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FAR EAST FILM FESTIVAL 13: “Floating Lives” di Nguyen Phan Quang Binh

Creato il 02 maggio 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Nel 2010 il progetto filmico fortemente desiderato da Nguyen Phan Quang Binh vede finalmente la luce a distanza di otto anni dalla nascita dell’idea. Infatti, dal 2002 – anno d’esordio cinematografico con Song of the Stork – il regista vietnamita corteggia il romanzo di Nguyen Thi Ngoc Tu intitolato Boundless Rice Field per realizzarne un adattamento cinematografico. Il lungo e tortuoso percorso produttivo di Floating Lives – ostacolato dalla difficoltà ambientale dei luoghi limitrofi al fiume Mekong e dalla censura – non impedisce a Nguyen Phan Quang Binh di realizzare un appassionato lavoro dell’immagine dove luoghi, ritratti e azioni hanno un potenziale simbolico forte e penetrante.

Il film si apre con una scena di violenza inaudita perpetrata da un gruppo di donne su una giovane prostituta, Suong (Do Thi Hai Yen), accusata di aver sedotto i loro mariti. A salvarle la vita è Dien (Vo Thanh Hoa), un adolescente testimone della crudeltà che anima le mogli tradite. Grazie all’intervento del sensibile ragazzo, Suong riesce a raggiungere la barca di suo padre, Vo (Dustin Nguyen), un burbero uomo solo, evidentemente contrariato dall’arrivo della donna. Ad accoglierla, invece, ci pensa la dolce Nuong (Ninh Duong Lan Ngoc), sorella maggiore di Dien. L’arrivo di Suong a bordo della barca risveglia sopiti sentimenti nel cuore dei tre personaggi: diventa una madre per Nuong, un desiderio amoroso per Dien e un oggetto su cui riversare odio e disprezzo per Vo. Quando Suong si unisce alla famiglia lacerata, la radio annuncia l’epidemia aviaria.

Le acque del fiume Mekong trascinano le vite galleggianti prive di ancoraggio sociale e famigliare del quartetto, a riva e sulla barca si consumano i drammi dei personaggi. Il tradimento e l’abbandono da parte della moglie di Vo hanno innescato in lui la rabbia e il risentimento verso i suoi figli, tormentati da un vuoto sentimentale in cui sembrano intrappolati. Per volontà di un padre ostile, i tre vagano lungo il Mekong senza meta e senza fissa dimora, obbligati all’isolamento culturale e sociale e costretti ad allevare anatre.

In Floating lives lo sfondo sociale che fa da contesto alla narrazione interferisce con la sfera intima dei quattro reietti solo per complicarla e per acuire la crisi delle loro vite interrotte. L’esistenza dei personaggi è sospesa in uno stato di pura sopravvivenza, è una non-vita priva di coordinate temporali e spaziali, disorientata e senza uno scopo da perseguire. La barca, intesa come luogo vitale in cui agiscono e si incontrano i protagonisti, è una metafora dello stato in cui essi versano: come la barca galleggia e si lascia condurre dalla corrente del fiume, così gli smarriti personaggi della storia restano a galla, non affondano ma allo stesso tempo non si muovono, trascinati da una mano più forte della loro volontà, il destino a cui si sono abbandonati. Il dramma famigliare e personale nasce dall’incapacità di perdonare l’oltraggio subito, la punizione auto inflitta è il rifiuto di amare, da cui scaturisce il girovagare in una condizione di non umanità. La rinuncia all’amore di Vo intossica chi gli è vicino e finisce con il devastare il già fragile nucleo famigliare. Sarà la coraggiosa Nuong a interrompere la catena di odio compiendo un eversivo atto d’amore e di perdono.

Nella ristrettezza dei luoghi, il regista riesce a dirigere gli attori in un intreccio relazionale difficile e conflittuale, guidandoli lungo un tragitto di salvezza fatto di sguardi intensi e di silenziose azioni.

Il film dimostra una decisa progettualità di regia visualizzata nella costruzione degli spazi scenici, nella espressività richiesta agli attori (grandi interpreti del proprio personaggio) e una coerenza narrativa non sempre supportata dalla credibilità delle scelte visive.

Francesca Vantaggiato


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