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FESTIVAL DI CANNES 2011: “Melancholia” di Lars Von Trier (In Concorso)

Creato il 24 maggio 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Ineluttabile. È il destino di chi, per egoismo, vanagloria, mitomania o foia di essere, perde di vista la precisa ubicazione dei ruoli familiari e vi innesca l’inarrestabile caos. Il cinema di Lars Von Trier parla di ‘mala educazione’, e ha sviluppato il concetto della contrizione verso la prima formazione umana in maniera variopinta: nel linguaggio, nella forma, nella struttura, nei contenuti, nella stessa natura che fu del dogma. Porsi i limiti che a lui non erano stati imposti.

In questa fase della sua carriera e della sua vita, Von Trier ne percepisce l’amarezza, la dolorosa consapevolezza, e compone odi al fallimento della propria formazione personale. Se Antichrist era un grido di rabbia e odio, Melancholia, film gemello e, allo stesso tempo, evoluzione del precedente, è un lamento rassegnato verso l’inarrestabile fine. Quella apocalisse che sin dall’inizio del film è disvelata in una maniera sublime e visivamente estetizzata, che rievoca il surreale stridore di denti delle opere di Euronymous Bosch, reinterpretate da Dave Patchett.

Antares punta il pungiglione avvelenato sulla terra, un pianeta azzurro sta per cancellare via il pianeta cattivo, il nostro, che merita di morire. La prova che lo merita è lì nella festa di Matrimonio di Justine, abbracciata da familiari che apparentemente la amano, ma individualisticamente amano se stessi. In maniere diverse: simpatiche, cafone, egoiste, irrazionali, indecise, ma ognuno è preso da sé e inconsapevole del prossimo. Una madre rancorosa e sola, un padre mai cresciuto, una sorella che non riesce ad essere da esempio, un cognato collerico, un testimone interessato e, purtroppo, un marito evanescente. La famiglia ha fallito, la stirpe decreta la condanna. Quindi sì, il pianeta Terra merita di morire, perché corrotto dal di dentro, ma non con un tonfo, con un botto o con un’esplosione, ma con la morbida carezza di una luce azzurra, accompagnata dall’armonia di Beethoven. Definitivo (in tutti i sensi).

Gianluigi Perrone


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