Magazine Poesie

Fiori di Torchio n. 64

Da Narcyso

Nino Iacovella, PER CHIAMARE IL FUOCO

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incisioni di NINA NASILLI

La poesia di Nino Iacovella si cimenta qui nel racconto di una sorta di esodo, di un viaggio di un popolo mosso da sogni e speranze, in cerca di una terra promessa che vinca il dolore da cui quel popolo sembra provenire. E’ un racconto dalle connotazioni storiche, addirittura attuali, ma simbolico insieme: non si tratta solo di uomini che cercano una nuova patria; i luoghi desertici che vengono descritti, pur potendo essere riconosciuti nella loro identità, disegnano un paesaggio quasi senza tempo, una sorta di luogo inospitale dentro il quale l’uomo in quanto tale si sente gettato e dentro il quale deve trovare o costruirsi un rifugio, un riparo. E la prima parola che l’uomo consegna a questo primo giorno del mondo nel quale deve viaggiare è la parola che chiama il fuoco: non, ancora una volta, soltanto un elemento materiale che gli consente di sopravvivere nella notte e nel deserto, ma piuttosto, invece, la ragione, il senso, il desiderio di un significato senza il quale il viaggio stesso non avrebbe luogo. E la parola poi respira ancora per nominare il mondo che grazie a quel fuoco è stato illuminato; la parola è seguita poi dalla carne, dai corpi uniti per tenere alta la fiamma del calore: la parola è un gesto che si prolunga dentro una comunione profonda, è il desiderio di una condivisione capace di generare, di dare continuità alle speranze di un popolo, al suo bisogno di trovare una direzione. L’uomo che genera costruisce, s’adopera per una traformazione, riposa. Fa il suo lavoro senza avere vinto il tremore che lo aveva preso nel viaggio, che lo tiene sempre dentro un abbraccio che non lo determina però alla rinuncia, ma anzi lo sfida all’opera incessante, alla ricerca. E gli succede come succede al fiume in cerca della foce: c’è, in questa poesia, l’idea della vita come di un viaggio insicuro e incerto; percorso sempre, però, da una tensione consapevole e matura, composta, stoicamente conservata in ogni attimo del cammino, a segnare anche la parola da quella sorta di resistenza etica grazie alla quale l’uomo non soccombe sotto il cielo vuoto che chiama in rassegna uccelli disorientati, ma scivola nell’ordine della natura. L’invito di questa poesia è allora quello alla responsabilità di ciascuno di noi e di ogni popolo che si trovi ad attraversare ogni deserto, in ogni tempo; ed è insieme la testimonianza di una parola che sa raccontare con onestà questo viaggio, che sa interpretarne la dimensione più intima e segreta.
Corrado Bagnoli

*

Il respiro della pianura varcava
i tramonti in bilico, nelle albe rapide
sulla macchia scura dei campi

Lì apparve in lontananza la lunga coda degli umani,
nomadi in cerca di nuova terra

Avevano il sale tra le labbra, portavano in spalla le radici
di una pianta chiamata dolore

Con le mani raccolsero il seme della pietra
per nasconderla dietro la schiena

Come sogni, forme nella nebbia,
la prime parole bruciarono il fiato
per chiamare il fuoco

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