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Ethan e Joel Coen: a classical postmodern

Creato il 24 febbraio 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Si può essere classici pur creando qualcosa di maledettamente moderno? Il cinema dei Coen è qui a dimostrarcelo. Il loro ultimo film, A proposito di Davis, ne è oggi l’esempio più limpido. Difficile sintetizzare la lunga filmografia dei due fratelli – per lungo tempo uno dietro la macchina da presa (Joel) e l’altro (Ethan) dietro la macchina da scrivere – in poche righe, quindi cercheremo di scrivere un’introduzione sommaria, utilizzando alcune parole chiave del loro cinema.

POSTMODERNO. Il passato è una terra straniera finché non lo trasformi in futuro. Joel e Ethan Coen esordiscono negli anni ’80 con un noir crudo e spiazzante come Blood Simple, un’opera che non consente ancora di contestualizzarli nel cinema dell’epoca, ma già con Arizona Junior inizia ad apparire chiaro come il loro cinema segua la scia di quel postmoderno tanto chiacchierato e dibattuto in quegli anni. Iniziano, difatti, a delinearsi gli stilemi stilistici che, molti anni più avanti, faranno dell’aggettivo “coeniano” un termine immediatamente comprensibile. Il cinema americano scopre così che, guardando indietro alle pellicole già esistenti, si può selezionare quel che piace per riformularlo differentemente, creando un cut and mix innovativo e interessante.

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GENERE. Noir, gangster movie, western, screwball comedy, slapstick, spy movie e musical sono il mezzo attraverso il quale i due fratelli rimodulano l’esistente. Si tratta d’alcuni dei generi che finiscono nel frullatore coeniano, dando vita a un risultato inedito. Di film in film si è assistito alla riformulazione di codici e formule che vengono passate al setaccio dell’omaggio o della parodia, pur conservando intatte le tematiche tipiche del loro cinema. Tutto questo attraverso uno sguardo lucido, da saggisti, che li differenzia da quello ludico e pop di Tarantino. Forse, Il grande Lebowski è l’opera che riassume al meglio tutte le ispirazioni cinematografiche, letterarie e d’altro tipo con cui i fratelli amano giocare. Una scena come quella dell’incubo è in grado, infatti, di condensare in pochi minuti spunti diversissimi tra loro come: i balletti di Busby Berkeley, il bowling, la guerra del Golfo, il porno, la psichedelia e gli stereotipi psicanalitici.

CERCHIO. Il film che meglio rappresenta la struttura narrativa circolare caratteristica del cinema coeniano, fermamente legato a una poetica dell’eterno ritorno, probabilmente è Mister Hula Hoop. Simbolicamente l’hula hoop è l’espressione visiva più  nitida di questo pensiero, che trova nella scritta “Il futuro è adesso”, che campeggia sul grattacielo della Hudsucker, la sua didascalica affermazione. La naturale progressione degli eventi è sabotata dai due autori (clamorosa, da questo punto di vista, è la sospensione temporale che permette al personaggio di Tim Robbins di salvarsi dal tuffo verso il vuoto), affinché il punto di svolta non arrivi mai. La lettera che cambierà, apparentemente, le sorti dell’azienda, non a caso era nelle mani del protagonista fin dall’inizio. Si gira in tondo, attraversando un mondo privo di senso e popolato da idioti, senza andare da nessuna parte.

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ESISTENZIALISMO. L’esistenzialismo è un umanismo. Il cinema dei Coen paradossalmente ama i suoi personaggi, ma al tempo stesso non è in grado di salvarli. Un vicolo cieco, dovuto al ruolo che i registi assegnano al caso nelle nostre vite. Esemplare, in questo caso, è la storia di L’uomo che non c’era. Racconto di un barbiere, afflitto dalla nausea sartriana, che finisce per uccidere senza sapere bene neanche il perché, un po’ come nel caso di “Lo straniero” di Camus. Un uomo allo sbando, senza una direzione precisa, che, in balìa del caos – prova del non senso della vita –, cerca di trovare invano una risposta ai suoi quesiti. Un pessimismo che trova il punto più nero quando incontra il nichilismo di McCarthy, dando vita a un film come Non è un paese per vecchi dai tratti apocalittici.

EBRAISMO. Il prologo di A serious man, utilizzato come momento propedeutico al mondo yiddish per lo spettatore, è un manifesto d’intenti che racchiude lo spirito ebraico che da sempre permea il cinema dei Coen. L’archetipo dello shlemiel ebraico nel film incontra la figura biblica di Giobbe, creando un personaggio spiazzato dagli eventi, oppresso, impotente nelle azioni, ingenuo ma non tanto da tramutarsi in idiota dostoevskiano, insomma il prototipo dell’anti-eroe coeniano. Risulta quindi evidente come la poetica dei Coen sia pienamente ebraica nello spirito, e viceversa.

Rosario Sparti


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