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“Femminiello, femminielli”. Un approccio antropologico e letterario

Da Uiallalla
Proponiamo un estratto da “Genere: femminielli. Esplorazioni antropologiche e psicologiche” curato da Eugenio Zito e Paolo Valerio (Dante & Descartes) che sarà presentato mercoledì 6 novembre alle ore 18.30 al Chiaja Hotel (in via Chiaia 216) nell’ambito della rassegna Poetè.

la copertina del libroC’è una figura particolare a Napoli, e nella sua regione, la Campania, che non si ritrova altrove in Italia, comprese le altre regioni del sud, come la Sicilia, si tratta del femminiello (plurale: femminielli) o effeminato. Più precisamente il femminiello, malgrado quello che si crede, non è una figura tipica dei Quartieri Spagnoli di Napoli, infatti lo si ritrova in altre zone della città, e non lo si incontra solo a Napoli, ma è presente anche in altre località della Campania. E così nel corso di diverse campagne di ricerca condotte tra il 2004 e il 2007 in Campania e a Napoli, in particolare nei Quartieri Spagnoli, abbiamo potuto conoscerne alcuni, ed osservarli mentre agivano nel loro quartiere, nella loro famiglia, e durante le loro attività.

Oltre a questi dati etnografici basati sull’osservazione partecipante e su interviste, ci avvarremo anche del romanzo di un autore napoletano, Giuseppe Patroni Griffi (nato nel 1921), “Scende giù per Toledo” (1990, ed. or. 1975), che, per quanto di fantasia, costituisce una testimonianza preziosa sul modo di vivere, di parlare e di pensare dei femminielli napoletani.

Infatti, secondo noi, nessuno meglio di un romanziere può restituire in modo preciso ed evidente il tessuto della loro vita soggettiva, cioè i loro sentimenti, il loro dramma, la loro fantasia, la loro crudeltà, la loro poesia e i loro sogni.

Sembra che la figura tradizionale del femminiello sia esistita anche in Spagna sotto altro nome, e si può avanzare l’ipotesi che la sua specificità a Napoli e in Campania dipenda dall’influenza di elementi culturali derivanti dalla dominazione spagnola durata nella regione due secoli, dal 1503 al 1707. I Quartieri Spagnoli dove si trovano molti dei femminielli devono, del resto, il loro nome ad un antico campo militare spagnolo insediatosi nel XV secolo. Inoltre a un livello più aristocratico, Napoli a partire dal XVI secolo è stata storicamente il luogo di provenienza dei castrati che cantavano con la loro voce acuta sulle scene d’opera più importanti d’Europa, come Carlo Broschi, detto Farinelli, o Caffarelli nel XVIII secolo (Fernandez e Schifano, 1983). Ma la figura popolare del femminiello è in sé molto diversa dal castrato napoletano in quanto non viene affatto evirato prima della pubertà.

Lo studioso di folklore Abele De Blasio, nel suo libro “Usi e costumi dei camorristi” pubblicato nel 1897, testimonia dell’esistenza dei femminielli a Napoli nel XIX secolo. Essendo il termine femminiello diventato un po’ folkloristico, gli individui interessati l’utilizzano raramente per autonominarsi. All’inizio della nostra ricerca, non conoscendo nei minimi particolari le ragioni di tale denominazione chiedemmo proprio ad uno di loro se egli si dicesse femminiello, si mise a ridere e ci spiegò che non si doveva chiedere una tale cosa, stupito per altro che una straniera conoscesse questo termine tipicamente napoletano.

Oggi, certi femminielli preferiscono usare il termine ricchione riferito a se stessi, termine con una connotazione peggiorativa che rinvia in italiano ad un orientamento sessuale preciso, quello dell’omossessuale passivo, ma che essi usano per se stessi con una certa fierezza, secondo un rovesciamento dello stigma noto in altri ambienti omossessuali, si pensi allíuso che taluni gay fanno in Francia del termine pédé, o ancora negli Stati Uniti e poi in Europa del termine queer che significa bizzarro. Questi femminielli preferiscono così utilizzare una categoria più moderna, legata alla loro sessualità, piuttosto che una categoria che a loro sembra desueta e folkloristica.

Così, a differenza dei trans, i femminielli fanno riferimento più spesso ad una identità maschile di tipo omossessuale, agghindandosi esteriormente con segni di femminilità e svolgendo dei ruoli femminili. Già il termine femminiello è al maschile e non al femminile, designa letteralmente l’effeminato, cioè un uomo biologico che ha un’apparenza femminile.

Tenuto conto della loro identità di uomini effeminati, non impiegheremo il termine trans a proposito dei femminielli. Quelli che abbiamo incontrati non hanno mai usato per se stessi la categoria di trans, nel senso di travestito, di transgender o di transessuale. Categoria che si riferisce ad un’identità di genere, e che, in generale, è riservata ad individui che hanno trasformato l’apparenza fisica del loro corpo, sia con l’assunzione di ormoni, sia con interventi di chirurgia estetica per aumentare il seno, sia con la riconversione chirurgica dei genitali (Fortier e Brunet, 2012).

Il termine femminiello ben corrisponde alla realtà fisica dei femminielli che, in genere, non modificano il loro corpo; essi, più spesso, non hanno fatto ricorso agli ormoni o alla chirurgia estetica per avere dei seni, e conservano del resto il loro pene. La trasformazione fisica del loro corpo si limita a rasarsi, a depilarsi e a farsi crescere i capelli. In più il termine femminielli ben corrisponde alla loro realtà psichica, perché essi non si identificano con le donne e non mirano a essere riconosciuti in quanto tali come sperano in genere i trans.


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