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Film stasera in tv: LA FRODE con Richard Gere (mart. 21 apr. 2015, tv in chiaro)

Creato il 21 aprile 2015 da Luigilocatelli

La frode, Canale 5, ore 21,11. Prima tv. PLa frode (Arbitrage), regia di Nicholas Jarecki. Con Richard Gere, Susan Sarandon, Tim Roth, Laetitia Casta, Britt Marling.

Richard Gere sul set con il regista Nicholas Jarecki

Richard Gere sul set con il regista Nicholas Jarecki

Parte come thriller finanziario tipo Margin Call, svolta in dramma professional-esistenziale. Un uomo ricco e potente si ritrova sull’orlo di un doppio fallimento, dovrà lottare per cavarsela. Ottimo Richard Gere, nominato ai Golden Globes. Voto tra il 6 e il 7

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In Buongiorno papà, film di Edoardo Leo di qualche anno fa, la ragazzina protagonista a chi le sta magnificando Richard Gere dice: “Chi? Quello con i capelli bianchi e il naso grosso?”. Vedendo questo La frode bisogna ammettere, pur se a malincuore, che ha ragione la suddetta rottamatrice di gloriosi attori. Richard è proprio invecchiato, tant’è che una mia vicina di poltrona al cinema commentava sconsolata: “Non sembra neanche lo stesso attore di American Gigolo“. Ah, parole sante signora mia. Però bravo è bravo, e in La frode come patriarca neosessantenne attaccato su tutti i fronti eppure indomabile se la cava dignitosissimamente. Giustamente nominato ai Golden Globes, e peccato che all’Oscar abbia sfiorato e non ottenuto la candidatura, l’avrebbe meritata. All’inizio sembra di assistere a un thriller finanziario del genere Margin Call, ma poi Arbitrage (così il titolo originale) svolta sul doppio binario del dramma esistenzial-familiare da una parte (amori, tradimenti e vari disastri) e professionale dall’altra, diventando una narrazione troppo intricata, stratificata e indecisa sulla direzione vera da prendere. La qual cosa è il limite di questo film, che ci avrebbe guadagnato a insistere di più sulla crisi finanziaria globale e la caduta degli dei di Manhattan, i magnati troppo ricchi e troppo furbi che ruotano intorno a Wall Street. Robert Miller ha 60 anni, è di smisurata ricchezza, una bella famiglia (moglie dedita alla charity glamorous, figli già in ditta con lui), un impero finanziario apparentemente solido, un’amante francese di professione gallerista a Manhattan (la galleria gliel’ha aperta lui, ovvio). Tutto perfetto. Troppo. In realtà si ritrova sull’orlo della bancarotta per via di speculazioni disgraziate e sbagliate – certe miniere di rame in Russia – e, dopo aver truccato i bilanci e nascosto la voragine anche ai suoi collaboratori, sta cercando di vendere la compagnia, cioè di rifilare la sòla, a un ignaro compratore. Ma per salvarsi deve chiudere il contratto, al più presto. È questione di pochi giorni, anzi di ore, il tempo stringe – letteralmente – come un cappio al collo. Però i guai, si sa, non vengono mai soli. Mentre una notte Robert sta portando l’amante in campagna incappa in incidente, la macchina sbanda, si ribalta, lei muore, lui ne esce quasi incolume, solo che adesso deve evitare lo scandalo, evitare che si sappia che aveva un’amante e che è il responsabile della sua morte. Ricordate Chappaquiddick e l’incidente con morte della segretaria che costò per sempre la carriera politica a Ted Kennedy? Ecco, una cosa così. Quel che poi vediamo è il nostro che cerca di evitare i due macigni – fallimento e accusa di omicidio – che stanno per cascargli addosso. La sceneggiatura è di quelle americane, cioè molto ben scritta, di mestiere altissimo, con una tensione che non cala mai e ti tiene inchiodato fino alla conclusione. Non un dialogo è fuori posto, la macchina narrativa procede con precisione cronometrica, i personaggi collaterali (la moglie, la figlia in carriera, l’amante, il ragazzo che lo soccorre) sono delineati al meglio. Il problema vero è che la parte finanziaria e quella privata non stanno troppo insieme e sembrano dar vita a due film diversi. Ce la farà Robert Miller a sopravvivere ai suoi guai? Niente spoiler.Dico solo che il peggior nemico non lo troverà là fuori, nel mondo, tra la polizia che gli sta adosso e gli sciacalli della finanza globalizzata, ma dentro casa. Un finale insopportabilmente moralistico e, ahinoi, veterofemminista in cui il maschio dominante viene punito da una donna vendicatrice e giustiziera. Sicchè vien da parteggiare per questo uomo, che sarà pure uno stronzo, un truffatore, un marito fedigrago, tutto quello che volete, ma che si è sempre dannato e sbattuto per mantenere negli agi e nei lussi la famiglia che si è ritrovata e che è comunque un gigante in un circo di nanerottoli. Attenzione, nella parte dell’amante francese c’è Laetitia Casta. Susan Sarandon è la moglie (apparentemente) succube.


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