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Estratto: Il segreto dell’alchimista, Antonia Romagnoli

Creato il 25 ottobre 2015 da Giovannaevangelista
Estratto: Il segreto dell’alchimista, Antonia RomagnoliTitolo: Il segreto dell’alchimista
Autore: Antonia Romagnoli

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Antefatto
Corvi.

  Un volo che in apparenza era privo di logica. Privo di bellezza.
  Macchie nere, minacciose, grida che laceravano l'aria come tanti rauchi richiami di morte.
  Sotto di loro, nella campagna brulla e battuta dal vento, ancora intrisa delle violente piogge che l'avevano flagellata, il rapido fuggire dei passeri verso un riparo.
  La caccia era aperta.
  Un altro volo, radente, calò dal cielo greve di nubi. Ali nere e vigorose sferzarono l'aria umida, sfiorando il muro di pietra del castello.
  Dall'alto, la fortezza, un'imponente costruzione dalla pianta quadrata adagiata nella piana come se la terra stessa l'avesse generata, svelava il suo cuore di giardini e di cortili dalle decorazioni musive.
  Da dove ora l'uomo si trovava, pareva soltanto un immenso guscio: una muraglia regolare e priva di passaggi. Solo un lineare e solido geode di pietra rossastra e porosa, quella tipica delle fortificazioni delle Terre.
  Sui quattro lati, la costruzione si ripeteva identica, senza porte, né finestre, né feritoie.
  Intorno a essa le distese di campi giacevano silenziose e in apparenza prive di vita. Un paesaggio desolato e brullo, indolenzito dai rigori della stagione invernale ormai al termine.
  Del vicino villaggio si intravedevano le case basse imbiancate a calce. I contadini ancora non erano usciti per il massacrante lavoro quotidiano.
  Forse per quel giorno i terreni intorno al castello sarebbero rimasti deserti, a causa del lungo periodo di pioggia che aveva trasformato i campi in distese fangose.
  Ancora uno sguardo verso l'alto, attratto dall'insistente gracchiare dei corvi, reso più acuto dall'avvistamento di una preda, poi il contatto della mano con il muro.
  La superficie scabra era fredda, fastidiosa al tatto. La punta dell'indice seguì il profilo di uno dei sassi incastonati nella parete.
  Quel contatto gli permise di vedere ciò che a nessun altro era visibile.
  Aveva studiato per anni, si era preparato con ostinazione per arrivare a quel risultato e ora sapeva di non aver fallito. Nella sua mente, con precisione, si stagliarono nette le immagini di una filigrana luminosa e sottile che avvolgeva il palazzo in un abbraccio protettivo, un incanto che ne rendeva le pareti ben più solide della roccia di cui era costruito e ne proteggeva l'intera struttura, persino dal cielo.
  Costeggiando da vicino la parete, continuò a ispezionare la barriera alla ricerca di un punto preciso che, ormai ne era certo, avrebbe pazientemente trovato.
  Un punto in cui quella maledetta magia lasciava anche solo un minuscolo varco.
  Il corpo dell'uomo vibrava per lo sforzo. Sotto le mani, ormai graffiate e sanguinanti, un lieve bagliore tradiva la natura del contatto. Un incantesimo di lettura.
  Si fermò, col respiro affannoso, contraendosi per lo sforzo, sul lato che dava verso il sentiero per il villaggio. Lì, tra due pietre apparentemente uguali a tutte le altre, c'era ciò che stava cercando.
  Incurante di quanto lo circondava, persino della possibilità che qualcuno potesse vederlo, si strinse nelle spalle, mentre i palmi delle mani affondavano nel muro, come se d'un tratto fosse diventato malleabile.
  La magia cedeva, piegata al suo volere, e quando, dopo un tempo indefinibile, davanti a lui si dissolse anche l'ultima tessitura, gli uscì dalla gola un grido gutturale carico di esultanza.
  L'interno del castello si aprì nitido davanti a lui.
  Corridoi dall'alto soffitto a volte, illuminati da torce, correvano lungo il perimetro. Percorse con calma un lungo tratto prima di incontrare una diramazione verso il cuore del palazzo.
  Non avrebbe incontrato anima viva, lo sapeva. Per questo non aveva fretta, anzi, desiderava gustare ogni attimo di quella vittoria personale, che lo avrebbe condotto alla sua preda senza errore, e senza scampo per quest'ultima.
  Ancora un corridoio, poi un androne dalle pareti istoriate, poi un altro corridoio, in fondo al quale poteva vedere di nuovo la luce del giorno. Il primo dei cortili interni.
  Si fermò, colpito da un suono inatteso: era una voce, femminile, modulata in un canto.
  Lo stupore per quella scoperta lasciò subito il posto all'ira, un'ira cieca e implacabile.
  La vide solo quando ella arrivò all'aperto, intenta a cercare tra le piante del suo giardino segreto le prime avvisaglie della primavera. Egli riconobbe il luogo, lo aveva visto dall'alto. Ne ricordava la pavimentazione, un intricato mosaico floreale di pietre bianche e nere, la piccola fontana al centro, l'abbraccio delle aiuole spoglie intorno al chiostro.
  La osservò, avvolto in un rabbioso silenzio. Era soltanto una donnetta dai lunghi capelli bianchi, il corpo arrotondato e un poco incurvato dall'età. Gli dava le spalle, ignara della sua presenza perché la magia di protezione infranta non l'aveva avvisata dell'ospite.
  Impossibile credere che tanta potenza dimorasse in una creatura così insignificante. Questo pensiero gli fece decidere che non l'avrebbe colpita alla schiena. Voleva vedere negli occhi di lei la paura, voleva godere del suo terrore: il terrore che ella avrebbe provato nel soccombere a un potere superiore.
  Percorse ancora una breve distanza, calcando sugli stivali, finché la donna non si accorse di lui. Il canto si interruppe improvvisamente.
  Sul viso rugoso si dipinse dapprima un'espressione sorpresa, e poi allarmata.
  Le sorrise.
  – La tua magia non era perfetta – le disse solo.
  – Chi sei? – chiese lei di rimando. Gli scrutava il volto, ma in esso non ravvisava alcun tratto familiare, eppure in passato aveva conosciuto gli altri maghi che oltre a lei popolavano le Terre. Egli lasciò che capisse da sola, gli piaceva vedere attimo dopo attimo il mutare delle espressioni. Sorpresa. Dubbio. Comprensione. E proprio quando comprese, il suo sguardo si fece duro. Prevedibile che si mettesse in guardia. Prevedibile e inutile.
  Bastò un primo incanto a infrangere la difesa della maga, che vacillò all'indietro.
  – Ho superato limiti che tu neppure conosci – le spiegò con pazienza irritante, prima di sferrare un secondo colpo.
  La donna rispose con pari intensità, lottando con ogni conoscenza ed energia per contrastarlo. Fu solo un tentativo patetico di salvarsi: gli bastarono pochi attimi per piegare anche quelle magie, riducendole in nulla. Fiumi di lava impalpabile si riversavano intorno a lui senza sfiorarlo, ondate di energia lambivano la sua difesa senza intaccarla. Ogni incanto che scaturiva dall'uomo, invece, penetrava più a fondo.
  La maga era troppo vecchia per resistere a lungo. Un attacco di quella portata avrebbe annientato maghi ben più giovani. La vide piegarsi alle fiamme infernali che egli generava senza sforzo alcuno.
  Lampi che avrebbero incenerito qualunque essere vivente colpivano a raffiche la protezione della donna, indebolendola sempre di più, mentre egli, inesorabile, si avvicinava. Lei non ebbe quasi occasione di contrattaccare, e finalmente egli vide ciò per cui si era prodigato tanto. La sconfitta della sua nemica.
  Rimase in piedi, davanti alla maga ormai priva di forze, la guardò rantolare, cercando un'impossibile fuga verso il centro del cortile. Ne seguì il lento moto fino alla fontana circolare, a cui ella si poggiò rizzandosi in un ultimo barlume di fierezza.
  Era coraggiosa, pensò. In pochi accettano di guardare la morte negli occhi.
  L'uomo chinò appena il capo, in un gesto di saluto carico di scherno. Poi, la magia calò su di lei, e fu solo un lungo grido di dolore.
  I corvi all'esterno della costruzione, tutti, si levarono in volo.
Magistra
  Un ultimo tratto fra gli alberi, percorso a un galoppo impaziente.
  La volta di fronde si piegava, mossa dal vento, fremente e viva sopra di lei. Finalmente, lo stretto sentiero incuneato nel bosco si aprì e davanti ai suoi occhi si stagliò, in tutto il suo splendore, la città di Palàistra.
  Ester si lasciò alle spalle la selva riconoscendo, piena di emozione, la piana coltivata verso cui era diretta.
  Illuminata dagli ultimi raggi del sole morente, la valle l'accolse col suo quieto tripudio di colori. Il verde intenso dei prati, punteggiato da fiori e cespugli, era appena sfiorato dall'oro di rapide pennellate che segnavano la fine imminente dell'estate.
  Palàistra, la città degli studi, era addossata ai dolci declivi di Amra, immersa in un paesaggio che si stava tingendo delle prime sfumature autunnali. Era proprio così che se la ricordava.
  Dove la piana lasciava posto alle morbide curve delle colline, la città si ergeva orgogliosamente, simile a un'immensa fortezza. Le mura massicce di pietra grigia racchiudevano il centro abitato, donando alla città un aspetto austero, quasi arcigno. Possenti torri si affacciavano sulla vallata, nascondendo in parte l'alveo di tetti. Un'unica costruzione spiccava, slanciata e chiara nell'ammasso di case. Da lontano, il maestoso palazzo di marmo splendeva dorato nel tramonto, dominava svettante il centro della città.
  Ester fermò il cavallo, stupita ancora una volta dall'imponenza delle fortificazioni che riparavano quel luogo pacifico. Fu colta da una lieve ondata di panico. Per farsi forza, accarezzò il collo dell'animale e prese un bel respiro.
  – Coraggio, Oner – gli disse, – siamo quasi arrivati. La tua fatica è finita, ora comincia la mia.
  Palàistra, la città degli studi, era il fulcro della cultura e il centro decisionale di tutte le Terre. Lì si recavano giovani provenienti da tutti i Regni per ricevere la migliore istruzione in ogni settore; lì si formavano pensatori, studiosi, capi di Stato. E ora, attendeva lei.
  Riprese la marcia attraverso i campi verso la città, abbagliata dal sole ormai basso all'orizzonte.
  Ben presto gli zoccoli del cavallo risuonarono con tonfi sordi sul terreno ed Ester si accorse di aver raggiunto un sentiero, ai cui lati si affacciavano le prime casette di legno e mattoni. Era giunta al villaggio che sorgeva ai piedi di Palàistra, un piccolo borgo abitato dai coloni della zona. Erano povere capanne, per lo più, affiancate da piccoli orti e fienili ricolmi.
  Ester sentiva su di sé gli sguardi stupiti che accompagnavano il suo passaggio, quelli delle contadine che alzavano il capo dagli erbaggi, quelli dei bambini che a frotte giocavano sulla via principale. Ne conosceva bene il motivo e, in un certo senso, lo temeva. Non erano molte le donne che si recavano a Palàistra e, per quanto celata dal mantello, non era difficile ravvisare le sue fattezze femminili.
  Puntò lo sguardo sulle mura, che si facevano sempre più prossime.
  In breve, superato il villaggio, arrivò alla porta della città. Era ricavata da un unico blocco di pietra, che le sembrò quasi un'immensa bocca pronta a ingoiarla.
  Al di là della porta non poteva vedere quasi nulla, complice l'oscurità che era calata inesorabile nell'ultimo tratto del viaggio.
  Ester, all'interno, intravedeva soltanto i primi fuochi, forse torce o lumi a olio, accesi per illuminare le strade. Un colpo di tacco, e Oner la condusse oltre il varco.

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