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Eternit, licenza d’uccidere

Creato il 20 novembre 2014 da Albertocapece

Partecipanti-al-processo-EternitSe alzi il gomito, ti metti alla guida e investi un passante, vai in galera. Ma se sei lucido e per fare maggiori profitti ammazzi centinaia o migliaia di persone di cancro oppure elimini le più elementari regole di sicurezza e provochi la morte degli operai in fonderia, allora la benigna giustizia dirà che il reato è prescritto o in alternativa che il fatto non sussiste. Non mi interessa entrare nelle viscere dell’ultima scandalosa proposta di impunità per l’eternit, né analizzare se i cavilli con i quali essa viene sostenuta abbiano un senso, ma piuttosto mettere in luce la differenza concreta che esiste nell’ambito della medesima giurisdizione tra i cittadini intesi come singoli e le imprese, più o meno multinazionali, quasi che i responsabili di queste ultime trovino nel profitto una giustificazione strutturale e debbano essere trattate diversamente. Così il delitto per ragioni di mercato trova la stessa comprensione e compiacente leggerezza che 50 anni fa trovava il delitto d’onore.

La querelle assurda e grottesca  sulla prescrizione di un omicidio di massa, mette sotto i riflettori tutta l’esiguità politica di ciò che viene chiamato a torto giustizialismo, ma che consiste nell’illusione di poter risolvere i problemi del Paese, quelli dell’eguaglianza e del lavoro, attraverso una corretta applicazione della legge, come se quest’ultima fosse scritta nella pietra del monte Sinai da un qualche essere superiore e non fosse invece un prodotto della politica, degli assetti di potere, delle classi dominanti e dello spirito del tempo, ovvero l’espressione dell’egemonia culturale di queste ultime. E così attraverso le leggi scritte o la loro interpretazione o ancora attraverso la pratica giurisdizionale ( per esempio la decisione di esaminare caso per caso al fine di allungare i tempi) si arriva alla conclusione che fattispecie simili, non solo dal punto di vista etico e morale, ma anche normativo, ricevono costantemente trattamenti diversi. L’omicidio singolo infatti non può essere prescritto, ma quello collettivo a fini di profitto viene evidentemente considerato come peccato veniale, come un danno collaterale inevitabile nel luminoso percorso del capitale.

La cosa in questo caso è evidentissima : l’amianto è una delle poche sostanze la cui nocività e cancerogenicità è stata studiata e provata da molto tempo. Già nel 1906 (il brevetto dell’Eternit  risale al 1901) si cominciarono ad esprimere le prime perplessità, poi nel 1930 studi medici ebbero l’effetto di limitarne l’uso in Gran Bretagna, mentre nel 1943 in Germania fu ufficialmente riconosciuto come causa di cancro al polmone e mesotelioma e venne previsto un risarcimento per queste malattie.  Dunque il lato oscuro dell’amianto era ben conosciuto da chi produceva ogni tipo di manufatto edilizio con questo materiale senza prendere alcuna precauzione e più concretamente  ci si può chiedere come mai l’asbesto sia stato proibito in Italia solo nel 1994, grazie a un uso strumentale  e aberrante della concezione di “prova” scientifica Non ci vuole molto a capirlo: addirittura la proibizione del suo utilizzo nella Ue è ancora più tardo e risale al 1999 peraltro con alcune deroghe fino al 2008 . Ma nel 2007 la Direzione generale Imprese della commissione europea si è battuta perché la proroga fosse estesa e ora, grazie alla pressioni delle lobby si parla del 2023. Così abbiamo  da una parte il riconoscimento ufficiale del pericolo costituito dall’ amianto, ma lo si continua a produrre, anche se non più per l’edilizia, nonostante la stima di migliaia di morti all’anno causate dall’uso assurdo e generalizzato che si è fatto di questo materiale. E’ uno di quei casi in cui la malattia e la morte coincidono con la legalità perché non sono le persone che contano e tanto meno la sicurezza del lavoro, ma il profitto.

L’insieme giurisdizionale esprime questa realtà, che del resto con il Trattato transatlantico verrà estesa oltre i limiti costituzionali. Solo gli ingenui possono meravigliarsi che i fatti non sussistano o siano troppo  stagionati o non si riesca ad individuare un responsabile: tutelare il lavoro e la vita è roba da gufi, da rottamati, una cosa del passato. Come la giustizia.

 


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