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Etnicità 31. W.H. McNeill: Polietnicità pre-moderna e omogeneità etnica (parte 3).

Creato il 15 agosto 2014 da Davide

Nonostante la Cina sia caratterizzata da una notevole disomogeneità etnica per ragioni storiche, come mai, si chiede McNeill si ha l’impressione che la civiltà cinese abbia ottenuto e mantenga una coesione ben maggiore di quanto sia vero a confronto con le civiltà dell’Europa, dell’Asia occidentale e dell’India? In realtà questo è il risultato del modo in cui fu istituzionalizzato il Confucianesimo.
L’ammissione all’elite burocratica cinese venne a dipendere non tanto da uno status ereditario quanto dalla padronanza dei classici confuciani e dallo stile di vita e pensiero che inculcavano. Ciò permise a persone di diverso background sociale di diventare pienamente e completamente cinesi semplicemente diventando colti. A partire da circa il X secolo dC mandarini adeguatamente istruiti riempirono i ranghi del governo, amministrarono la corte e dominarono la società. Persino gli eredi di Gengis Khan trovarono indispensabili i servigi dei burocrati confuciani.
Per questo motivo, quando ribelli cinesi nel 1368 rovesciarono con successo quello che le classi istruite credevano fermamente essere un regime alieno e barbaro, cioè quello mogolo, e portarono al potere una nuova dinastia indigena, i Ming, ogni traccia straniera che potesse ‘inquinare’ la Cina dopo il periodo mongolo, fu sistematicamente ripudiata e soppressa in nome di un’ortodossia confuciana restaurata e purificata.
Ma questo non dovrebbe nasconderci il fatto che in precedenza nella lunga storia della Cina aveva prevalso una molto maggiore apertura alle innovazioni provenienti dall’occidente. L’accoglienza del buddismo è, ovviamente, il grande monumento alla precedente prontezza cinese a prendere a prestito dall’estero; e con il buddismo giunse una varietà di cambiamenti secolari come un aumentato interesse per il commercio e alcune tecnologie e idee (per esempio la scultura monumentale) che restarono centrali nella successiva civiltà cinese.
Secondo McNeill, quindi, fino a circa il 1000 b.C la Cina era pronta ad apprendere dagli stranieri ogni qualvolta c’era qualcosa di interessante da imparare perchè, fino a quel periodo, il livello teconologico e culturale cinese non era maggiore di quello di altre comunità civilizzate. Ma tra il 100 e più o meno il 1450 la Cina fece un balzo in avanti e soprassò il resto del mondo per ricchezza, tecnologia e popolazione. Il resoconto ammirato di Marco Polo delle meraviglie del Cathay mostra come un viaggiatore europeo sofisticato reagiva ai successi cinesi nel tardo tredicesino secolo. Alcuni decenni più tardi, il resoconto più sommario di Ibn Battuta di ciò che vide in Cina riporta una reazione simile, anche se l’assoluta indifferenza all’islam deprimeva quel dotto e pio viaggiatore musulmano.
La reazione di questi stranieri esperti alla ricchezza e alla tecnologia cinese ci fa capire meglio come le classi colte cinesi, abituate circa intorno all’anno 1000 a trovare solo popoli inferiori al di fuori dei confini cinesi, erano profondamente offese dalla conquista mongola, tanto che quando il giogo barbaro venne spezzato nel 1368 le elite cinesi liberate furono intente soprattutto a tener lontano gli stranieri. Guardare al passato era più confortevole che guardare avanti, anche dopo che una nuova dinastia barbara, i Manciù, soggiogò la Cina a metà del XVII secolo. Il risultante atteggiamento difensivo ebbe come conseguenza l’efficace isolamento della Cina dagli inizi di contatto europei all’inizio dell’era moderna dopo aver chiuso con le esplorazioni imperiali oltramare che, in altre circostanze, avrebbero potuto portare a una scoperta cinese dell’America da un lato e dell’Europa dall’altro.
Tale storia, pensa McNeill, mostra che l’unità xenofoba delle elite culturali cinesi in epoca moderna fu più un atteggiamento deliberato ed esagerato da parte degli intellettuali che una realtà sociale. Infatti, gli stranieri giocarono un ruolo assolutamente cruciale nella storia della Cina, anche in quei secoli in cui i governanti e gli intellettuali cinesi erano più ansiosi di ripudiarli. Sia la dinastia Ming che quella Manciù in realtà governavano un impero multinazionale in cui la superiorità numerica della massa contadina cinese manteneva una elite di governo confuciana senza appartenere essa stessa completamente a quel mondo privilegiato.
In realtà, i dialetti e i modi modi vita locali variavano notevolmente anche all’interno della Cina vera e propria, rendendo la Cina meno simile a una singola nazione europea di quanto fossero simili i popoli latini o germanici d’Europa, cioè linguisticamente imparentati ma abbastanza diversi per lingua e costumi da costituire nazionalità separate. Se la monarchia papale avesse prevalso nell’Europa medievale e fosse stata capace di mantenere le nazioni latine e germaniche sotto una singola onnipotente amministrazione, affidando il governo al clero, addestrato alla legge ecclesiastica e usando il latino a scopi amministrativi, lo schema di unità imperiale cinese avrebbe potuto essere replicato quasi completamente all’altra estremità dell’ecumene, ma naturalmente le cose non si svilupparono in questo modo nell’Estremo Occidente.


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