Magazine Diario personale

Esprimersi e comunicare.

Da Arthur

Mani

Leggevo l’altro giorno un bel post di Manu e tra un commento e l’altro, a proposito di comunicazione, le dicevo che secondo me non si può comunicare senza esprimersi e viceversa, mentre invece lei riteneva fossero due aspetti opposti. E a supporto della sua teoria, mi portava alcuni esempi: i blog senza commenti comunicano o si esprimono? Io credo entrambe le cose. I libri, i film? Quanto un regista vuole, alla fine, comunicare? E il messaggio che ci arriva, corrisponde alle intenzioni dell’autore?

Innanzitutto parto dal presupposto che in qualsiasi manifestazione l’espressione è sinonimo di comunicazione, nel senso che ci si esprime inizialmente per soddisfare un bisogno interiore, nel quotidiano un bambino che piange per esempio.

Nell’arte, l’intuizione creativa nasce da un’emozione forte e qualunque sia il mezzo per esprimerla, comunica comunque un messaggio, anche se non necessariamente corrispondente a quello che l’artista aveva pensato, sognato, sentito.

Mi spiego meglio. Ho già scritto qui sul blog di una mia passata esperienza pittorica, di quando, alla mia prima mostra personale, scappavo fuori dalla sala tutte le volte che qualcuno mi chiedeva cosa avessi voluto dire con i miei quadri.

Beh, c’era senz’altro un po’ di timidezza, lo ammetto, ma c’era anche la certezza che se avessi spiegato dettagliatamente le mie intenzioni per quelle forme, per quei colori, per tutto l’insieme, pur immedesimandosi, per lo spettatore sarebbe stato difficile se non impossibile comprendere la vera natura (l’emozione) delle mie opere. E quella natura è preferibile secondo me riuscire a coglierla in base alla propria esperienza emotiva e culturale, ognuno può vederci ciò che vuole senza condizionamenti, senza parole che, se guidate, non portano da nessuna parte, se non a sminuire il libero sentire.

Ci si esprime comunicando un bisogno e chi lo recepisce, se è in grado, ma lo è sempre chiunque e comunque, a sua volta esprime se stesso.

Avete mai visto al museo de l’Orangerie a Parigi le Ninfee di Monet? Non so per quanto tempo sono rimasto seduto a guardarle, quasi stregato da quelle immagini.

Questa è la storiella – vera purtroppo – che avevo scritto a Manu per spiegarle cosa intendessi per esprimersi e comunicare: C’era una volta un’artista, o perlomeno lui credeva di esserlo e chi gli stava accanto lo assecondava in questa sua convinzione. Un musicista per intenderci, che una volta raggiunti tutti gli obiettivi di studio possibili e immaginabili, aveva deciso che l’unica cosa che gl’importava era di suonare solo per se stesso. Gli ho obiettato che poteva essere un modo per non cercare un confronto e lui mi ha risposto che non gli interessava. Mi capita alle volte di sentirlo suonare e la sensazione che provo è che quel suono sia come un lamento, senza un’anima, tecnicamente perfetto, troppo forse, ma privo del tutto delle emozioni.

Mi sono detto che forse è giusto così, lui non suona per emozionare qualcuno, ma solo per se stesso e quel modo così viscerale e perfetto di procurare un suono, era il suo modo per emozionarsi.

Quindi il suo modo di esprimersi e nel farlo, comunicava delle sensazioni a chi lo ascoltava. Il messaggio che recepivo era solo in funzione di ciò che io sono, di come a mia volta esprimo e sento le emozioni, un modo del tutto personale, e proprio per questo diverso dal suo.

Ecco perché penso che l’uno non possa fare a meno dell’altro, perché ogni nostro gesto è comunicazione, senza il quale, è impossibile esprimersi.

Ps: questa foto l’avevo già pubblicata, ma credo che esprima benissimo il concetto: due braccia alzate in cerca di altre due braccia…



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