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Europa vs Gazprom: la regolazione del mercato come atto politico?

Creato il 05 giugno 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Claudio Giovannico

Con una comunicazione formale degli addebiti (statement of objections) [1], presentata lo scorso 22 aprile, la Commissione europea ha concluso l’indagine antitrust avviata nel 2012 nei confronti del colosso dell’energia russa Gazprom, accusandolo di pratiche commerciali considerate in violazione della normativa UE in materia di mercati del gas. Secondo Bruxelles, l’azienda controllata dal Cremlino agirebbe quasi come un secondo-Stato, perseguendo una vera e propria strategia di separazione dei mercati del gas dell’Europa Centrale e Orientale e abusando, de facto, della propria posizione dominante all’interno dei mercati di otto Paesi dell’Unione Europea: Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia e Slovacchia. Nello specifico, l’accusa mossa dalla Direzione Generale Concorrenza della Commissione europea si svilupperebbe su tre fronti.

Il primo riguarda le limitazioni alla circolazione del gas, poste ai Paesi acquirenti attraverso l’imposizione di clausole che vietano l’esportazione del gas ricevuto, obbligando la distribuzione al solo territorio nazionale. Attraverso la creazione di simili barriere artificiali, Gazprom avrebbe evitato il c.d. reverse flow del proprio gas tra i Paesi dell’Europa Orientale, limitando la concorrenza internazionale.

Una simile separazione dei mercati avrebbe, in tal modo, permesso a Gazprom di applicare prezzi particolarmente elevati, da Bruxelles considerati “sleali” [2], a causa dell’indicizzazione del prezzo del gas a quello del petrolio.

Infine, approfittando della posizione di dominio, Gazprom avrebbe ottenuto impegni sulle infrastrutture di trasporto del gas, in modo tale da poterne gestire il flusso da monopolista. Tale condotta violerebbe, dunque, le previsioni del Terzo pacchetto per l’energia dell’UE, secondo cui la società che produce energia deve essere separata dalla quella che la trasporta (unbundling). In concreto, viene fatto riferimento a quanto accaduto in Polonia, relativamente al gasdotto Yamal, e in Bulgaria, in merito al South Stream.

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Antitrust Factsheet – Fonte: Commissione europea

Si attende, intanto, la replica ufficiale della società russa, la quale ha tempo fino al 22 luglio per presentare le proprie argomentazioni. Laddove la procedura intrapresa dall’UE dovesse avere esito positivo, Gazprom andrebbe incontro a una sanzione economica pari al 10% del fatturato del 2012, anno d’avvio della suddetta indagine. Tuttavia, il problema non si presenta esclusivamente sotto un profilo meramente commerciale, ma ha anche uno spiccato carattere politico, considerando che Gazprom è il principale fornitore di gas naturale dell’Unione Europea.

Le stesse argomentazioni tecnico-giuridiche, poste a sostegno dell’iniziativa della Commissione europea, hanno da più parti avanzato interrogativi in merito alla neutralità dell’indagine condotta.

Innanzitutto, i contratti stipulati dai Governi dei diversi Paesi in questione, si presentano, per ovvi motivi, differenti l’uno dall’altro, di conseguenza risulta particolarmente difficile compararli al fine di affermare che nel mercato si sia verificata una condotta abusiva.

La problematica relativa ai contratti a lungo termine, i quali, secondo Bruxelles, avrebbero determinato prezzi onerosi per i clienti, a causa dell’agganciamento dei prezzi del gas a quelli del petrolio, sebbene sussista, rappresenta, tuttavia, una prassi consolidata all’interno delle dinamiche contrattuali del mercato del gas. L’indicizzazione del prezzo del gas al petrolio è una forma di pricing utilizzata in tutto il mondo, ad eccezione di Stati Uniti e parte dell’Unione Europea. Ad esempio, l’Algeria, quale Paese produttore ed esportatore di gas naturale, impiega, tutt’oggi, nei propri contratti di fornitura il riferimento al greggio.

Il sistema di pricing del gas naturale basato sull’indicizzazione del greggio è nato negli anni Sessanta su presupposti perfettamente logici per l’epoca, ma che già a partire dagli anni Novanta hanno perso la loro ragion d’essere. La logica dell’intercambiabilità tra gas e olio combustibile/gasolio era venuta meno a causa dell’aumento dei consumi del gas e poi dei prezzi del petrolio. Se è vero che tale meccanismo può comportare che il prezzo del gas, derivante da un contratto oil linked, possa essere superiore a quello praticato sul libero mercato, è anche vero che il calo della domanda a causa della crisi economico-finanziaria del 2008, e il conseguente aumento dell’offerta, aggiunti al crollo del prezzo del petrolio degli ultimi mesi, hanno provocato una forte diminuzione del prezzo contrattuale del gas, risultato, così, più competitivo rispetto a quello dei mercati spot [3]. Di conseguenza, per quanto i mercati del gas siano diretti verso l’abbandono del collegamento formale al prezzo del petrolio [4], a favore di un modello centrato sugli hub e sui mercati brevi (spot), quanto lamentato a Gazprom non sembra possa considerarsi una violazione della concorrenza.

Inoltre, secondo Bruxelles, Gazprom avrebbe ostacolato il passaggio di terzi sui gasdotti internazionali di sua proprietà, violando così la normativa europea sulla concorrenza in merito alla questione del third party access (TPA), ossia il diritto di accedere alle infrastrutture necessarie per fornire la prestazione all’utenza. Tuttavia, come evidenziato dall’ing. Renato Urban, ex manager ENI ora CEO della Urban Gas & Power, in un articolo apparso alcuni giorni fa [5], nel quale ha espresso serie perplessità in merito all’anzidetta contestazione dell’antitrust europea, sebbene la regola del libero accesso di terzi risulti valida in relazione alle reti di trasporto nazionale, non lo è per i gasdotti internazionali, in quanto “vere e proprie appendici minerarie dei giacimenti di produzione, nate con lo scopo di portare la produzione di gas sul mercato finale”. Sempre secondo l’autore: “Il Greenstream, il Medgas, il Blue Stream sono gasdotti di questo tipo. Trasportano il gas del produttore e solo se c’è capacità di trasporto libera può essere allocata sul mercato della domanda di ship or pay. Con riferimento alla priorità, è il gas minerario che occupa per primo gli spazi disponibili. Non potrebbe essere in modo diverso, altrimenti la produzione mineraria dovrebbe essere interrotta, con grave danno economico per il produttore e mancanza di gas naturale per il cliente finale. Non si tratta quindi di condotta anti-concorrenziale, ma solo di necessità operative al servizio della produzione mineraria. Gazprom e analogamente le majors non saranno mai disponibili a cedere a una richiesta che limiti i loro diritti sui contratti ship or pay. Senza i contratti di approvvigionamento di gas naturale del tipo ship or pay, non esiste alcuna certezza che il gas arrivi ai mercati finali. I contratti sarebbero zoppi e anche la produzione mineraria andrebbe in crisi”.

Il gasdotto va, quindi, considerato come una facility dell’impianto, dovendo funzionare, in primis, al servizio della sicurezza della fornitura del prodotto. In quest’ottica la tutela della security of supply ha dunque l precedenza su quella dei diritti dei singoli trasportatori.

L’azione per abuso di posizione dominante, avanzata da Bruxelles, ai sensi dell’articolo 102 [6] del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), sebbene venga presentata come una mera procedura di carattere tecnico, ha perciò suscitato dubbi e interrogativi in merito al carattere politico degli intenti che potrebbero starvi alla base.

Mera applicazione delle norme o atto politico?

Alla formalizzazione pubblica del documento di statement of objections diretto a Gazprom, hanno fatto immediato seguito le dichiarazioni del Commissario UE alla concorrenza, Margrethe Vestager, tese a chiarire sin da subito che l’azione antitrust in questione nulla avesse a che fare con la politica, tantomeno con gli effetti della crisi in Ucraina [7]. Da anni l’Europa accusa la Russia di nascondere finalità politiche dietro le strategie commerciali sul gas, non riconoscendo, tuttavia, di fare altrettanto con le iniziative di finanziamento all’Ucraina, in merito alla questione del debito del gas con la stessa Gazprom [8], al fine di avvicinare Kiev alle strutture di integrazione europea. La questione ucraina riveste, dunque, un ruolo fondamentale che non è possibile trascurare nell’analisi della disputa che intercorre tra Bruxelles e Mosca. Non a caso Gazprom sta cercando in tutti modi di alleggerire la propria dalla dipendenza da Kiev in ordine al trasporto internazionale di gas verso l’Europa.

In seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, il sistema infrastrutturale che trasportava il gas russo in Europa passava esclusivamente attraverso l’Ucraina, considerata da Mosca, fino ad allora, punto di snodo strategico e sicuro nel traffico del gas verso l’occidente. Dal momento dell’indipendenza, il controllo della rete nazionale conferiva al governo ucraino la possibilità di sospendere completamente le importazioni europee di gas russo, senza che Gazprom o le compagnie europee potessero intervenire direttamente. Per questo motivo Gazprom decise di avviare una strategia di diversificazione dei canali di trasporto del gas russo che non comprendesse il territorio ucraino.

Il primo gasdotto, frutto della nuova strategia di Gazprom, fu lo Yamal-Europe, portato a termine nel 1999, il quale permette di rifornire la Germania, attraversando Bielorussia e Polonia, bypassando di fatto l’Ucraina.

Nel 2011, la strategia di diversificazione dei canali, condusse alla realizzazione del North Stream, che dal Mar Baltico porta il gas russo in Germania. In tal modo, metà dei volumi di gas russo diretto in UE era stato reso indipendente dalle reti infrastrutturali ucraine [9]. Il progetto del South Stream avrebbe dovuto completare l’opera di emancipazione da Kiev, annullandone definitivamente il potere di ricatto.

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Nel gennaio del 2006, prima, e nel gennaio del 2009, poi, si è assistito alle due crisi ucraino-russe del gas, in seguito alla decisione della compagnia energetica ucraina Neftogaz, di non accettare i nuovi prezzi fissati da Gazprom. Mosca rispose interrompendo i flussi diretti ai clienti ucraini, mantenendo, tuttavia, le forniture destinate ai Paesi europei. Ciononostante, Kiev trattenne parte del gas destinato all’Europa, conducendo all’inasprimento dei rapporti tra Mosca e Unione Europea, la quale scelse di farsi carico delle istanze ucraine.

Il rischio relativo al transito in Ucraina del gas russo diretto in Europa pose in evidenza la necessità per la politica energetica del Cremlino di portare a compimento il definitivo superamento della dipendenza da Kiev. Indispensabile per raggiungere l’obiettivo era la realizzazione del gasdotto South Stream, che avrebbe dovuto collegare la Russia con la Bulgaria, attraversando il Mar Nero. Tuttavia, tale opera infrastrutturale, a distanza di sette anni dal suo avvio nel 2007, è stato interrotta. Alla crisi ucraina e alle conseguenti sanzioni economiche che hanno ostacolato l’accesso della Russia ai canali finanziari occidentali, l’andamento in ribasso dei consumi di gas in Europa, ha reso il South Stream non più essenziale nell’ambito delle forniture del gas. Di fronte a un mercato bloccato, a causa, anche, della diminuzione del prezzo del greggio, di cui la Russia è esportatore, i prezzi del gas naturale sono calati, rendendo il South Stream un investimento per la Russia non più così appetibile a livello economico, oltre che politico.

Le strategie di sicurezza energetica di Russia e Unione Europea all’insegna della “diversificazione”

Il raffreddamento dei rapporti politici ed economici ha condotto UE e Russia a concepire strategie di politica energetica volte all’emancipazione reciproca, all’interno di piani di diversificazione dei rispettivi partner economici.

Da un lato la Russia sembra essere impegnata in un riorientamento strategico verso Oriente.  Il gasdotto Turkish Stream, che dovrebbe rappresentare un’alternativa South Stream, realizzando quindi il corridoio energetico meridionale, trasporterà il gas naturale russo in Turchia – affiancandosi al già esistente gasdotto Blue Stream, non sufficiente a fornire l’intero territorio turco del gas che necessita – e in Europa attraverso la Grecia, la quale assumerebbe un ruolo preminente come centro di distribuzione energetica in Europa.

Ciò nondimeno, la nuova strategia energetica russa non si limita alla diversificazione dei canali infrastrutturali alternativi ai gasdotti ucraini. L’eccessiva dipendenza della Russia dai mercati dell’Europa occidentale, ha condotto Mosca a stringere forti legami commerciali con Pechino, attraverso la stipula di contratti di fornitura tra Gazprom e la compagnia cinese CNPC (China National Petroleum Corporation). Tale accordo permetterà alla Russia di sviluppare i giacimenti presenti in Siberia orientale, diversificando i mercati finali e riducendo il peso dei clienti europei.

A siffatti accordi, sono seguiti, questo maggio, quelli relativi al gasdotto Altai. Percorrente la c.d. rotta occidentale, la pipeline progettata utilizzerà i giacimenti siberiani utilizzati per fornire l’Europa, quelli ad ovest per intenderci, ponendo, in tal modo, Cina ed Europa in uno stato concorrenza nell’approvvigionamento del gas russo. Sebbene gli accordi economici nel commercio del gas naturale tra Russia e Cina fossero inevitabili, dato il crescente mercato della domanda cinese e la vicinanza territoriale con le riserve siberiane, la crisi ucraina ha giocato senza dubbio un ruolo cruciale nel consolidamento delle relazioni sino-russe. Una carta in più, a disposizione del Cremlino, da giocare nella partita con l’Antitrust europea.

L’elemento della diversificazione infrastrutturale, tuttavia, connota profondamente anche la politica energetica europea. La necessità di alimentare un economia fortemente industrializzata, qual è quella del vecchio continente, e la volontà di superare l’eccessiva dipendenza dalle fonti energetiche russe, ha imposto all’UE una strategia che puntasse a rintracciare partner economici alternativi a Gazprom e alla rete di fornitura russa.

L’elemento principale di questa strategia della diversificazioni delle fonti energetiche è rappresentato dal progetto del gasdotto TAP, acronimo di Trans Adriatic Pipeline. Come per il Turkish Stream, anche questa conduttura del gas dovrebbe passare attraverso il suolo turco, per raggiungere, poi, via mare, l’Europa, in particolare le coste pugliesi dell’Italia. Dai grandi giacimenti gassiferi di Shah Deniz, in Azerbaijan, fino a San Foca (Lecce), in Puglia, passando attraverso Turchia e Grecia, il TAP dovrebbe permettere all’Europa di ridurre la dipendenza da Mosca, attraverso le forniture di gas naturale azero proveniente dai giacimenti del Mar Caspio. Fortemente sostenuto dai governi occidentali, il TAP rischia di porsi in seria competizione con il progetto del Turkish Stream e con le forniture di gas russo. Tuttavia, alla luce dell’attuale fabbisogno europeo e del relativo mercato della domanda in calo, la costruzione di nuovi gasdotti non sembra giustificata da reali esigenze economiche e commerciali.

Appare evidente come le strategie in campo energetico e del gas naturale vengano, pertanto, dirette da ragioni di politica estera. Lo stesso sostegno al TAP da parte degli Stati Uniti è legato, da un lato agli interessi di esportazione in Europa del GNL [10], di cui gli USA sono produttori, e dall’altro dalla connessa esigenza di bloccare il piano russo di aggiramento del problema ucraino nella fornitura di gas naturale ai Paesi dell’Europa occidentale, ponendo in concorrenza al South Stream, prima, e al Turkish Stream, adesso, il canale di trasporto del gas azero.

Ancora una volta, emerge come all’interno del mercato dell’energia le valutazioni poste in essere dagli attori internazionali non siano mosse da ragioni puramente economiche, ma profondamente influenzate da ragioni di politica internazionale.

Cosa cambia nei rapporti tra Mosca e Bruxelles?

Il comportamento dell’Europa nei confronti della Russia, quale partner privilegiato ed esclusivo nelle forniture di gas, è da sempre stato caratterizzato dal sovrapporsi di due ordini di interessi. L’esigenza di una sicurezza energetica e l’obiettivo dell’economicità delle forniture, sono stati spesso, se non sempre, condizionati da interessi di politica internazionale.

Da un punto di vista economico, l’UE, quale grande acquirente di gas, a cui la Russia fornisce un terzo del fabbisogno, dovrebbe avere come principale obiettivo l’ottenimento di prezzi più vantaggiosi da Gazprom. Pertanto, se la questione riguardasse solo una disputa relativa ai prezzi, si potrebbe dire che l’Europa sia molto vicina all’obiettivo in questione. Il calo dei consumi nel mercato energetico, i bassi prezzi dovuti ai mercati spot e all’offerta di fonti alternative, una su tutte il GNL, hanno spinto verso una rinegoziazione dei contratti, raggiungendo discreto successo, soprattutto in Europa occidentale. È evidente, pertanto, che il cuore della questione non è tanto di carattere economico, né tantomeno giuridico. D’altronde, così come commentava un alto rappresentante del consorzio del TAP nel 2011, “Pipes are 90% politics and 10% steel” [11].

Sebbene il rapporto economico-energetico tra Russia ed Europa, per decenni connotato da una interdipendenza quasi esclusiva, pare, oggi, giungere ad un punto di svolta storico, difficilmente si assisterà ad una sua fine improvvisa. È bene ricordare che, l’Europa dispone di riserve di gas e petrolio limitate, per lo più concentrate in Olanda e nel Mare del Nord – i cui giacimenti si stanno, oltretutto, progressivamente esaurendo –, non sufficienti a reggere un’economia altamente industrializzata come quella europea. Il gas naturale assume, pertanto, un ruolo fondamentale all’interno del paniere energetico del vecchio continente.

Al momento, la Russia è il primo fornitore di gas naturale dei Paesi UE [12]. Un terzo del gas importato in Unione Europea è di provenienza russa. Gazprom ha, pertanto, nell’Europa occidentale il suo cliente principale nell’esportazione di gas se si considera, inoltre, che tali forniture sono stipulate in base a contratti di lungo periodo.

Da un simile quadro, emerge una situazione di mutua dipendenza, tra Paesi UE e Federazione Russa, la quale rappresenta la maggiore garanzia in merito al proseguimento dei flussi energetici e delle relazioni fra i due partner economici.

Lo scenario consegnatoci mostra come, da un lato, governo russo e Paesi UE agiscano al fine di preservare l’interscambio reciproco esistente e, al tempo stesso, operino nel campo della diversificazione alla ricerca di nuove cooperazioni economiche.

È probabile che, in futuro, ciò conduca a un esito positivo, in un’ottica di riequilibrio dei rapporti fra le parti, purché si riescano a tenere distinte le considerazioni di tipo politico ed economico.

Claudio Giovannico è OPI Contributor

[1] Cfr. “Antitrust: Commission sends Statement of Objections to Gazprom – Factsheet” -

[2] Secondo quanto emerso dall’indagine della Commissione europea, i Paesi Baltici pagherebbero un prezzo del 20% superiore alla media europea, la Polonia del 14%, la Bulgaria dell’11%, e la Repubblica Ceca del 10%. Allo stesso tempo, Ungheria e Slovacchia pagherebbero circa il 10% in meno rispetto alla media degli altri Paesi europei.

[3] Detto anche “mercato a pronti” o “mercato cash”, poiché la liquidazione dei contratti di compravendita negoziati in ogni giornata è eseguita con un differimento molto breve (pochi giorni), tramite meccanismi di negoziazione continua e di aste.

[4] Tuttavia, il prezzo del petrolio resterà comunque una delle variabili che influenzano il mercato.

[5] R. URBAN, La guerra del gas nello scacchiere europeo, in Staffetta Quotidiana, 30/04/2015.

[6] Art. 102 del TFUE: “È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:

a) nell’imporre direttamente od indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque;

b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;

c) nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;

d) nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi”.

[7] Cfr. intervista del Wall Street Journal alla Vestager.

[8] UE e FMI sono i garanti dell’Ucraina in caso di sua insolvenza.

[9] A questi seguì il Blue Stream, costruito tra il 2001 e il 2004 e destinato al mercato turco, uno dei più emergenti in quegli anni. Anche in questo caso il passaggio sul suolo ucraino viene evitato, facendo passare il gasdotto attraverso il Mar Nero.

[10] Il gas naturale liquefatto (GNL o LNG, dall’inglese liquefied natural gas).

[11] DAI Guojun, A New Perspective of “Pipeconomics”: Case Study of the Russia-EU Gas Pipeline Competition, in Education for Public Inquiry and International Citizenship (EPIIC) International Symposium, Selected Papers of Peking University Delegation, Russia in the XXI Century, p. 8, 2015.

[12] Con una quota del 27% del gas importato in Europa. Seguono Norvegia (23%), Algeria (8%) e altri fornitori minori come Libia e Qatar.

Photo credits: Yves Herman/Reuters

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