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Evento messianico

Creato il 01 maggio 2011 da Harlan1985
Avanzo nella folla densa. Sguscio come aria sabbiosa tra i corpi sudati. I fedeli soffocano nel caldo, la gabbia toracica accartocciata nella calca, ma dinnanzi a me si ritraggono, comprimono lo spazio vitale fino a renderlo sottile come un ago. Non è la puzza dei miei piedi, che si scioglie alla perfezione nelle zaffate di sudore vivo che la massa emana, ma il tocco appiccicoso del mio sangue a seminare urla e invocazioni a Dio – mai tanto inappropriate, bontà loro. È il terrore a balenare nei loro occhi quando scorgono il cuoio capelluto strappato, la crepa nella scatola cranica attraverso cui si intravede il bianco del cervello. Io cammino a mani aperte perché non c'è nulla da temere, ma loro temono me. Basta un soffio di vento per spazzare via l'umanità, e con essa la ragione, dal cuore degli uomini. Basterebbe distogliere lo sguardo, guardare con i loro occhi i miei occhi, per capire che non devono avere paura, ma non lo fanno. Anche la fede che dicono di professare espone radici troppo fragili, di fronte al mio sangue. Loro dicono, o credono, di credere, ma non credono. È evidente, ormai. Sono qui, esseri di tutti i colori, le mani strette sui rosari appena acquistati, gli zaini pieni di bottigliette d'acqua e oggetti di plastica marchiati con un'immagine che al loro ritorno a casa sarà già sbiadita, e mi guardano con terrore, e non capiscono nulla. Eppure sarebbe facile capire, in questo giorno luminoso, se usassero la ragione, lo strumento che più di tutto il resto rende l'uomo divino. Non la usano come non la usarono duemila e undici anni fa, quando ebbero paura di chi si mescolò agli ultimi per predicare l'amore e la fratellanza. Sono accecati dalle cerimonie e dai paramenti dorati che generano non comunione, ma divisione. Non c'è santità, non c'è beatitudine nella luce posticcia di questa celebrazione.
Per questo cammino tra loro, oggi. I miei occhi parleranno a chi vorrà ascoltare, e chi vorrà vedere vedrà il sorriso di chi, come me, ha sudato per vent'anni sopra i tetti delle case, con una cazzuola in una mano e un secchiello di cemento nell'altra. Lo stesso sorriso con cui sono morto per colpa di un mattone vagabondo, perché quel giorno avevo dimenticato l'elmetto. Lo stesso sorriso con cui la sera, per vent'anni, sono tornato a casa, felice di aver fatto il mio dovere. Per questo sono stato scelto. E così oggi, Primo Maggio, il giorno più santo di tutti, cammino tra loro, come duemila e undici anni fa, e dopo duemila e undici anni vedo la stessa confusione, lo stesso mercimonio, la stessa cecità. Nessuno mi ascolta, ma io ho fede, e sono certo che altrove, in altri posti, tra altre genti, qualcuno mi tenderà la mano. E forse questa volta ascolterà davvero.

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