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[Film Zone] Il Fantasma dell’Opera di Rupert Julian (1925) #

Creato il 12 novembre 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

Il fantasma dell'OperaTitolo: Il Fantasma dell’Opera
Regista: Rupert Julian
Titolo originale: The Phantom of the Opera
Durata: 92 minuti
Anno: 1925 (muto)
Soggetto: Le Fantôme de l’Opéra di Gaston Leroux (1910)
Genere: Horror, Drammatico
Attori: Lon Chaney, Mary Philbin, Norman Kerry, Carla Leammle
 Voto[Film Zone] Il Fantasma dell’Opera di Rupert Julian (1925) #

Trama: Nei sotterranei del teatro dell’Opera si annida una presenza oscura e impalpabile che si manifesta senz’avviso seminando panico e disordine. Terribile nell’aspetto e genio autodidatta della musica, è escluso dal consorzio umano e vivrebbe nel più tetro isolamento se non avesse modo di istruire nell’arte del canto Christine Daaé, che vorrebbe condurre con sé, nel suo mondo sotterraneo, lontano da tutto e da tutti. La vicenda è un dipanarsi di moniti e ricatti affinché riesca nel suo intento.

Recensione: Tra tutte le riduzioni cinematografiche, quella di Rupert Julian è la più riuscita. Trattandosi di un film muto, sono le immagini, la mimica dei volti, la musica a esprimersi. Non le parole. Oserei dire che le didascalie inserite tra scena e scena sono superflue. Nel film si alternano i toni del dramma, del vero horror, ma anche della commedia e persino della farsa, in ciò rispettando il romanzo di Gaston Leroux.

Le riduzioni cinematografiche più recenti, ad esempio di Dario Argento (1998) e di Joel Schumacher (2004) si prendono un po’ troppe libertà: snaturano il testo originale nel proporre un fantasma che nel suo aspetto fisico poco indulge alle orrorifiche sembianze del mostro.

L’elemento fondamentale che si ritrova sia nel romanzo di Leroux, sia nel film di Rupert Julian è una perfetta simmetria tra l’aspetto fisico e quello psicologico del fantasma. Solo pensare di costruire un fantasma di buon cuore  ma dall’aspetto sgradevole, o peggio un fantasma di bell’aspetto ma dal cuore tenebroso provoca sconcerto.
[Film Zone] Il Fantasma dell’Opera di Rupert Julian (1925) #

Nel film del 1925, la cosa più sorprendente ed efficace è un miscuglio di bene e di male che produce una tonalità di grigio che può tendere al chiaro o allo scuro, allontanando o avvicinando un personaggio a un canone universalmente e socialmente accettato. Tutto ciò che eccede, sia in un verso sia nell’altro, è posto ai margini, scansato perché al di là della misura dell’umano.

Tanto gli angeli quanto le anime dannate risiedono in sfere che non appartengono alla società degli uomini i quali, per definizione, abitano una “terra di mezzo”, tra paradiso e inferno. Qualcosa del genere l’abbiamo intravista, un po’ di tempo fa, a proposito del film Beowulf di Zemeckis. Non diversamente accade nel Macbeth di Shakespeare dove egli appare disorientato e votato alla tragedia proprio perché esposto a due fuochi, tra la comunità della luce e quella delle tenebre (così si esprime il critico letterario Harold Bloom).

Da questo si può comprendere come sia fuorviante da parte dei registi sopra citati offrire al pubblico un fantasma dall’aspetto gradevole, magari dal volto coperto a metà da una maschera candida, bianca come i sentimenti che albergano in un personaggio che di orrido non ha quasi più nulla.

Non appartenendo agli uomini, il Fantasma esprime sia il mondo della luce sia quello delle tenebre, e però smisurati, eccessivi e parimenti terribili. Ha i piedi in due staffe tra loro molto distanti, zoppica e inciampa.[Film Zone] Il Fantasma dell’Opera di Rupert Julian (1925) #

Si diceva che il fantasma è un essere sfuggente. Talvolta emerge dai sotterranei dell’Opéra di Parigi, occupa il palco n.5 durante gli spettacoli. Già senza intravederne il volto, il solo scorgerlo di spalle incute spavento, come il suo inatteso eclissarsi.

Ai fantasmi non piace che li si vedano o che si parli di loro.

Christine Daaé conosce solo la sua voce, un angelo della musica fatto di parole che la ammaestrano nell’arte del canto. In ciò rivaleggia con il visconte Raoul de Chagny. Quando il suo maestro le si rivolge, il volto di Christine si illumina estatico, rapito dall’incanto. Siamo certi che lo seguirebbe ovunque, devota e plagiata.

Se il fantasma si offre in vesti d’angelo,  è un angelo con prerogative divine che di per sé usurpa un posto non suo. Vendicativo e geloso, è ugualmente inquietante pur ignorandone, per il momento, l’aspetto.

Finalmente Erik si mostra, con una maschera che gli vela il volto, gli fascia persino la bocca. Libero rimane il mento. Anche la testa è nascosta da un copricapo. Rimangono scoperti gli occhi melanconici. Christine è perplessa, dubbiosa. Tuttavia acconsente di scendere (non di ascendere come ci si aspetterebbe) nei sotterranei, attraversando in barca un lago nero come fosse lo Stige. Giungono in una sala accogliente, illuminata. Nella sua clausura, in questa dorata prigione. al fantasma non manca niente. Vi sono scarpe, vestiti per Christine, luci sfavillanti, un piano dove il fantasma sta componendo la sua opera, Il Don Giovanni Trionfante. In questi luoghi il fantasma si dichiara di fronte all’esterrefatta pupilla.

Christine ha ridestato in lui qualcosa di buono, di angelico che desidera fare emergere. Lo sguardo dietro la maschera  è malinconico, nulla lascia presagire di malvagio.

Cosa accade, però, nel mondo di fuori?

Le prime pagine dei quotidiani raccontano la notte d’orrore appena trascorsa. Durante l’opera è crollato un lampadario in teatro, vi sono morti, è scomparsa una cantante.

[Film Zone] Il Fantasma dell’Opera di Rupert Julian (1925) #

Cominciano i moniti, sinistri avvertimenti. Christine non deve frequentare il visconte de Chagny, ma votarsi completamente alla sua ispirazione, cioè a Erik, questo il nome del fantasma.

«Christine, purché non tocchi la mia maschera, non correrai alcun pericolo.»

Distratto dalle note del Don Giovanni Trionfante che sta componendo per lei, agili si muovono le dita di Christine, fino a strappare dal volto la maschera.

Questa è la scena più terribile e toccante.

Deforme e disperato, non può più nascondere il suo aspetto, la sua natura, la sua crudeltà. Si lascia divorare dallo sguardo terrorizzato e implorante della sua pupilla. Sono bastati pochissimi minuti per passare dall’incanto al raccapriccio di fronte a un volto che assomiglia alla morte:

 «Se mi amate come dite, lasciatemi andare.»

Questo domanda Christine, con la mano protesa in avanti per allontanare la mostruosa visione.

Chi vince mai, ora, tra Raoul da Chagny e il povero Erik? Inutile chiederselo.

Credendosi al riparo dal fantasma, Christine e Raoul dialogano sui tetti dell’Opéra di Parigi. Progettano la fuga in Inghilterra, affinché non si parli più di loro, né del fantasma:

 «É un mostro, un essere ripugnante. Devi salvarmi, Raoul.»

Erik, testimone di questi piani, devastato dal tradimento, medita una vendetta disperata. Dell’Angelo non è rimasto niente, è scomparso, evaporato appena dopo lo smascheramento crudele di Christine:

«Sciocca e ingrata. Hai sdegnosamente respinto lo spirito che ti ha ispirata.»

Qui avviene qualcosa di inaudito, una battuta che cancella con un niente anche il mostro. Perché è chiaro che Erik non è né un essere di luce, né un essere di tenebra, né un dio, né un mostro. Si è adeguato stando ai margini, ma pur sempre nella “terra di mezzo”:

«Sono umano come tutti gli altri. Non mi farò defraudare della mia felicità.»

La sua malvagità, la sua crudeltà non sembrano appartenergli più di qualsiasi altro essere umano, se ne distanzia per la dismisura, per l’eccesso delle passioni, delle ossessioni. Ma di quanto?  Anche Christine, in fondo, aveva un lampo crudele negli occhi nel momento in cui gli toglieva la maschera.

Erik, abbiamo detto, ci ricorda di essere un uomo. Contemporaneamente, per i giochi della sorte, anche gli altri lo riconoscono come tale, il fantasma è svanito, al pari dell’angelo. Lo  cercano e lo trovano nel suo covo per linciarlo e consumare essi stessi una vendetta contro di lui. Lo stesso Raoul si è calato nei sotterranei per liberare Christine dal suo carceriere, tra pericoli e insidie.

Insomma: al di là di una certa dismisura e l’eccesso stesso delle passioni vissute, cosa distingue o cosa separa Erik dagli altri uomini? Vuole vendicarsi dei torti subiti dai propri simili, ma anche i suoi simili si vendicheranno contro di lui. Uomo come gli altri, non valgono le attenuanti generiche di un mostro o di una divinità.

La sua umanità Erik la dimostra in questa scena: aperto un baule, si vedono due sculture raffiguranti uno scorpione e una cavalletta. Ecco l’ultimo patto, il ricatto.  Se Christine gira lo scorpione, sarà la moglie di Erik e Raoul si salverà dai pericoli delle segrete; se rivolta la cavalletta, l’Opéra di Parigi salterà in aria in mille pezzi.

Il lampo di crudeltà che alberga, per un attimo, nello sguardo di Christine, la quale pare sul punto di far saltare tutto, si specchia nell’espressione di vivo terrore di Erik.

Chi è, in quel momento, il mostro?

Il finale non è scontato. Erik viene cacciato, inseguito, braccato. Picchiato a sangue e gettato nella Senna. Eppure ha appena avuto il tempo di deridere l’umanità che da lui prendeva le distanze, scagliando la pietra, la bastonata. Ha serrato la mano a pugno, come se conservasse un’arma, un’offesa, un’insidia, per poi mostrarla per quello che era, vuota. Di una cosa possiamo essere certi: in quel momento Erik, mostro, non lo era più.

Curiosità: L’attrice Carla Leammle, che da poco ha festeggiato i suoi primi 103 anni, è  l’unica attrice vivente dell’intero cast de Il fantasma dell’Opera. E pare, stando a Wikipedia, sia ancora in attività.

 

[Film Zone] Il Fantasma dell’Opera di Rupert Julian (1925) #


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