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“Falene”: taralli a Paris in un noir grottesco e indipendente

Creato il 23 novembre 2011 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

“Falene”: taralli a Paris in un noir grottesco e indipendente

Se ne stanno lì, in giacca e cravatta, sotto un lampione del porto di Bari, a parlare di tutto e niente, del più e del meno, passando senza soluzione di continuità da puttane redente a cefali e spigole, da Jacques Prevert a Giuseppe Verdi, da amore fisico ad amore mentale, da “femmine fatte come femmine” a mani da (non) stringere ai parigini padroni di cani. Aspettando un Godot che arriverà e ne buscherà di santa ragione in nome di un’impresa infantile quanto irrinunciabile. Protagoniste due falene antropomorfe interpretate dalla strana e straordinaria coppia Totò Onnis e Paolo Sassanelli.

Scritto da Andrej Longo, Falene di Andres Arce Maldonado è un’opera che solo il cinema indipendente poteva partorire. Cinema della parola di forte impianto teatrale, Falene diverte, portandoci a ridere dell’assurdo e del surreale come raramente capita. Memorabile la sequenza in cui si progetta la vendita di “taralli” sui boulevard di Paris. Campo-controcampo e campi lunghi si alternano a zoomate improvvise sui volti dei due personaggi che, anche grazie all’ottimo montaggio di Gabriella Cristiani (premio Oscar nel 1987 con L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci), mischiano smorfie da tragedia greca a boccacce leonine, risate soffocate e liberatorie a dubbiosi sguardi in cagnesco. E sono i dialoghi a far da pradroni, per di più in un barese che rende tutto più grottesco ed esilarante, barese senza il quale saremmo a parlare di tutt’altro film (ben più noioso). Un non-contenuto che si fa contenuto, su un palcoscenico buio che puzza di pesce e che s’illumina sono nell’ultima sguarcio di film.

E’ proprio su Enzo e Tonino, ovvero Onnis e Sassanelli, che si regge l’intera opera. Una performance eccezionale, che colma le lacune di una regia ancora grezza, incerta. Maldonado serve i suoi attori, si affida a loro, alla loro abilità. Così bravi che talvolta ci sembrano recitare “a canovaccio”, liberi da una sceneggiatura stesa a tavolino, come trascinati da un’improvvisazione cosciente da comici dell’arte (dell’assurdo).

Nonostante quindi alcune inevitabili sbavature ed un finale che sa di raffazzonato con un improvviso quanto stonato turning point che tronca la vicenda, Falene è un film da sostenere, segnale di un cinema che sa abbandonare le vie battute per intraprendere quelle strette, ghiaiose, non asfaltate, faticose, che conducono a giardini meravigliosi destinati solo a pochi capitani coraggiosi. Onore quindi a Distribuzione Indipendente per aver intrapreso quest’avventura che, per fortuna, propone film-pecore nere in uno sterminato gregge di pecore bianche. Perché il nero, come quello indossato dalle falene, paradossalmente fa colore e brilla di luce (parigina) nel grigio piattume del cinema italiano di oggi. Quella luce che attrae Enzo e Tonino, ma anche tutti noi.



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