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Film stasera in tv: DIAZ – NON PULIRE QUESTO SANGUE (mart. 14 apr. 2015 – tv in chiaro)

Creato il 14 aprile 2015 da Luigilocatelli

Diaz – Don’t Clean Up This Blood (Non pulire questo sangue), Rai Movie, ore 23,10.
552076_332372830160755_868588022_nDiaz – Non pulire questo sangue, regia di Daniele Vicari. Con Claudio Santamaria, Elio Germano, Renato Scarpa, Jennifer Ulrich, Mattia Sbragia.
20124194_1 Il film di Daniele Vicari che ricostruisce il massacro della scuola Diaz nei giorni del G8 a Genova, e che due anni fa Berlino si è portato via un premio. Ribaldo, anche rozzo e ruvido, però la scena della mattanza è ricostruita con forza e resterà. Pur se in versione aggiornata e policizzata, Diaz riporta nel nostro cinema la furia dei poliziotteschi anni Settanta.

20124194_2Ricostruzione prodotta da Domenico Procacci, il signore della Fandango (raccogliendo anche capitali rumeni e francesi) dei famigerati fatti e fattacci che a Genova nel luglio 2001, ai giorni del G8, seguirono all’uccisione di Carlo Giuliani e all’assalto dei black bloc alla città. Cioè la famigerata irruzione poliziesca alla Diaz, uno dei posti che il Genoa Social Forum, punto di raccordo organizzativo della contestazione, aveva adibito a dormitorio per i manifestanti venuti da tutta Europa. Irruzione spiegata con la necessità di disarmare pericolosi blackblocchisti e che in realtà fu lo sfogo sadico delle forze dell’ordine, o di una loro parte almeno, dopo le tensioni del giorno prima e i ripetuti assalti subiti. Fu definita macelleria messicana, per la brutalità, e ancora di quei fatti, e del peggio che avvenne poco dopo nella questura di Bolzaneto dove furono portati alcuni ragazzi della Diaz, si continua a parlare, a scrivere. Cose che costarono l’incriminazione e la rimozione dai ranghi di decine di poliziotti e, su su, l’implicazione dell’allora capo della polizia Gianni De Gennaro, che negli anni successivi sarebbe stato prima condannato per istigazione a falsa testimonianza sui fatti della Diaz e poi prosciolto (novembre 2011) in sede di Cassazione.
A ormai tredici anni di distanza da quei giorni famigerati di Genova, 19-22 luglio, i fatti continuano a scottare e allungarsi in scie interminabili di scritti, denunce, documenti, memorialistica, e naturalmente una storia legale che coinvolge quali imputati sia agenti e rappresentanti dell’ordine e delle istituzioni che manifestanti. Ma in quella parte di movimenti che si può chiamare antagonista, altermondialista, allora antiglobal oggi forse indignados (lo so, le cose non sono la stessa cosa, diciamo che però alcune aree si sovrappongono) il G8 di Genova è diventato un evento mitologico, anche un mito fondativo della nuova guerra al capitale e all’internazionalismo finanziario predatore che da allora non è mai cessata e si riaccende con intermittenti fiammate. Quando un mito si è solidificato e cristallizzato, c’è poco spazio per una ricostruzione razionale, ce n’è molto di più invece per le passioni, le narrazioni calde e cariche di suggestioni, che più che far luce sui fatti creano una costellazione emotiva che entusiasma i già entusiasti e delude e fa incazzare chi già non è d’accordo. Diaz, Don’t Clean Up This Blood rientra in pieno in questo tipo di narrazione, dunque prendere o lasciare, si sappia già che è schierato ed è un ulteriore contributo alla definizione del suddetto mito. Anche se all’inizio il film mostra un assalto black bloc a un bancomat e a una macchina della polizia, il resto è tutto dedicata alla reazione furibonda e isterica (e ingiustificabile, sarà meglio dirlo subito) delle forze dell’ordine, che hanno cercato la loro rivincita entrando nella scuola Diaz manganellando e menando e fracassando cose e persone, e trascinando poi alcuni nella questura di Bolzaneto, dove di sangue ne è scorso ancora. Il tutto per raccattare un paio di molotov, qualche passamontagna o poco più. Diaz è tutto dalla parte dei manifestanti e del Genoa Social Forum, gli agenti dell’ordine o meglio chi li muove e li comanda vengono dipinti quasi tutti come degli orrendi sgherri e sbirri (a parte il personaggio del poliziotto buono e onesto Claudio Santamaria che cerca di fermare la follia ma non può, perché gli ordini per quanto insensati sono ordini). Francamente, avrei preferito qualche distinguo in più, spiegando chiaro e tondo che se non fossero stati i black bloc a lanciare per primi l’offensiva in città tutto quello che ne è seguito forse non sarebbe successo. Ciò detto, e dichiarato come la penso, il film com’è? Il film, nella sua dichiarata faziosità, è assai efficace, almeno fino ai suoi due terzi. Il regista Daniele Vicari con questo Diaz si apparenta allo Stefano Sollima di ACAB nel riportare nel cinema italiano il segno forte e rozzo della violenza, l’odore del sangue che era dei B-movie anni Settanta, di certi poliziotteschi, e poi perduto nelle lunghe ondate del cinema carino all’italiana. Nella prima parte la storia, pur convenzionale, è raccontata con gran mestiere e i fatti sagacemente ricostruiti, grazie a un montaggio magari rozzo e arrembante ma efficacissimo. Film affresco a più personaggi e più luoghi e situazioni, che man mano si incastrano e compongono il racconto. C’è il ragazzo responsabile della logistica del Genoa Social Forum, le ragazze che si occupano dell’assistenza legale dei manifestanti nei guai, il blac block bello e nero e fico che fa impazzire le ragazze e non solo loro, un pensionato della Cgil (Renato Scarpa!) che ha la cattiva idea di andarsene a dormire quella sera proprio alla Diaz, un giornalista francese che anche lui sceglie il posto sbagliato, i poliziotti cattivi (tanti) e il pulotto buono (Santamaria), il giornalista che si prende il giorno libero per andare a seguire i fatti e resta incastrato (Elio Germano). Dio mio, non è che lo scambio di battute tra lui e il collega all’inizio ci abbia ben disposto alla visione del film, cose come: “Ti tendi conto? A Genova succede quello che succede e noi dobbiamo stare qui davanti ai computer!”, “Ma anche così possiamo esere utili”, ” No – replica l’indignato Germano – il nostro dovere di giornalisti è stare dove succedono le cose e testimoniare”. Riporto a senso, non alla lettera, però il dialogo quello è. Ma vi pare possibile che ancora ci dobbiano sorbire il cliché del giornalista d’assalto che vuole stare a tu per tu con la Storia? Lo script non va mica tanto per il sottile, gli stereotipi si sprecano, i manifestanti son tutti giovani e carini, le ragazze, quasi tutte straniere, fighissime e si concedono contente tra un sacco a pelo e l’altro perché tra compagni (si diceva al G8? si dice ancora?) il sesso è bello, è tutta una cosa di gggiovani da gggiovani, e poi balli e canti e tamburi e tamburelli nelle piazze, dappertutto. L’anti G8 come una grande festa, che è stato anche così, però esagerare con le cartoline dei Saluti alternativi da Genova alla fine (e anche un po’ prima della fine) ci fa rischiare il coma zuccherino, nonostante il molto sangue messo in scena. Però un film, una storia, una narrazione lo sappiamo (ce lo hanno insegnato da Omero a Propp) funzionano alla grande quando ci sono i Buoni per cui tifare e i Cattivi da odiare, e qui i buoni sono loro, i ragazzi venuti da tutta Europa a cantare e ballare e protestare e sì, a tirare qualche molotovuccia di tanto in tanto ma così perché so’ ragazzi, e i cattivi sono i pulotti truci col manganello, il cascone e  gli scudi. Naturalmente tutti aspettiamo cinematograficamente il gran momento, che è la mattanza alla scuola Diaz, climax annunciato. Vicari non delude. La lunga sequenza se la giostra con mestiere. L’irruzione nella scuola nella notte, l’ammassarsi dei poliziotti all’esterno, lo sfondamento del cancello, la rincorsa di tutti quelli che sono dentro, e botte botte botte, sangue che schizza ovunque, teste sfracellate, braccia e gambe spezzate, umiliazioni al limite della tortura. Venti minuti, anche trenta, di tensione altissima e condotti con mano ribalda, un po’ da cinemaccio italico anni Settanta e un po’ da action americano del giorno d’oggi (e puro poliziottesco anni Settanta sono anche le riunioni in questura dove ci si lamenta dei magistrati troppo mollaccioni che rilasciano subito i facinorosi arrestati con tanta fatica, e siamo in pieno clima tipo La polizia incrimina, la legge assolve di Castellari, pure quallo guarda un po’ tutto girato a Genova, che fu città-sfondo di molti memorabili poliziotteschi). Poi il film si trascina, si sfilaccia, la storia viene ripresa e riproposta ma dal punto di vista dei vertici di polizia per farci capire come sia nata la sciagurata decisione di quella spedizione punitiva (“dobbiamo stanare i black bloc, trovare le armi, sono un pericolo”). La concitazione del post-massacro, con i poliziotti che manco si sono resi conto di quello che hanno combinato, i giornalisti increduli che incominciano a sospettare come siano andate le cose, le prime testimonianze dei menati, ecco, anche questa parte Vicari la gira benissimo. Ma quello che segue è interminabile, ripetivo, pleonastico, in certi momenti di una rozzezza insostenibile (va bene un po’ di ribalderia, ma la scena dell’interrogatorio della ragazza tedesca con il manganello esibito dall’agente come fallo e lei costretta a denudarsi è robaccia, e narrativamente-esteticamente ricorda sciaguratamente certi lager-movie anni Settanta pieni di SS ghignanti e sadiche e di povere detenute costrette a ogni abiezione). Sarebbe stato meglio finirla con il post-massacro, sintetizzare le conseguenze in poche ma efficace scene. Invece il film dura quasi due ore e dieci minuti, e davvero non se ne può più alla fine. Film fazioso, discreta prima parte, ottima la parte centrale del massacro, di noia pesante quel che viene dopo.


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