da prima pagina. Faremo le verifiche, torna fra due settimane” . Scade il tempo, ne passa altro ancora, quando rivede il testo elaborato è pieno di buchi. “Abbiamo parlato con il portavoce dell’esercito che ci ha messo di fronte a una scelta: o prendete le notizie da noi o le prendete da Breaking the Silence, in questo caso però da noi non avrete più niente”. Siccome Haaretz, gli viene detto, non ha reporter nei Territori, per “sapere la verità” di quello che succede si fida delle informazioni dell’esercito. I tagli? Tutto normale: è la censura… Lo stupore di Eran nell’apprendere che nel suo paese ogni giornale, ogni canale televisivo, ogni blog è controllato dalla censura.

“Più vado addentro l’Occupazione, più trovo soldi. Israele produce i migliori lagrimogeni perché i soldati li lanciano, io li ho lanciati, sulla popolazione durante le manifestazioni nei Territori. Sono dei test, delle sperimentazioni. Usano dei soldati sotto copertura per far cominciare una rivolta e poterli sparare. Israele ha addestrato soldati e fornito armamenti alle peggiori dittature: Noriega, Pinochet, Ceausescu, Videla, così come oggi vende alla Cina….

Quella dei Territori non è un’ occupazione: é un laboratorio. Non c’entra la religione, non c’entra la Terra dei Padri: c’entra un mucchio di soldi.”

Nel corso degli ultimi due anni Eran ha approfondito i rapporti fra l’ esercito americano e quello israeliano. Si sa che perfino i Marines vanno ad addestrarsi in Israele ed è interessante conoscere come ciò avviene “2010 […] circa 200 Marines americani si sono uniti a un battaglione di soldati israeliani, nella notte hanno marciato attraverso il deserto del Negev, al culmine di tre settimane di esercitazioni congiunte. Come l’alba si avvicinava, si sono introdotti in un finto villaggio ricreato dai militari israeliani in modo uguale a un tipico borgo palestinese e l’hanno utilizzato per addestrarsi al combattimento.”

Anche per i Marines, dunque, il nemico assume un volto “palestinese”, si creano, con queste esercitazioni, sintonie intellettuali, legami di famigliarità e lealtà fra le forze armate dei due paesi, rafforzandone la potenza congiunta in vista di eventuali azioni contro un “nemico” comune. Solamente le forze armate collaborano? Certo che no!

“Mi sono trovato in  panne in un’autostrada del Maryland, ho chiamato la polizia, gli agenti sono arrivati, mi hanno preso bordo della loro auto; dopo un po’ uno mi chiede da dove venivo. Israele?! Ah… voi siete i migliori, voi sapete mantenere l’ordine, nessuno osa ribellarsi a voi.  Io ho cercato di moderargli l’entusiasmo, ma quello mi ha interrotto: sapeva quel che diceva perché era appena tornato da un corso di addestramento in Israele. Un’intuizione… gli chiedo se ha conosciuto Slomo Efrat, il capo della polizia di Gerusalemme. Non mi dà tempo di finire la frase, tira fuori il telefono, sfoglia le foto e me ne mostra una di lui insieme a mio padre.
Sono rimasto interdetto, mi sono catapultato fuori e ho chiamato mio padre, gli ho raccontato tutto e chiesto conferma.”Eran non essere ingenuo: loro hanno un ufficio qui e noi abbiamo un ufficio da loro. Lavoriamo insieme per proteggervi.”
La storia sta bussando di nuovo alla porta, oggi bussa in Palestina. È una crisi umanitaria. Bisogna che ci facciamo trovare dalla parte giusta. Ricordatevi che i poliziotti che vanno a addestrarsi in Israele e là come nemico hanno i Palestinesi,  quando tornano a casa per loro il nemico prenderanno voi. I governi sono globalmente organizzati per opprimere, noi dobbiamo organizzarci globalmente per resistere. E dobbiamo attaccarci ai loro profitti: boicottare i prodotti dei territori occupati. Il problema è far pensare la gente…”

police in FergusonIl monito di Eran “quando torneranno a casa il nemico sarete voi” era profetico, lo si constata chiaramente a cinque mesi di distanza con i fatti di Ferguson. Un poliziotto, che le autorità proteggono con l’anonimato, spara sei colpi all’afroamericano Michael Brown, caso non dissimile da quello di Trevor Martin. La gente scende in piazza, protesta, chiede giustizia. Viene imposto coprifuoco, arresti a raffica, giornalisti fermati e malmenati, lacrimogeni a volontà, i poliziotti sono in assetto di guerra, hanno le divise mimetiche e i fucili d’assalto, si spostano con i blindati, gli stessi in dotazione in Afghanistan. Agiscono le SWAT , i gruppi speciali della polizia addestrati alle tattiche militari, con granate accecanti, perfino l’ariete per eseguire i mandati di perquisizione, che di solito intervengono contro gli afro-americani e gli ispanici. Il governatore del Missouri ha chiamato anche i riservisti della Guardia Nazionale contro i manifestanti che gridano You gonna shoot us? Is this the Gaza Strip?”

La certezza che gli alti livelli della polizia locale degli Stati Uniti apprendono da Israele c’è. Law Enforcement Exchange Program: nel 2011 addestramento poliziotti del Texas e della Florida. Gli Italiani? I NOCS certamente, lo dichiara il Ministero degli Interni.
Le forze militari e di polizia di mezzo mondo applicano la tecnica di combattimento israeliana Krav Maga, che non mira al bersaglio grosso, ma alla carotide, ai genitali, agli occhi e può essere letale, da noi i NOC, i Carabinieri, la Polizia di stato, i Reparti antiterrorismo  (dalla legenda del video).
In questo modo gli Stati si attrezzano per mantenere l’ordine pubblico: equiparando i manifestanti al Nemico.

La conferenza di Eran Efrati a Detroit 

http://youtu.be/93hqlmrZKd8

Soldier and Refusenik, il sito di Eran Efrati e di Maya Wind: il soldato che ha aperto gli occhi e la ragazza che ha rifiuto l’arruolamento

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Intervista a Der Spiegel

di Eva Illouz,
docente di Sociologia alla Hebrew University di Gerusalemme

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