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Erving Goffman, l'etologia dell'interazione, l'etoanalisi, ordine sociale,

Creato il 02 febbraio 2012 da Bruno Corino @CorinoBruno

Erving Goffman, l'etologia dell'interazione, l'etoanalisi, ordine sociale,Ne’ L’approccio diGoffman all’interazione faccia a faccia (chi ha tempo e voglia puòfacilmente reperirlo in Internet), Adam Kendon scrive che Erving Goffmantentava di fare dell’ordine dell’interazione «un campo di studio a sé». SecondoKendon, ne’ Il comportamento pubblicoc’è il chiaro tentativo «di giustificare lo studio dell’interazione come unabranca della sociologia indipendente».Ne’ Il rituale dell’interazione,Goffman scrive: «Io parto dal presupposto che l’oggetto dello studio dell’interazionenon debba essere l’individuo, ma piuttosto le relazioni sintattiche esistentitra gli atti di persone che vengono a trovarsi a contatto diretto».Nelle Relazioni inpubblico Goffman nota che alcuni studiosi, in particolare alcuni linguistied etologi, sono impegnati in un’impresa parallela alla sua, e suggerisce dichiamare quest’area “Etologia dell’interazione”.Sino alla fine della sua carriera, scrive Kendon, Goffmandà l’impressione di tentare di stabilire qualcosa di completamente nuovo. Ne’ L’ordine sociale (1998), uno dei suoiultimi scritti, discute ancora del posto che l’ordine dell’interazione occupanella sociologia. Insomma, chi ha avuto modo di leggere alcuni miei scrittiispirati a questo tema, potrà trovare molteplici affinità tra il progetto diGoffman di tracciare un nuovo campo di analisi e la mia Etoanalisi.Tuttavia, al di là delle evidenti affinità, dovute anche esoprattutto al fatto di aver utilizzate delle comuni fonti di pensiero (Simmel, Mead, Bateson), rilevoche esistono delle divergenze fondamentali tra i due approcci all’interazione,che potrei sintetizzare in quattro o cinque punti:In primo luogo, noto un’assenza descrittiva degli ambitiinterazionali, vale a dire mancano la definizione dei limiti della relazioneche segnano il dominio entro il quale gli agenti possano interagire. Se nonvengono tracciati dei limiti all’interno di ciascuna relazione tali da esserericonoscibili dagli stessi agenti che vi partecipano, non è possibile neanche osservare(come osservatore esterno all’interazione) che tipo di interazione è in corsotra i due agenti, e quindi non è possibile neanche stabilire come una qualsiasirelazione possa nel tempo essere modificata sino a far emergere relazioninuove rispetto alle precedenti.In secondo luogo, noto un’assenza sulla modalità in cui il“potere” si distribuisce all’interno di ciascuna relazione. È assente unadifferenziazione del piano delle “aspettative sociali” e quello della specifica“modalità interattiva”: mentre nel primo ad “agire” è la pressione sociale,nella seconda, invece, è la “pressione del Sé”. Fin quando si interagisce sottola pressione sociale è possibile mantenere un certo distacco. Invece, quando siesercita una qualsiasi pressione “personale” il coinvolgimento del Sé diventainevitabile.Nell’etoanalisi, il modo in cui il potere si distribuisce all’internodi una relazione è un punto centrale quando si vogliono comprendere ledinamiche interazionali tra gli agenti. Non può essere un elemento trascurabilese si vuole effettivamente comprendere le dinamiche del comportamentointerattivo. Il tema del potere è legato all’affermazione del sé su quelloaltrui. A questo punto si comprende come anche lo stesso “Sé” non possa essereinteso come un’entità “mentalistica”, come un qualcosa di cui si ha coscienza alivello mentale o percettivo. Il Sé non può essere confuso con il concetto dicoscienza o con il grado di consapevolezza.Il Sé si definisce soltantoin rapporto all’altro, altrimenti rischia di essere confinato nell’ambito dellacoscienza. Se nell’interpretazione del Sé viene a mancare la relazione con l’altro,non vedo alcuna differenza tra il Sé e il concetto di autocoscienza. Perconcludere potrei scrivere che: la definizione di relazione, di ambitointerattivo, di potere, di affermazione del Sé, la definizione del Sé, nonchéil concetto di pressione esercitata sul Sé, ecc, sono i capisaldi che stannoalla base dell’Etoanalisi. Senza questa costellazione di concetti è impossibilearrivare a tracciare una disciplina che sia completamente autonoma edautosufficiente.

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