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Filetto di manzo bardato con lardo di colonnata e pepe nero

Da Sbargigli

Stavolta la semplicità di preparazione di questo piatto supera qualsiasi altra ricetta che ho pubblicato. Servono al massimo 10 minuti di preparazione e 25 minuti di cottura in forno per ottenere un secondo piatto profumatissimo e saporitissimo! Sto parlando del filetto di manzo aromatizzato con lardo di colonnata e bacche di pepe rosso.Filetto di manzo bardato con lardo di colonnata e pepe nero
Il lardo di colonnata è un salume tipico toscano che prende il nome dal paese dove viene prodotto, Colonnata, appunto, ovvero un paesino in Toscana vicino a Carrara, famosa per il suo pregiato marmo. Un tempo il lardo di colonnata era il "companatico" dei cavatori, e deve la sua eccezionale bontà alla stagionatura, la cui origine più accreditata viene fatta risalire intorno all'anno Mille. Il lardo viene prodotto prendendo lo strato grasso della schiena del maiale, viene posto in una "conca" scavata in un blocco di marmo poche ore dopo la macellazione. La conca viene strofinata con aglio e aromi, sale naturale in grani, pepe nero, aglio fresco, rosmarino, salvia e altre erbe aromatiche; successivamente viene riempita a strati alternando il lardo al sale e agli aromi per essere poi coperta da una lastra di marmo. Il lardo rimane nella conca da sei a dieci mesi per la stagionatura: Il profumo del lardo è fragrante e il gusto è delicato: si consuma tagliato in fettine sottilissime adagiate su pane fresco appena scaldato. Il lardo è un salume semplice e povero. Sulle Apuane era l'ultimo degli alimenti. Lo chiamavano "cibo degli anarchici", perché i rifugiati in montagna dopo i moti del 1894 si portarono i maiali e sopravvissero nei loro rifugi grazie al grasso conservato sotto sale. Oggi invece il lardo di colonnata è una prelibatezza gastronomica che si trova nei più rinomati ristoranti del mondo.Le caratteristiche principali del Lardo di Colonnata che lo rendono unico in tutto il mondo sono la morbidezza, il colore ed il profumo. Senza dubbio il microclima determinato dalla compressione del lardo tra piani di spezie e pareti di marmo ed il particolare clima del luogo sono determinanti nel consentire la produzione di fette bianchissime, morbide dolci e profumate, nonostante la grande quantità di sale impiegata. Le temperature e i tassi di umidità di Colonnata sono infatti considerati ideali per la stagionatura del lardo.
Preparazione:Stendere le fette di lardo sul tagliere sovrapponendo leggermente una fetta sull'altra in modo da non lasciare spazi vuoti. Avvolgere la carne intorno al lardo e mantecare con tanto rosmarino e bacche di pepe rosso.Nella teglia ho aggiunto solo pochissimo olio visto che in cottura il lardo rilascerà i suoi olii essenziale e non ho messo sale perchè il sapore viene dato dal lardo.
Filetto di manzo bardato con lardo di colonnata e pepe nero
La cottura viene fatta nel forno preriscaldato a 200° per 25 minuti. Raggiunti i 20 minuti di cottura consiglio di effettuare delle incisioni sulla carne in modo da favorina anche la cottura nella parte più interna della carne. Non vi resta quindi che mangiare la carne abbinandola magari ad un buon bicchiere di vino rosso!Se poi vi avanzano qualche fetta di lardo vi do un consiglio....secondo me il modo migliore di mangiare il lardo di Colonnata, è quello di tagliarlo a fette sottilissime e gustarlo insieme al pane abbrustolito, meglio se senza sale proprio come il pane toscano. Oppure lasciarlo sciogliere leggermente sulla polenta......che delizia!
Filetto di manzo bardato con lardo di colonnata e pepe nero
Tips:Non so se lo sapevate ma il lardo di colonnata può sostituire la pancetta nei soffritti. Tagliato a dadi e fatto rosolare, condisce con il grasso scioltosi e i dadini divenuti croccanti insalate amare come misticanze, insaporite unicamente con poco sale e aceto. Barda volatili da cuocere al forno, ammorbidisce farcie e si avvolge intorno a ostriche o gamberi da cucinare in spiedino.
Storia culinaria della Toscana:Raccontare la Toscana gastronomica significa rievocare una tradizione culinaria antica, che nasce con la civiltà etrusca e culmina nei fasti dell’elegante e cosmopolita periodo mediceo. I biografi del tempo raccontano che quando Caterina de’ Medici, nel 1533, andò in Francia per sposare il figlio di re Francesco I, portò con sé alcuni tra i migliori cuochi di Firenze. La loro abilità culinaria non mancò di sorprendere i colleghi parigini che non si lasciarono sfuggire l’occasione di ribattezzare il “paparo alla melarancia” canard à l’orange, per poi rivendicarne la paternità. Ma non basta ripercorrere la storia di questa splendida regione per spiegare le origini di una cucina a un tempo sobria e gustosa, delicata e saporita, semplice e raffinata. Occorre anche prenderne in considerazione la geografia, il paesaggio dalla configurazione varia e ben marcata, i dolci rilievi collinari e le montagne che ne plasmano un quarto del territorio per digradare poi verso la pianura delimitata, a ovest, dal Mar Ligure e dal Tirreno. Qui, i rilievi si appiattiscono, formando una costa sabbiosa, intervallata solo dai rocciosi promontori di Piombino e dell’Argentario. Non è da tralasciare infine il clima che, influenzato dal regime mediterraneo, favorisce una ricca vegetazione che passa dalle palme spontanee alle conifere alpine. Protetta dalla dorsale appenninica da una parte, protesa verso il mare dall’altra, la Toscana è dunque una terra di equilibrio, una sorta di “giusto mezzo” tra le regioni italiane, che ha sempre conservato la propria compattezza territoriale e un’identità, fatta di forti tradizioni, lingua, cultura, e di uno spirito locale profondamente radicato. A eccezione di contingenze episodiche, come l’affermarsi della repubblica marinara di Pisa e la sorte della zona più settentrionale, che divenne in parte estense e in parte del ducato di Parma, la Toscana non fu mai smembrata e i suoi territori sono sempre stati legati a un unico destino. La lettura del suo paesaggio agrario vede nella sequenza dei colli l’habitat ideale per la coltura dell’olivo, della vite e per le coltivazioni ortofrutticole. I colli e i dorsali dell’Appennino offrono pascoli a greggi e mandrie, e a sud, in Maremma, i butteri ancora oggi scortano il bestiame a cavallo. Il risultato di una configurazione così ricca e diversificata è stato il naturale affermarsi di due cucine polarizzanti: una terragna, che sfrutta appieno le risorse del territorio, e una marinara, lungo la costa, con caratteristiche diverse man mano che si procede verso sud.La costa settentrionale, meglio nota come Versilia, propone molte preparazioni bianche, ovvero piatti eseguiti senza l’impiego del pomodoro, come il cacciucco viareggino e in genere gli umidi; nel Livornese e per tutta la riviera meridionale, invece, sono largamente utilizzati pomodoro e peperoncino, ingredienti introdotti nella regione in epoca moderna e da allora diventati irrinunciabili in molti piatti di pesce, come triglie, baccalà o stoccafisso, prima preparati in bianco. Lo stesso cacciucco alla livornese, che deve comprendere un numero di varietà ittiche pari almeno alle “c” contenute nel nome del piatto, prevede un’accurata cottura con olio, cipolla, aglio, pepe, pomodori sbucciati e vino rosso. L’impiego di spezie e aromi nella cucina rivierasca si intensificò, sia sulla costa sia nell’entroterra, quando Pisa divenne repubblica marinara, in virtù della fitta rete di rapporti commerciali con le aree mediorientali, soprattutto in seguito alla prima crociata. Questo dato riguarda i territori a sud, più aperti rispetto alle zone settentrionali verso le suggestioni di sapori e colori estranei al luogo, come lo zucchero di canna, introdotto dagli Arabi e coltivato per un certo tempo anche in Sicilia. L’abbondante impiego di spezie nella cucina antica trova una fedele testimonianza nel Libro di cocina, ricettario di un anonimo toscano del XIV secolo. L’autore, in quasi duecento ricette, descrive un uso diffuso e senza criterio di spezie e zucchero di canna, impiegati per esaltare il gusto di pesci, carni e verdure. Due pietanze di carne che, per la presenza dello zucchero, sembrano proprio discendere da quel periodo, sono la lepre in agrodolce e il cinghiale in “dolceforte” tipico della provincia di Grosseto, preparato con un intingolo di aceto, zucchero, uva passa, pinoli, cioccolato e canditi.A partire dal XV secolo l’intera regione si identifica con la repubblica fiorentina e, nonostante le numerose differenze locali, è la cucina di Firenze quella che ha maggiore visibilità. Giuseppe Cavazzana nel suo Itinerario gastronomico ed enologico d’Italia ricorda in proposito “Tutti i pregi della cucina toscana brillano a Firenze e molti piatti detti alla fiorentina van vittoriosi sulle mense di tutto il mondo” (Milano, 1949).Durante il periodo delle signorie, Firenze, in gara con Milano, Venezia e altri centri urbani, fa di tutto per costruirsi le residenze più belle e assicurarsi la collaborazione degli artisti migliori: anche l’allestimento di un banchetto assume le proporzioni e la magnificenza di una rappresentazione teatrale, più che di un evento gastronomico. Le tavole imbandite sono vere e proprie scenografie dove trionfi di carni, selvaggina, frutta, arricchiti persino da oro e pietre preziose, sorprendono la vista prima ancora di allietare il palato dei convitati. Con la casata dei Medici la Toscana, diventata granducato, raggiunge il culmine del suo splendore assurgendo al ruolo di protagonista della storia civile, politica e artistica dell’età rinascimentale.Risalgono a quel periodo molte delle ricette giunte sino a noi, come il cibreo, una portata a base di rigaglie di pollo, molto apprezzata da Caterina de’ Medici, e la bistecca alla fiorentina, una spessa fetta di lombata bovina comprensiva di filetto, cotta alla brace e cosparsa di sale. La cottura alla brace, sia alla griglia sia allo spiedo, un sistema praticato sin dal Medioevo per la sua semplicità, è ancora oggi molto diffuso nei ricettari regionali dell’Italia centrale, in particolare in Toscana, Umbria e Marche. L’evoluzione della bistecca alla fiorentina è la tagliata, generalmente condita con sale e olio extravergine di oliva. Un altro piatto derivato da antiche ricette è la ribollita, così definita perché si lascia raffreddare, si aggiunge altro olio crudo e si fa riprendere l’ebollizione poco prima di mettere in tavola; ha come ingrediente base il saporito cavolo nero, che è una forma primitiva di cavolo, e i fagioli (motivo per cui è conosciuta anche come zuppa di fagioli alla fiorentina). Prima dell’arrivo dei fagioli dalle Americhe, questa pietanza veniva preparata con piccoli fagioli color panna, i cosiddetti “fagiolini dall’occhio” per la presenza di un minuscolo anello nero al centro. Anche la panzanella, a base di ingredienti semplicissimi come pane casereccio raffermo e pomodori, e la pappa col pomodoro, celebrata da Vamba nel Giornalino di Gian Burrasca, sono piatti antichi. La scottiglia, tipica del Casentino (Arezzo), chiamata anche “cacciucco di terra” perché preparata con più carni, è una sorta di spezzatino che mescola carni di pollo, maiale, piccione e altro. Si tratta di un piatto contadino, nato quando più famiglie trascorrevano la serata in una stessa casa, in occasione di eventi particolari come l’arrivo di un cantastorie, una nascita o una festività. La mattina del giorno convenuto, ogni ospite portava in dono alla padrona di casa qualcosa per contribuire al pasto: chi un piccione, chi un pollo, chi un’anatra. Le carni tagliate a pezzi venivano poi fatte cuocere tutte insieme in una casseruola. In Maremma la scottiglia è preparata anche con carne di cinghiale, data la forte presenza di questi animali sul territorio. Nonostante l’omogeneità delle sue ricette, infatti, anche la Toscana presenta alcune differenze legate alle caratteristiche intrinseche alle singole zone. Un altro piatto di antichi natali, già noto al tempo degli Etruschi, è la zuppa di farro della Garfagnana; in questa parte della regione, l’antica coltura del farro non è mai stata soppiantata dalle coltivazioni a frumento e pertanto preparare questa zuppa significa ripetere ancora oggi gesti antichissimi e carichi di storia.Altri prodotti sono presenti sul territorio da secoli, come la castagna e il marrone di cui sono ricchi i boschi del Monte Amiata, del Mugello e della Lunigiana. Nutrienti e saporite, le castagne sono una fonte nutritiva importante e costituiscono la base di almeno una quindicina di ricette locali. Dalle castagne si estrae una specie di zucchero e la farina di neccio della Garfagnana che, nella zona, ha sempre sostituito quella di frumento per preparare sia il pane sia il rinomato castagnaccio, un dolce povero ma gustoso, soprattutto nelle varianti che prevedono l’aggiunta di noci, uvetta e pinoli. Ci sono poi alcuni piatti che rivelano il legame con altre regioni e altre abitudini: per esempio i testaroli, famosi nel Pontremolese, ricavati da una pastella cotta su un disco metallico o di cotto, chiamato “testo”. Una volta pronta, la pasta viene tagliata a grosse strisce, che vengono quindi cotte in acqua e condite con pesto o altre salse. Il piatto è davvero poco toscano e sancisce un punto di incontro tra la cultura gastronomica emiliano-romagnola, che prepara la piadina con una procedura identica a quella dei testaroli, e la ligure, depositaria del pesto.Nel patrimonio di una regione, flora, fauna, minerali e configurazione del terreno sono tutti elementi che si legano e contribuiscono a caratterizzare e rendere unici determinati prodotti. Persino il pregiato marmo estratto dai giacimenti delle Alpi Apuane ha avuto un inatteso ruolo in gastronomia: il rinomato lardo di Colonnata, infatti, viene aromatizzato e fatto stagionare proprio in vasche di marmo. (fonte: corriere cucina).


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