Magazine Società

Euro, antichi errori, diaboliche perseveranze

Creato il 27 giugno 2012 da Albertocapece

Euro, antichi errori, diaboliche perseveranzeCaronte remava nel tramonto di ieri sullo stige dell’afa, portando odori di gelsomino e gigli sfatti, in un crepuscolo firmato da Gozzano. Una sera da anguria fredda e grandi cieli che si condensano in notte. Ma per mia disgrazia c’era anche il teatro dei burattini, quel Ballarò che con la perdita del buffone e dei suoi puffi, è entrato a tal punto in comunione col governo da far presagire la consustanziazione: “il corpo di monti”. “Amen”.

Si parlava del prossimo incontro a Bruxelles e dell’Euro, con un parterre di giornalisti embedded e nullità da fritto misto all’italiana, una grande serata di allenamento per l’appartato boccale dalla quale non sono venute informazioni, ma solo invocazioni, una terribile conferma del fatto che la classe dirigente italiana persegua esclusivamente i propri interessi di bottega con supremo sprezzo della vacuità. Ma ancor più di questo che certo non è una novità, colpisce il fatto che nessuno colleghi la testa alle mandibole e dica che l’euro più che una moneta è una politica. Nessuno si attenta a spiegare che cosa comporti il permanere della moneta unica o la sua dissoluzione, nessuno osa affrontare il problema di cessione sovranità non verso organismi politici, ma istituzioni finanziarie immerse nella logica privatistica o per quale motivo, in questo contesto contabile, i Paesi forti dovrebbero farsi carico dei debiti dei Piigs. E nemmeno perché mai il debito sia divenuto all’improvviso così importante e come lo si possa asggredire provocando una caduta del pil.

Ma questi nodi che si agitano sottopelle senza mai esplodere o mostrare l’infezione, è più di vent’anni che non trovano risposta, fin dalla prima messa a punto della moneta unica in un nido aggrovigliato di illusioni, errori, ambiguità, ma anche di una sottintesa politica di attacco al lavoro e al welfare, secondo le filosofie liberiste. E’ per questo che l’euro, nato da un accordo per permettere alla Germania l’unificazione senza diventare troppo potente in Europa, ha finito per approfondire e aggravare i problemi che si proponeva di risolvere.

Ripercorriamo questa storia e vi chiedo un po’ di pazienza perché la strada non è dritta , anzi è un sentiero montagnoso. Com’è ben noto la decisione di dare vita a una moneta comune prese forma di  decisione al consiglio europeo di Dublino dell’aprile 1990. Ma la commissione di Bruxelles voleva supportare questo passaggio del rubicone con qualcosa che avesse quanto meno l’apparenza di meditato e di “scientifico”. Commissionò (cioè pagò) a tre noti economisti, Michael Emerson, Jean Pisany-Ferry e Daniel Gros e a moltissime altre figure minori, uno studio che dimostrassse la bontà di questa idea. Chi ha una certa esperienza di queste cose sa bene come il ricercatore, anche senza uno specifico intendimento, finisca per aderire in qualche modo al committente, specie se questo è generoso, come avvenne in quel caso. Così’ pochi mesi dopo, nell’ottobre del 1990 uscì, il saggio fondativo dell’Euro, dal titolo One market, one money, An evaluation of the potential benefits and costs of forming an economic and monetary union.
Da notare che nella letteratura economica la frase canonica usata in questo tipo di studi è cost and benefits, ma nel caso specifico l’inversione dell’espressione già la dice lunga sul fatto che si volesse porre l’accento sui benefici piuttosto che sui lati negativi. Ma a leggere adesso alcuni brani di quello studio, si resta letteralmente affascinati dalle sottovaluzioni operate e dalle argomentazioni abbastanza stravaganti per minimizzare i rischi, dalla scarsissima preveggenza e infine dalle allusioni alla politica sottesa a tutto questo. Un passaggio su tutti è significativo di questo coacervo:

“Il principale costo potenziale dell’UEM è rappresentato dalla perdita delle politiche monetarie e valutarie nazionali, come strumenti di risposta a shock esterni. Questa perdita però non va esagerata, perché sarà 1)sempre possibile aggiustare il tasso di cambio della moneta unica rispetto al resto del mondo, mentre all’interno del Sistema Monetario Europeo 2)le variazioni del tasso di cambio nominale di fatto sono già state abbandonate come strumento di politica, 3) e l’UEM ridurrà l’incidenza di shock specifici sui singoli paesi membri. 4)E poi, il costo del lavoro potrà sempre cambiare, le politiche fiscali nazionali e comunitarie potranno assorbire parte degli shock e aiutare gli aggiustamenti, e 5) il vincolo della bilancia dei pagamenti scomparirà.”

Ho messo in neretto i passaggi più significativi: il fatto di poter aggiustare il valore della moneta al resto del mondo serve a quei Paesi che hanno un export diversificato, ma non era e non è di nessuna utilità per quelli hanno proprio in Europa il principale mercato che era il presupposto per la creazione di one market, one money. Le variazioni di cambio non erano affatto desuete, anzi nei due anni precedenti ce n’erano state addirittura nove. Della riduzione di shock specifici, manco a parlarne: anzi senza lo strumento monetario, com’è ovvio, si sono aggravate, come è evidente sia nella vicenda greca che in quella spagnola che in quella italiana stessa. Questo per non parlare della clamorosa stupidità che sottende alla convinzione che il vincolo della bilancia dei pagamenti sarebbe scomparso, quando è invece proprio il cuore della crisi.

Tutti questi illusori benefici da ottenere senza alcuna concreta integrazione e senza nemmeno una banca centrale, necessitavano implicitamente di una perdita di sovranità in favore di meccanismi finanziari, senza più libertà di scelta politica o di welfare, ma il clou del brano è il punto 4, quello in cui si fa esplicitamente riferimento al fatto che se anche qualcuna delle considerazioni svolte  avrebbero potuto non trovare riscontro, c’era pur sempre la possibilità di agire sul costo del lavoro. e’ fin troppo chiaro: welfare da rivedere e politica salariare al ribasso erano la piattaforma politica sulla quale l’euro è nato.

E’ davvero straordinario che a 22 anni di distanza da quello studio, falsificato praticamente in tutte le sue affermazioni e conclusioni, il programma del governo tecnico ne ricalchi le orme in maniera impressionante e incredibilmente pedissequa, come se incancrenire gli errori dell’Europa sia essere europeisti: le poche cose fatte riguardano i tagli al welfare e ai diritti del lavoro. Le nostre vite sono condizionate da pagine che potrebbero fare un’ingloriosa fine igienica per i loro errori risibili o compiacenti. Incredibile pensare che vent’anni di immobilismo e corruzione, abbiano creato un effetto miraggio, facendole apparire attuali e nascondendo la loro vera natura: lo sbiadito dagherrotipo di un illusione, divenuta pian pian  un incubo. Qualcosa che annunciava quel moderno che tanto piace alla nostra vetusta politica di ogni orientamento: mettere al centro il denaro e al margine i popoli.

Adesso siamo al redde rationem


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :