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Estantigua, l’hostis antiquus. Un film di Irada Pallanca sul rapporto poetico tra Ianus Pravo e Leopoldo Marìa Panero

Creato il 28 maggio 2014 da Criticaimpura @CriticaImpura

Estantigua, l’hostis antiquus. Un film di Irada Pallanca sul rapporto poetico tra Ianus Pravo e Leopoldo Marìa PaneroDi SONIA CAPOROSSI

Ho appena visionato in forma privata Estantigua, il film di Irada Pallanca prodotto dalla NoOn e girato marzo, sul rapporto di vita e poesia fra Leopoldo Marìa Panero e Ianus Pravo. Quasi una corrispondenza amorosa in scartafacci autografi unti d’olio, di lacrime e sale, spedita al mondo perché il mondo la legga e poi ne taccia per sempre in quanto ormai edotto su ciò di cui non si può parlare e quindi si deve tacere; una corrispondenza nomadica, errante, discesa in ascensione dall’inferno del Cielo, testimonianza artistica che ingravida di umori e febbri l’abbraccio (app)e/o(s)passionato delle due massime figure dei Tarocchi oppresse di poesia che la Poesia oggi conosca e riconosca, Panero e Pravo, Il Folle e L’Impiccato.

Estantigua è una parola carica di significati e palindromie nascoste, perché nella sua metafora mutaforma si può leggere al contrario, come due gemelli che si guardano allo specchio: per Ianus Pravo rappresenta il fantasma dell’amico – nemico, amico perché gemello di vita e di stile, nemico perché doppelgänger crudele e affascinante, l’hostis antiquus come da etimo, nemico e ospite atavico della coscienza, che alla coscienza è contemporaneamente avverso e locandiere, Pater Patratus di una Mater Matrigna, la Natura che sputa in faccia ai suoi figli più coraggiosi, quelli che come Panero e Pravo non hanno mai chiesto misericordia; Panero, “l’uomo della donna dell’uomo che c’è in lui”, se posso autocitarmi in un mio antico verso, se mi è lecito così evocare la sua omo, bi, tri, polisessualità animale; che poi sarebbe una delle espressioni precise con cui definire Leopoldo, una sorta di Achille senza tallone, senza macchia e senza paura perché in fondo privo della possibilità di morire in quanto morto milioni di volte, refrattario al Senso univoco e al perdono avvilente della Logica, che se solo ne leggi una sola poesia non te ne salvi più, ti attira e invischia l’anima nel Maelstrom obnubilante del verso, nella fascinazione estatica della parola per cui non esiste sicurezza, porto, attracco e approdo, lasciando l’anima alla deriva nelle fiamme, in una guerra di Sihn und Bedeutung come fosse una Troia dai bastioni in combustione che si rigenera perpetuamente nel legno del Cavallo e della Croce, nella delizia mostruosa del dolore e dell’inganno, la Menzogna letteraria di cui parla Manganelli!, una menzogna di parole, una Troia bugiarda che esige le si faccia il ritratto a pagamento delle prestazioni d’arte, appena appena schizzata a inchiostro e carboncino dalle mani insipienti di un imbianchino maldestro sulle coste di un’Ansia Minore: l’ansia del Poeta in quanto tale. 

Ecco, come si vede il Maelstrom è contagioso, se ti acchiappa ci cadi a picco, fai glu glu e non ti ripigli più e poi ci anneghi di parole; dicevo dell’anima – troia: un’immagine che a Ianus piacerebbe. Per Leopoldo, invece, l’amico fraterno era “l’ultimo assassino”: “tu sei colui che è nato”, amava dirgli, in un ammiccamento protruso verso l’evanescenza del cronotopo, come a volerli lasciare lì, i nostri poeti, tutti e due sospesi, in una non – nascita che è anche, a ben vedere, una non – morte, sospensione temporale e spaziale da cui si scampa solo cadendoci a picco, appunto, solo gridando nel mezzo del precipizio, solo sbattendoci il fianco e lesionandosi l’anca per non andarsene più. Per questo Leopoldo da qualche tempo si trovava sulla sedia a rotelle, in quel del manicomio di Las Palmas, l’unico non – luogo metafisico in cui secondo lui fosse saggio e degno trovare riposo, System of Doctor Tarr and Professor Fether che onora i Poeti veri di pace vellulata nelle piume e nella pece, quella stessa in cui tutti coloro che additano i folli perché diversi si crogiolano e s’imbrattano senza nemmeno mai saperlo, senza sapere nemmeno il perché; eh sì, il manicomio, ospedale psichiatrico in cui da ormai ben diciassette anni Leopoldo aveva deciso di vivere da recluso alla vita, perché troppo incluso nella morte, cioè nel Poema.

E Irada aveva preso l’aereo e Ianus la nave, dovevano avviare le riprese del film tre giorni prima che arrivasse all’amico la notizia della sua morte: hostis dell’ospizio, e poi ospite del cimitero, Leopoldo ha lasciato l’entusiasmo alle spalle e la sedia alle ortiche della Comare Secca di Pasolini, al Mors et fugacem persequitur virum, ai fuochi fatui dell’indrocarburo cimiteriale di quando la testa ti scoppia e la tomba ti implode. Irada Pallanca era comparsa poco dopo, dopo dieci anni, dico, di collaborazioni e amore delle palabras de un dios enfermo quale Leopoldo altri non era, fra il Folle e l’Impiccato, dieci anni che hanno prodotto, nell’ordine, un libro scritto a quattro mani, Senz’arma che dia carne all’imperium (Società Editrice Fiorentina, 2011), nonché quattro traduzioni e curatele di Leopoldo ad opera di Ianus, Narciso nell’accordo estremo dei flauti (Azimut 2005) e Dal manicomio di Mondragón (Azimut 2007), Peter Pan non è che un nome, poesie scelte 1970-2009 (Il Ponte del Sale, 2011, con lo zampino di un Gatto), e Il cervo applaudito (EDB Edizioni, 2013).

E tutto questo morire e rivivere di palabras, palabras del Infierno, un Infierno metaforico, immaginifico e stilistico condiviso, bilocale con un cesso ricolmo di analogie, che poi sono il succo del Poema in quanto tale, due camere a gas e cucina semivuota, così, rimane sospeso nel vuoto con la morte di uno dei due, soppresso, finito, terminato per l’etimo inglese, senza nemmeno la possibilità dell’arrocco: a Leopoldo piacevano gli scacchi? Troppo organizzati nella loro strategia, a me pare che non potessero granché piacergli, ma forse, ecco, forse mi sbaglio. Forse la sua morte, così centuplicata dagli articoli dei giornali nelle settimane dopo, ha segnato un punto di svolta, un giro di chiave contro l’abbarbicamento nella Scuola e nell’Accademia, a favore della sperimentazione, della poesia talmente di ricerca che non ricerca proprio un bel nulla, nemmeno se stessa, perché tutto in Leopoldo, tutto in Ianus, viene così, spontaneo, estroflesso e gettato sul tavolino di marmo come un pezzo tremolante di carne frollata dal macellaio della Langue e della Parole.Panero, Panero, ojos incomprendidos en un mundo de locos”, dice Isabel, una ragazza dilettante di sensazioni e di poesia che incontro di notte davanti ad uno schermo, e mi parla di lui, e dice che l’amava. Quanto al film, un solo aggettivo: abbagliante. E quanto a voi, Ianus e Leopoldo, poeti maledetti, due pesti millenarie siete, due mali buoni che ammorbano l’infinito del bene malvagio del Poema: e potessimo ammalarci tutti, impareremmo a versificare senza tregue campali e senza più compromessi; magari questa pestilenza postuma, nella reduplicazione indefessa del ricordo e del ritorno, Ianus e Leopoldo, potesse non finire mai.


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