Magazine

Essere un padre presente, nonostante la rabbia

Creato il 04 febbraio 2014 da Kr1zz @kr1zz

A volte mi girano: mi succede di arrabbiarmi tanto, ma proprio tantissimo con Maddalena, mia figlia. Mi sorride, dopo che per l’ennesima volta le ho chiesto di non fare una cosa come dare una martellata all’armadio oppure infilare le mani nel cesso. Annuisce e appena riesce ad aggirarmi corre a rifarlo subito e a sorridermi divertita.
Il mio stomaco si annoda, il fumo mi esce dalle orecchie e non faccio in tempo a domandarmi se non abbia capito o se mi stia mettendo alla prova perché il rosso mi oscura la vista e le sirene dell’allarme mi riempiono le orecchie.

Una rabbia fortissima.

Soffoco la tentazione di punirla, anche se spesso maldestramente: magari la prendo un po’ seccamente e comincio a lavarle le mani. Le prime volte mi veniva da dire “non si fa” ma la verità è un altra e gliela dico: “Io non voglio che tu faccia quella cosa”. Mentre ci penso però la rabbia cresce ancora e mi verrebbe da strattonarla o urlarle in faccia la mia frustrazione. Per fortuna la scritta “SAFETY FIRST” tra lampeggianti gialli mi si para davanti. Sicurezza innanzitutto, giusto, cerchiamo di non fare altri danni a persone, animali o cose. Niente attrezzi pericolosi o bimbi in cima all’armadio, fermi tutti. Anzi allontaniamoci proprio dal luogo del misfatto (il bagno).

Cuore a mille. La rabbia è lì, la osservo: non sembra intenzionata a svanire. Sono momenti in cui non ho esattamente piacere di frequentare altri esseri umani. Mia moglie però è sempre a pochi passi e, se sono stanco, basta niente perché mi arrabbi tantissimo anche con lei. Fortuna che la sera sono sempre stanco.
Ad un certo punto faccio un respiro profondo, ché la fine dell’apnea è stata autorizzata. Da qualche parte, dentro la testa, trovo un bigliettino sgualcito con scritto un appunto, vediamo… no, è una domanda:

che padre vuoi essere?

Già, ci penso un attimo: che razza di padre voglio essere? E che marito voglio essere? Mi accorgo che qui, nonostante la rabbia, ho lo spazio di decidere come comportarmi. Mi ricordo che i bambini imitano i genitori e che una delle scelte che ho – che abbiamo! – fatto è di educare Maddalena con l’esempio. Se la picchiassi cosa le insegnerei? E se urlassi a mia moglie?

Faccio un altro respiro, la vista si fa meno rossa, le sirene si spengono. Ripasso:

  • non userò la violenza per risolvere i problemi
  • sono un padre ad alto contatto
  • sono un marito presente
  • amo le mie donne, la mia famiglia!

Respiro.

Nel frattempo Maddalena mi ha seguito. Il sangue ha smesso di pulsarmi nella testa e riesco finalmente a sentire cosa dice mentre mi tira: “Papà, papà, papà!”. Vuole stare con me.

Beh, tutto sommato mi è di conforto scoprire che mi preferisce alla tazza del cesso – sì, a voce lo chiamo water o gabinetto, ma ora che non mi sente posso dire cesso, che mi dà più soddisfazione. Cesso cesso cesso cesso!

Maddalena vuole solo che giochiamo insieme. Un attimo prima l’avrei scaraventata dalla finestra – si fa per dire, è una metafora eh! – e lei non ha occhi che per me. Che bestia che sono.

Le faccende domestiche possono aspettare: mi siedo per terra, sfinito. Lei mi porta subito un animaletto e un cucchiaino, si siede in braccio a me e insieme gli diamo da mangiare: “A-aam!”. Il cuore batte ancora forte ma sta rallentando, stiamo giocando. Lei ogni tanto mi guarda negli occhi e io mi sciolgo. Bacino.

Punto della situazione: Maddalena ha smesso di dare martellate all’armadio o di infilare le mani nel cesso. Credo che l’avrebbe fatto subito anche senza tante scene perché mi ha seguito, per stare con me. Il cuore ha ripreso una frequenza normale e mi sento un po’ più lucido. Dunque, è dalle 7:30 del mattino che non le dedico un po’ di attenzione indivisa. Appena tornato dal lavoro siamo usciti a fare la spesa, poi subito cena e adesso finalmente anche io mi accorgo che ho voglia di stare con lei. E la rabbia? Passata: non stavo facendo la cosa giusta. E i piatti, le briciole, la tavola ancora apparecchiata… chi si occupa delle faccende domestiche? La mamma? No: Dani, vieni, giochiamo un po’ insieme. Al resto penseremo, magari lo faccio io, più tardi, o al limite domani.

Ma c’è ancora l’armadio da montare!

Aspetterà, ora diamo la pappa alla giraffa.


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog