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Filosofia e Counseling filosofico

Da Annagarofalo

Dibattito con la filosofia accademica. Gli scritti sul counseling filosofico e la pratica filosofica in genere, nonostante la loro relativa giovinezza, si sono già molto spesi riguardo alla questione[1] della filosofia accademica e della “filosofia vissuta”[2], conseguentemente non mi dilungherò qui su un tema che richiederebbe una sede esclusiva apposita su questo argomento. Ma pur non approfondendo la questione, e rimanendo in un certo qual modo sul piano dell’ovvio, non posso esimermi dall’osservare che nella questione siano in gioco diversi elementi cruciali.

  • Una sorta di concetto di legittimità del suo utilizzo: si può fare un uso pratico della filosofia?

La filosofia come capitale alla portata di chiunque oppure solo per coloro che siano in possesso di una qualche patente da filosofo?[3] Conseguentemente, su questi due ulteriori punti è poi in gioco anche l’autorevolezza della filosofia quasi fosse moneta col rischio di inflazionarsi.

Ma nella matrice della filosofia c’è insita una democraticità che è anche la sua forza poiché ne marca un profondo discrimine nei confronti di qualsiasi altra disciplina, dunque non punto di debolezza, ma di forza. Non ultimo non dimentichiamo che il sapere scientifico è sorto a partire dalla divisione delle discipline per l’oggetto suo proprio e la filosofia (sapere sempre aperto, che ritorna sempre su se stesso e non tollera definitive chiusure classificatorie) in quanto dotata dell’oggetto di tutti gli oggetti – il tutto – vantava per questo la sua superiorità[4].

Ma se pure non è quindi in questione l’autorevolezza della filosofia, tranne che per chi ritiene che praticarla come ai tempi della sua nascita sia rischioso per la sua scientificità, portando a una deriva di sapere del senso comune[5]; è pure giusto tutelare la filosofia nel panorama attuale che sembra allontanarsi da qualsiasi forma di trascendenza e al di là rispetto al quotidiano.

  • Ma quale sarebbe la migliore tutela? L’ossequio o l’utilizzo?

Come tanti filosofi prima di noi sappiamo la risposta come ovvia. Uno tra i tanti fu Cartesio[6] che denunciò appunto la pedanteria[7] della Scolastica che si limitava a ripetere formule senza progredire nella conoscenza e nella scienza, quasi che “il libro della natura” fosse già scritto nella Bibbia e non, come diceva Galileo prima di lui, si dovesse leggere a partire dai fatti concreti più che dalla imitazione dei Maestri. Entrambi i pensatori si rifiutarono di accondiscendere ai dettami accademici dei loro tempi e utilizzarono il bagaglio fornito dagli Antichi per andare oltre i loro insegnamenti e portare un progresso andando avanti nella conoscenza, veri interpreti del pensiero di Aristotele. Cartesio, in particolare utilizzò il suo peculiare sapere per sconfiggere una disputa del suo tempo, causata dal rifiorire del Pirronismo, attraverso il dubbio iperbolico: non si poteva andare più oltre la Scolastica.

Ovviamente anche con questi alti esempi, ci troviamo di fronte ancora una volta alla filosofia come pagina scritta e non come pratica di vita, anche se Cartesio, ad esempio, ebbe molto a dire anche rispetto alle passioni[8].

  • Ma cosa farebbe Cartesio rispetto alle conseguenze di un’altra forma di decostruzionismo: quello dell’uomo contro l’uomo?

Questa volta infatti il terreno non è gnoseologico, ma sicuramente sociale, etico, spirituale e, in una parola, autenticamente umano e vede l’uomo, anche qui, bloccato dal potere fare passi avanti sul terreno più decisivo della sua umanità: la relazione con se stesso e con gli altri. Questo è il tempo che stiamo vivendo almeno dalla fine del secolo scorso.

  • E qual è la scienza che più di ogni altra può rispondere a questa istanza ed essere al servizio dell’uomo sempre nella sua vita di ogni giorno oggi? E se fosse la filosofia, da come è stata declinata nei secoli come riguardante tutto l’uomo? Cosa ha da dire la filosofia scritta, rispetto alla filosofia vissuta, oggi nel 2010? Ma, e più ancora decisivo, cosa ha da fare oggi?

Questa è la reale sfida sulla quale davvero in un certo senso si gioca il buon nome della filosofia come scienza, prima di tutto, oltre che, ancora una volta, Scienza tra le scienze.

Su questa sfida, come sappiamo, si muove il counseling filosofico nel suo atteggiamento di apertura e provvisorietà rispetto qualunque assunto riguardi l’uomo nelle sue innumerevoli articolazioni.

  • E dunque, cosa può dire e cosa può fare il counseling filosofico?

Può utilizzare i testi del passato che presentano già di per se stessi le risposte su qualsiasi questione all’uomo di qualunque epoca oppure, ancora di più, può rivolgersi ai suoi consultanti come se davanti ad altrettanti filosofi e libri di filosofia da cum-prendere. Questo è stato appunto il mio sforzo nel lavoro con i quattro casi che seguono: ho cercato di individuare la filosofia di vita dei miei ospiti e dentro di essa ho individuato le strategie migliori per conseguire l’insight e il cambiamento.

Per illustrare il mio lavoro ho diviso la tesi in due parti.

Nella prima svolgo un discorso teorico prima di tutto sulla mia visione del mondo. Infatti, se il counseling filosofico è filosofia di vita, filosofia applicata alla vita, e reciprocamente se la filosofia di vita è centrale nel counseling filosofico, ossia aiuta a conoscere la filosofia di vita delle persone (perché siamo tutti filosofi: ognuno di noi ha una filosofia ingenua/inconscia che fa agire in un certo modo, conoscerla aiuta) ed è via per raggiungere la saggezza[9]; allora il counselor filosofico deve porsi in attenzione della propria filosofia di vita innanzitutto.

Conseguentemente, la prima parte della tesi è dedicata alla counselor filosofica che ha lavorato sui quattro casi che costituiranno la seconda parte della tesi. Così opero una piccola introduzione sul percorso che mi ha condotto al counseling filosofico, andando a presentare a larghe linee l’alveo generale entro cui riposa la spinta motivazionale a fare counseling filosofico e aggiungo dei paragrafi sulla visione di me stessa in quanto counselor filosofico che si misura col primo colloquio.

La visione del mondo del counselor filosofico, infatti, deve essere conosciuta più profondamente possibile sia da se stesso, sia dal supervisore. Infatti questa visione sarà lo schema, in un certo senso trascendentale, entro il quale e attraverso il quale avverranno tutte le strategie del counselor filosofico a partire già dall’empatia e l’ascolto.

La seconda parte presenta singolarmente un riassunto di quattro casi seguiti, al fine di individuazione della rispettiva filosofia di vita e dei relativi strategia e strumenti più funzionali. Si tratta di quattro casi invece di uno soltanto perché sono capitati casualmente senza cercarli e la loro numerosità mi è di aiuto per questo studio complessivo che ho voluto portare avanti sulla filosofia di vita così come la intende specificatamente Lahav. Infatti, nel mio lavoro in questi quattro casi studio, ognuno su quattro–cinque colloqui al massimo, come anticipato mi muovo su un doppio fronte per così dire:

  • Sulla scorta di Ran Lahav appunto, e di Oltre la filosofia in particolare[10], sono interessata a individuare del consultante la filosofia di vita, il corrispondente perimetro insieme a strumenti e strategie, atti a conseguire questa individuazione (vedremo che essi si collocano armonicamente all’interno di questo “sistema-vita” del consultante per addivenire a maggiore apertura fino alla scoperta delle fontane di pienezza).
  • Parallelamente, leggendo criticamente la lezione di Lahav, propongo una visione in un certo senso complementare a quella suggerita dal noto counselor filosofico israeliano in una articolazione particolare del suo pensiero. Mi riferisco alla concezione che giustamente intende il counseling filosofico non doversi rivolgere al problema concreto del consultante, ma al suo tutto, pena la perdita di peculiarità del procedere filosofico con un declassamento a ulteriore pratica di aiuto affine al coaching e altro.

A questo proposito devo dire di essere dell’idea che noi counselor filosofici dovremo essere meno timorosi rispetto alle peculiarità del nostro approccio e della visione complessiva che ci sta dietro in quanto proprio quest’ultima costituisce la vera differenza rispetto a qualunque approccio di aiuto: che ci sia una visione complessiva dell’uomo a monte derivata appunto dalla filosofia.

Se da un lato infatti il counseling filosofico rispetto alle psicoterapie non ha le competenze, e neanche l’interesse, di andare a lavorare sotto la sfera cosciente del consultante; così rispetto al coaching non ha lo scopo di risolvere meramente il problema concreto[11] senza guardare al tutto della persona e al suo tutto.

L’approccio non direttivo, aperto e refrattario a qualunque codificazione in metodologie che è il counseling filosofico infatti, proprio in quanto radicalmente filosofico, se non persegue la guarigione, non ha come fine neanche il mero benessere della persona (anche se poi, solo per conseguenza della sua azione, e non come fine, ottiene in un certo senso entrambi).

Il fine vero è in definitiva quello della scoperta dell’atteggiamento filosofico nella propria vita con annesso, correlato e imprescindibile, stupore filosofico[12] una esperienza cognitiva e affettiva insieme. Le fontane di pienezza di Lahav, l’ascolto polifonico di se stesso, il guardare al di là del perimetro pur non liberandosene mai completamente, in altre parole è l’abbracciare l’apertura filosofica a ulteriori modalità – nel senso di ampliamento – di comprensione di vissuto.

Quello che pongo qui come ipotesi di lavoro è che il counseling filosofico non deve temere di rivolgersi, come discorso preliminare a questo felicissimo sbocco, dapprima al problema concreto del consultante, specie se la sua entità e pervasività totalizzante impedisce altre visioni e altri percorsi di vita. Ciò può aprire la strada, oltre che offrire una immediata fiducia e gratificazione al consultante,, con conseguente aumento di percezione di autoefficacia che attiene alla fiducia in se stessi circa la propria abilità nel portare risultati nella propria vita.


[1] Ran Lahav, Al di là della prigione filosofica, in AA.VV., Le polifonie dell’anima, Bonanno Editore, 2010.

[2] Lahav (2010).

[3] Lahav 2010, p. 63.

[4] Con “democraticità”, infatti mi riferisco al soggetto (o meglio, dei soggetti) ma anche in un certo senso all’oggetto.

[5] Ma ciò in effetti non sta a come si usa, ma a chi la usa ossia la preparazione umana e professionale all’utilizzo della filosofia.

[6] René Descartes, Discorso sul metodo, Laterza, 2010.

[7] Nietzsche stesso affermò secoli dopo che «Si ripaga male un maestro, se si rimane sempre scolari». Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, 1976, p. 87.

[8] René Descartes, Le Passioni dell’anima, Bompiani, 2003.

[9] Lahav (2010).

[10] Lahav (2010).

[11] Miglioramento dell’efficienza lavorativa, ecc.

[12] Che non a caso è proprio l’atteggiamento che inaugura la filosofia nella storia. Cfr. Martin Heidegger, Che cos’è la filosofia?, Il Melangolo, 1995. Silvano Petrosino, Lo stupore, Interlinea Edizioni, 1997.


Filed under: Couseling filosofico Tagged: counseling filosofico, filosofia

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