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Film stasera in tv: VIVA LA LIBERTÀ con Toni Servillo (giov. 9 apr. 2015 – tv in chiaro)

Creato il 09 aprile 2015 da Luigilocatelli

Viva la libertà, Rai 3, ore 21,15. 15Viva la libertà, regia di Roberto Andò. Con Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Michela Cescon, Valeria Bruni Tedeschi, Anna Bonaiuto, Renato Scarpa, Gianrico Tedeschi.13Film buono, costruito con sano mestiere, una rarità nel panorama sciatto di certo nostro cinema presente. Però non quella grande opera di cui tanti hanno parlato. Viva la libertà cavalca con astuzia ma senza volgarità, anzi con signorilità, l’onda dell’antipolitica. E lo fa ricorrendo al vecchio espediente narrativo dei gemelli che si scambiano le parti. Voto 6Film stasera in tv: VIVA LA LIBERTÀ con Toni Servillo (giov. 9 apr. 2015 – tv in chiaro)Mi paiono fuori proporzione gli elogi e perfino gli entusiasmi piovuti da tanta stampa, soprattutto la più istituzionale, su questo pur discreto film. Certo, di fronte alla sciatteria di tanto cinema italiano del presente un prodotto come questo, confezionato secondo i modi antichi di un sano mestiere – sceneggiatura di ferro, macchina da presa usata con cognizione di causa anche se senza invenzioni, abile direzione degli attori – fa la sua figura. Però Viva la libertà porta anche i segni di un cinema remoto (no, non voglio dire vecchio, sarebbe volgare e anche ingiusto), inattuale, come da un pezzo non si fa più, ingessato in forme e linguaggi vetero-autoriali, un cinema che esibisce come fregi araldici e prove di nobiltà le citazioni colte, le strizzate d’occhio ai maestri riconosciuti (Fellini, Bertolucci), il presunto cosmopolitismo. Che poi sarebbe in questo caso qualche scena girata in Francia con relativo uso del francese. Si fa abbondante namedropping colto, al fine di mostrare la propria caratura intellettuale, e dunque via con Pascal, Shakespeare, Brecht, oltre a Sciascia e Pirandello non esplicitamente chiamati in causa, ma certo tenuti d’occhio nella messa a punto e nello sviluppo del plot (vedi il finale, davvero pirandelliano). Roberto Andò, regista, scrittore, autore teatrale, qui adatta al cinema insieme a Angelo Pasquini un suo romanzo, e lo fa con indubbia abilità, azzeccando probabilmente il miglior esito e anche il maggior successo commerciale della sua carriera (Viva la libertà al suo primo weekend di programmazione ha incassato bene, con una media per sala piuttosto alta, indice assai promettente per il prosieguo al box office). Ci immette anche un tono borghese piuttosto raro nel cinema italiano – quasi sempre plebeo per vocazione e necessità di mercato perfino quando si dice d’autore – , ci immette un’educazione, una discrezione, una signorilità, un’eleganza di scrittura e confezione rare che mi hanno fatto pensare a film di minoranza nel panorama di casa nostra come Quartetto Basileus di Fabio Carpi o Il disordine di Franco Brusati.
Che questo tono borghese-europeo e a tratti anche aristocratico lo si ritrovi in una storia ove si racconta di un partito di sinistra e del suo leader è solo una contraddizione apparente, poiché da molto tempo quel che resta del partito comunista e delle sue successive, molteplici e talora confuse reincarnazioni è diventato il rappresentante politico di parte dell’upper class del nostro paese (dagli ex radical chic alla già illuminata borghesia ai liberal, ma non liberali). Il pubblico che ieri faceva la fila per vedersi Viva la libertà qui all’Arlecchino a Milano e di cui ho parlato in un precedente post del resto ben riflette questo tipo e questo ceto sociale.
Il segretario del maggior partito di opposizione – nulla è esplicitamento detto, ma l’allusione al Pd è trasparente, si vede perfino a un certo punto un ritratto di Berlinguer alla parete – è in preda a una sorta di depressione, una signora lo contesta sguaiatamente a un convegno, i sondaggi sono in picchiata, l’elettorato di riferimento è perplesso e tentato da altre sirene. Di colpo Enrico Olivieri, questo il suo nome, molla tutto e sparisce (ah, Pirandello, ah Il fu Mattia Pascal, e anche Majorana secondo Sciascia). Il partito senza guida? Giammai, sarebbe un ulteriore precipitare nei sondaggi e forse la fine. Al suo assistente e spin doctor Bottini viene l’idea di rimpiazzarlo col gemello, brillante filosofo, autore col nome di Giovanni Ernani di libri ostici ma geniali: peccato solo si sia fatto parecchi anni in istituto psichiatrico per malattia mentale e ne sia appena stato dimesso. Ma le alternative non è che abbondino, così Bottini, d’accordo anche con la moglie del desaparecido, in gran segreto si accordo col gemello pazzo perché finga di essere per un po’ il segretario del partito, sperando che il vero prima o poi torni dal suo volontario esilio e tutto si sistemi. A convincerlo è l’intervista che Ernani, scambiato per il fratello segretario, rilascia a un giornalista, intervista assai poco convenzionale (si parla di paura come motore della politica) che ottiene una risonanza inaspettata. Naturalmente il pazzo dimostrerà di avere più cervello e astuzia politica del gemello sano, entusiasmando il partito e le folle con discorsi spiazzanti e di gran presa emotiva, ed ecco che i sondaggi schizzano a livelli mai visti. Intanto vediamo il fratello rifugiatosi a Parigi da una sua ex (conosciuta a un Festival di Cannes 25 anni prima!, un’altra esibizione di cultura alta e appartenza elitaria di questo film) cercare di mettere insieme i pezzi della propria vita esplosa. Un classico della commedia degli equivoci: quello dei gemelli che si scambiano tra loro è un espediente narrativo che risale quasi agli albori della nostra civiltà letteraria, un archetipo potente e sempre applicabile e ancora perfettamente funzionante. Andò lo usa abilmente, incrociandolo con un altro luogo narrativo vetusto e collaudato, quello del pazzo che paradossalmente sa gridare la verità e cogliere il senso delle cose meglio dei cosiddetti normali (a proposito: “i pazzi noi li chiamiamo voluti da Dio e vanno rispettati”, dice il nonno di Educazione siberiana, il film di Salvatores in uscita giovedì prossimo). Tutto questo Andò, ed è l’idea vincente del film, lo applica alla nostra smorta e plumbea politica di oggi, usando l’archetipale idea del doppio per immettere un po’ di disordine nei rituali stanchi del palazzo, per sovvertire, se non la sostanza, almeno l’apparenza e l’inerzia degli apparati burocratici di partito. Idea semplice semplice, anche ovvia diciamolo, anche populista e ruffiana, che però riesce a dar vita a un meccanismo drammaturgico crepitante e molto ben funzionante. Viva la libertà ha il pregio di cogliere e di dare rappresentazione all’attuale smarrimento popolare (e borghese) verso la moribonda politica come la vediamo e conosciamo, e ha l’astuzia, non so quanto voluta o casuale, di cavalcare la rabbia antipolitica ormai dilagante. Meglio un pazzo creativo, arguto e intelligente, che un grigio burocrate alla guida di un partito, suggerisce Andò, racogliendo consensi anche fin troppo facili in quest’Italia alla mercè di nuovi populisti e masanielli di ogni risma. Solo che Viva la libertà le virulenze e gli schiamazzi dell’antipolitica più plebea li smussa, li ammorbidisce, li perbenizza, li rende compatibili e accettabili per un pubblico (e un elettorato) che ama la compassatezza borghese e detesta lazzi e eccessi. Il suo matto al potere è un fine intellettuale, un signore ammodo, solo con qualche deragliamento psichico neanche così preoccupante, non ha niente da spartire coi demagoghi che oggi (giorno di elezioni!) affollano le nostre piazze più o meno televisive, più o meno virtuali. A inquietare, piuttosto, è come il pazzo Ernani del film la butti sul filosofico e ahinoi sul poetico, tirando in ballo nei suoi discorsi al popolo parole cariche di suggestioni pre-razionali come catastrofe, bellezza, passione, senza mai entrare nella concretezza delle cose e delle questioni. No grazie, non abbiamo bisogno di un poeta al potere e nemmeno di un filosofo, se mai di spiriti coraggiosi che sappiano guardare in faccia la realtà e comunicarcene la durezza. Di suggestioni, emozioni e commozione non sappiamo che farcene. Toni Servillo, nella parte del politico e del suo doppio folle, fa Toni Servillo e naturalmente strappa l’applausone. Ma il meglio è come sempre Valerio Mastandrea, qui nella parte dell’assistente e spin doctor che deve rimediare a tutti i casini. Menzione speciale per Gianrico Tedeschi quale padre nobile (e furbissimo) del partito. Una scena credo resterà di questo film, l’imprevedibile tango danzato a porte chiuse e a piedi nudi tra il finto segretario di partito e la cancelliera tedesca simil-Merkel in visita a Roma. A questo punto non resta che vedere a quanto arriverà al box office Viva la libertà e quanti premi incasserà nel prossimo futuro. Tenendo un occhio anche al mercato internazionale, dove (sempre che qualche disributore estero lo compri) potrebbe fare la sua figura. Uno dei pochi film recenti di nostra produzione potenzialmente in grado di arrivare più in là di Chiasso.


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