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Farsa in Laguna: lo stop delle navi era “imprudente”

Creato il 19 marzo 2014 da Albertocapece

venice-cruise-ship-20130115111058720936-620x349Anna Lombroso per il Simplicissimus

Buone notizie per gli amanti del filone catastrofico, per gli aficionados delle immagini crudamente rovinologiche, crollo delle due torri, dirette dal terremoto, tsunami in corso. Potrebbero avere la fortuna di assistere al violento sgretolamento di San Marco, alla piazzetta infilzata da una prora come fosse una banderilla. Che poi, diciamolo, tutte quelle vecchie pietre rottamate possono essere anche un bel business, se i Lombardo con gli avanzi dei marmi di San Zaccaria tirarono su Santa Maria dei Miracoli. Ma quelli erano tempi di miracoli della bellezza, appunto e oggi c’è da temere un centro commerciale, la riesumazione di una torre a perenne memoria di stilisti megalomani, un ponte futile, impronta di sindaci poco efficaci.

Eh si, le grandi navi da crociera torneranno a transitare sfiorando e non solo simbolicamente  piazza San Marco, senza limiti, fino a data da destinarsi. Lo ha deciso il Tar bocciando le limitazioni al “traffico” imposte dall’ordinanza della Capitaneria, esecutiva del decreto governativo: una riduzione del 12,5%  per il 2014 e il divieto d’ingresso alle navi superiori alle 96 mila tonnellate per il 2015.

Il Tar ha dunque dato ragione  ai  due ricorsi presentati da Venezia terminal passeggeri e da otto imprese portuali insieme al comitato Cruise Venice, insomma la cordata degli unici soggetti che, insieme all’Autorità del Porto, hanno un interesse reale a reiterare un crimine ai danni della città, della sua storia, del suo ambiente, della salute dei suoi abitanti, del buon gusto e del buonsenso, visto che perfino l’Università di Ca’ Foscari, che non si può certo considerare allineata con luddisti o fautori della decrescita, ha accertato che le ricadute economiche per i veneziani sono irrisorie soprattutto a fronte dei danni e dei costi ambientali, sanitari e sociali. Perché pare che nessuno calcoli gli effetti sull’attrattività di una città che costituisce un richiamo per la comunità internazionale e che viene giustamente considerata un patrimonio universale, di scelte dissennate, dell’indifferenza per la sua tutela, dell’acquiescenza ottura ai diktat del profitto più dissipato.

Paradossalmente la scelta a dir poco imprudente di fa passare navi grosse come condomini attraverso uno dei luoghi più vulnerabili e delicati del mondo, non preoccupa il Tar che invece fa professione di cautela e circospezione nel “condannare” le misure del governo, che a tutti erano sembrate riduttive, accusandole di porsi in contrasto con la  gradualità necessaria richiesta dalla realizzazione di una alternativa praticabile. In un colpo solo dunque il Tribunale dà licenza di catastrofe possibile e prevedibile concedendo il transito e di catastrofe ambientale futura e ancora più prevedibile “auspicando” lo scavo di un nuovo canale con tutte le conseguenze sull’equilibrio lagunare.  Con una impennata di inaudita sfrontatezza il Tar, nel denunciare l’inadeguatezza dell’istruttoria effettuata, come se la Costa Concordia non fosse sufficiente come trailer, lamenta che il  provvedimento non ha condotto “un’esauriente ponderazione delle specifiche valutazioni dei rischi, assunti a fondamento delle misure mitigatorie in esame”. E dire che perfino il tentennante Comune di Venezia per bocca di uno dei sindaci più irresoluti e inefficaci tra i tanti che si sono susseguiti – anche lui fashion victim delle fastose e opulente prospettive di sviluppo dell’outlet Venezia, disegnate dai veri padroni della città:  Consorzio Venezia Nuova, Autorità portuale, mecenati pelosi, stilisti franco-veneti, sceicchi in vena di shopping, maglieristi pronti a fare anche i magliari per aggiudicarsi a prezzi di svendita i gioielli artistici della città, rinnovatori instancabili convinti che il costruttivismo sia la naturale evoluzione della distruzione, teoria che ha sempre fatto la fortuna dell’industria bellica, anche quella condotta via mare – perfino lui  aveva deciso di impugnare l’ordinanza  reputando   troppo «light», come si direbbe oggi, quel taglio del 12,5% a fronte dell’indirizzo del governo che diceva «fino al 2=%».

Esultano i legali dei corsari,  che avevano condotto una linea difensiva del turismo criminale  attribuendo ai limiti risibili  finalità meramente «estetiche», non di sicurezza o ambientali: è un’ordinanza coraggiosa, gioiscono, perché i giudici non si sono fatti influenzare dall’emozionalità e dal clima. Adesso occorre che la politica riprenda in mano la questione e decida. Se ci invitano noi siamo disposti a sederci a un tavolo per individuare le vie di accesso alternative alla Marittima.

Two business it’s meglio che one, così da una parte si appaga il delirio di onnipotenza di armatori, di forzati delle crociere che si esaltano a guardare il modellino della Serenissima dal sesto piano, dell’avidissima Agenzia Portuale che riscuote i diritti di transito, dall’altra si realizzano i grandi progetti di grandi opere di grandi scavatori, sempre gli stessi poliedrici, multitasking, incaricati di tirar su barriere mobili, di abbattere preziosi monumenti, di manomettere delicati equilibri e  di bonificare, di comprare e rivendere, di studiare e realizzare, contravvenendo a qualsiasi principio regoli il conflitto di interessi e attribuzione di competenze.

Suggeriremmo al condannato più famoso degli ultimi 150 anni di assumere i legali dei pirati nel suo collegio di difesa, per la collaudata  abilità nel dileggio dei principi basilari di responsabilità e precauzione che perfino l’Europa chiede, nella proclamazione della gerarchia egemonica che antepone il profitto alla sicurezza, alla salvaguardia di ambiente e patrimonio culturale e artistico, al consenso dei cittadini coinvolti, istanza quest’ultima ormai talmente fuori moda da poter essere ridicolizzata tramite leggi e riforme bipartisan e ecumeniche.


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