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Fornero, una riforma che ha fatto flop

Creato il 01 marzo 2013 da Molipier @pier78

In una delle sue prime apparizioni in qualità di Ministro del Lavoro, Elsa Fornero si era commossa, stupendo tutti, nel pronunciare la parola “sacrifici” a carico dei pensionati. Un atteggiamento che le aveva permesso di ottenere la simpatia di molti, in un ambiente di squali qual è la politica. Con le mosse successive e la conseguente riforma lavorativa, non si è impietosita nel vedere imprenditori e dipendenti in profonda crisi e le sue idee hanno portato più danni che benefici. Per tutti.

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Il flop della Fornero

Al contrario di quanto il Ministro Fornero si fosse prefissata, le aziende che avevano possibilità di assumere, non l’hanno fatto e chi non voleva licenziare ha preferito farlo. Quasi un paradosso.

Questo è successo perché le aziende che volevano assumere si sono trovate di fronte ad una “burocratizzazione” assurda del contratto al momento più diffuso, il lavoro flessibile. Quindi, hanno preferito evitare tutti gli incartamenti e non assumere personale. Dall’altra parte, chi aveva del personale assunto con il contratto a termine, vedendo aumentare i costi e le limitazioni, ha ritenuto opportuno licenziare.

Non che il contratto a progetto fosse la soluzione migliore per i lavoratori dipendenti, questo va precisato, ma era comunque una soluzione per tamponare le esigenze personali o familiari. Tanto che dal 2008 questo tipo di contratti ha visto una crescita progressiva fino all’insediamento della Fornero e all’introduzione della sua riforma. Da quel momento c’è stato un calo delle assunzioni (circa il 30%) e un aumento delle cessazioni (circa 40%).

Le 270 regole introdotte dalla Fornero sono apparse come una punizione verso le imprese piuttosto che un incentivo o una semplice regolarizzazione. L’obiettivo sarebbe stato quello di rendere più difficile il lavoro temporaneo così da indurre alle assunzioni a tempo indeterminato. Dimenticando, in partenza, lo stato attuale dell’economia italiana con le PMI in ginocchio. Tra le nuove regole ce n’è una che impone un intervallo di almeno due (o tre) mesi tra un contratto a tempo determinato e l’altro. Così un’azienda, che non può permettersi di assumere ma nemmeno di fermarsi, lascia scadere il contratto e assume un’altro dipendente. Risultato? Meno stabilità di prima!

Una soluzione (anzi, due) per il lavoro temporaneo esisterebbe anche, grazie all’introduzione dei voucher.

L’azienda acquista i voucher, indicando la data di inizio e di fine di un lavoro. Già questo risulta difficile. Poi si collega al sito Inps e comunica il nome del lavoratore. Il lavoratore, a sua volta, deve collegarsi al sito Inps e se i dati combaciano perfettamente, allora entro un mese al lavoratore viene inviato il codice d’accesso al portale da cui scaricare il modulo per farsi pagare. Di norma questo avviene dopo la fine del contratto.

L’altra via consiste nel recarsi all’Inps personalmente, prenotare i voucher, andare in banca, pagarli, tornare all’Inps per le verifiche e poi consegnarli al lavoratore. Così è l’azienda a rimetterci perché paga addirittura prima che il dipendente inizi a lavorare. Tutto molto vantaggioso.

La seconda soluzione è quella di affidarsi alle agenzie per il lavoro interinale, a patto che le aziende siano disposte a pagare una percentuale tra il 20 e 25% in più sulla retribuzione a compenso dell’agenzia.

Ma la riforma Fornero non ha penalizzato solo le aziende ma anche i dipendenti che hanno subito un aumento dell’1,4% dei contributi a loro carico. Le aziende, in più, scaricano l’onere riducendo la busta paga della stessa percentuale, così il precario guadagna ancora meno di prima.

Dando uno sguardo ai licenziamenti, anche in questo campo sono stati introdotti nuovi obblighi. Per licenziare una persona si deve inviare una lettera all’ispettorato del lavoro che entro un mese, dopo aver tentato di conciliare le parti, emetterà un documento riassuntivo sull’esito del tentativo. In quell’arco di tempo il lavoratore non è licenziato ma neanche assunto. Diventerà un licenziando cioè né l’uno né l’altro.

Intanto però il licenziando può impugnare la lettera di licenziamento, presentarsi ad un giudice e il documento dell’Ispettorato va a suo favore. Come dire che l’azienda o accetta la proposta di conciliazione o… In parole povere, un ricatto. Bello e buono.

La riforma Fornero ha toccato anche i lavoratori impiegati in imprese con meno di 15 dipendenti che prima, se licenziati, potevano contare su un sussidio di disoccupazione per otto mesi e un bonus che favoriva il datore di lavoro, permettendogli di scontare il 20% sui contributi. Ora invece il sussidio è rimasto ma non il bonus e sono finiti anche i soldi per gli incentivi ad assumere donne e i giovani. Trentasei milioni euro per il 2013 finiti a gennaio.

E i CoCoPro? Niente di positivo nemmeno per loro. Addirittura se una persona viene assunta per un progetto, può lavorare solo ed esclusivamente a quello che non dev’essere il core business dell’azienda. Così, basta una “svista” per incappare in un divieto e chi viene penalizzata è ancora (e sempre) l’azienda.

Esiste, è vero, chi ha abusato dei contratti a progetto, sfruttando (anche nel pieno significato del termine) la forza lavoro per il solo tornaconto dell’impresa. Ma è altrettanto vero che in una situazione diversa da quella in cui versa il nostro paese, ovvero se il lavoro ci fosse e per tutti, gli imprenditori sarebbero felici di poter assumere personale, senza farsi spaventare dalle tasse che gravano sui bilanci.

In tutto questo, chi ha avuto qualche vantaggio sono stati gli avvocati impiegati per salvaguardare i diritti di entrambe le parti. Intanto le aziende si spaventano e i disoccupati aumentano. Tra le lacrime.


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