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Eugenio Montale – Premio Nobel per la Letteratura 1975

Creato il 08 gennaio 2014 da Bea23

In una lettera al nipotino pubblicata da L’Espresso, Umberto Eco ha sottolineato l’importanza di imparare a memoria poesie, frasi di libri o anche solo le formazioni delle squadre di calcio (presenti e passate). Internet, che ha sempre la risposta pronta ad ogni nostra domanda, ci ha fatto perdere la curiosità di imparare e ricordare le cose. Non ci interessa tenere a mente qualcosa, perché quando e se ne avremo ancora bisogno ci basta un computer, un tablet o uno smartphone per andare su Google e ottenere la risposta con pochi clic. Seppure da piccola non ne comprendessi l’utilità, ho imparato a memoria molte poesie a scuola, alcune anche di Eugenio Montale. Ed è proprio di lui che parliamo oggi, nel nostro excursus tra i vincitori del premio Nobel per la Letteratura.

eugenio montale

Poeta del Novecento di origini genovesi, noto per il suo stile scabro ed essenziale, è stato fortemente influenzato dalla partecipazione attiva alla Prima Guerra Mondiale. Lo si capisce dalle liriche contenute nella raccolta Ossi di seppia, dove una poesia all’apparenza semplice e povera si fa voce di un mondo in crisi per la rovina di ogni certezza.

Montale riteneva che la parola non potesse aspirare a raggiungere l’assoluto, ma dovesse prima confrontarsi con il reale, l’unico banco di prova per accedere al mistero dell’esistenza. Per questo, nelle sue poesie, scelse di parlare delle piccole cose, quelle che l’uomo poteva facilmente trovare attorno a sé. Le forme e gli oggetti della natura rappresentavano gli emblemi in cui era scritto il destino dell’uomo; i critici parlano, infatti, di “correlativo oggettivo”, di un mondo fatto di cose e simboli, che ci aiutano a capire il senso della vita.

eugenio montale

Diversamente dai suoi predecessori, Montale era dell’idea che la poesia non potesse insegnare nulla; di fronte all’impossibilità di sciogliere il mistero della vita non si poteva che proporre una forma di conoscenza in negativo, che indagasse sulle ragioni dell’esistenza, anche se ciò avrebbe portato nella mente del poeta come del lettore nuovi dubbi e contraddizioni.

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

(Non chiederci la parola, 1923)

Paradossalmente, il male di vivere era l’unica cosa certa dell’esistenza: un’analisi distaccata e quasi ironica permise così all’autore di affrontare temi tanto difficili e pesanti, di un presente vuoto e arido.

Tra le sue poesie celebri: Meriggiare pallido e assorto, I limoni, Spesso il male di vivere ho incontrato, Non recidere forbice quel volto o la dichiarazione di incapacità della poesia di poter spiegare l’inspiegabile in Non chiederci la parola.

Il Nobel per la Letteratura assegnatogli nel 1975 è più che meritato: la motivazione addotta dalla giuria (“per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”) testimonia come il suo stile e il suo pensiero siano stati pienamente apprezzati e capiti dalla critica mondiale.

Non sono un’esperta di poesia, preferisco la prosa, ma lo studio della letteratura italiana mi ha aiutato ad apprezzare questo e altri grandi poeti del nostro paese. Voi che ne pensate?


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