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Fotografare Responsabile

Da Giuseppecocco @giuseppecocco

Cosa è vietato fotografare? I diritti del fotografo, cosa scattare, e cosa non scattar

2 regola generali:

1. innanzi tutto il buon senso deve sempre seguirci assieme alla nostra macchina fotografica. Mai forzare la mano e sempre essere disposti e disponibili a rinunciare davanti a dinieghi e imposizioni;

2. secondo poi, prima di partire o appena arrivati in un paese, informarsi sulle tradizioni abitudini e regole locali in tema di riprese fotografiche, su:

Che cosa è vietato fotografare?

Che cosa possiamo fotografare sempre liberamente?

Le persone hanno limiti culturali o religiosi per cui non è possibile o difficile fotografarle?

Bisogna pagare per fotografare chi e/o cosa?

Qualcuno può obbligarci a cancellare le nostre foto?

Come funziona con le liberatorie?

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sui nostri diritti e su cosa possiamo fotografare senza incorrere in problemi.

Primo punto: nessuno può sottoporci a perquisizione personale o sequestrare materiale in nostro possesso, fanno eccezione le forze dell’ordine in caso di pericolo per l’ordine pubblico o in caso di pronunciamento dell’autorità giudiziaria, quindi nessun vigilantes, guardia giurata, buttafuori ecc.. può chiederci di vedere e cancellare le fotografie.

Fotografare è diverso dal pubblicare le fotografie, fotografare in luoghi pubblici è sempre permesso in assenza di divieti specifici o di particolari provvedimenti a carattere temporaneo imposti dall’autorità, ci sono condizioni e limitazioni alla pubblicazione, non allo scatto.

Per poter pubblicare la fotografia di una persona ci vuole obbligatoriamente la sua autorizzazione a meno che non sia fotografata in determinati contesti. Per i bambini poi, la questione si complica ulteriormente, consiglio vivamente di non fotografare bambini che non siano i vostri figli o di chiedere prima il permesso dei genitori per evitare situazioni spiacevoli.

Il diritto di cronaca è diritto di chiunque anche se non iscritto ad albi, registri e se non svolge neppure occasionalmente il mestiere di cronista. Lo stato italiano tutela la proprietà privata sopra ogni cosa fatto salvo il maggiore diritto comune, questo vuol dire che da un punto di vista legale si può fotografare all’intero di una struttura privata solo se il proprietario (o chi per lui) ci dà il permesso, il lavorare nella struttura non ci autorizza a poterla fotografare.

Come già detto prima però un vigilantes non è comunque autorizzato a visionare e tanto meno cancellare le nostre fotografie. Può però invitarci ad uscire dalla struttura e chiamare le forze dell’ordine che procederanno all’identificazione.

Neppure le forze dell’ordine possono obbligarci a mostrare loro le nostre fotografie seduta stante! Possono però, in caso di sospetti fondati di pericolosità sociale, metterci in stato di fermo e condurci in caserma per accertamenti, lì eventualmente su ordine del giudice possono sequestrarci la fotocamera e visionare le fotografie ma non cancellarle.

Qual è il principio?

Il principio ispiratore è che a rigore di legge si è innocenti e sulla fotocamera potrebbero esserci immagini legate alla nostra sfera personale che nessuno può essere autorizzato per legge a vedere, nessuno se non dopo l’autorizzazione di un giudice, può accedere a quelle immagini.

È possibile fotografare aziende private?

Come già detto dall’interno della struttura sicuramente no senza autorizzazione, ma dall’esterno sicuramente sì. Fanno eccezione quelle strutture pubbliche o private che, per vari motivi, rientrano tra gli obiettivi sensibili ad azioni terroristiche:

- strutture Telecom,

- aziende di produzione e vendita di armi,

- varie municipalizzate che gestiscono gli acquedotti,

- stazioni ferroviarie e aeroporti,

- dighe e centrali elettriche,

- strutture chiave per trasporti, telecomunicazioni e servizi essenziali, pubblici o privati che siano.

Quando si viaggia per non incorrere in situazioni molto spiacevoli (non solo legali) ecco un’utilissima guida su cosa non si può fotografare – consigli di viaggio:

Distinguiamo: che cosa non si può per legge fotografare, e che cosa, per una serie di motivi, non è opportuno fotografare.

Praticamente ovunque, non si possono fotografare residenze presidenziali (fanno eccezione i palazzi

presidenziale, dove le guardie d’onore si fanno volentieri fotografare a fianco dei turisti, e

soprattutto delle turiste), personale e mezzi militari e della polizia, caserme, antenne, ponti, depositi, stazioni, aeroporti, carceri…

La lista è lunga e varia da zona a zona: in Kenya non si può fotografare la bandiera, in Gambia il traghetto che attraversa l’omonimo fiume e che costituisce praticamente (a meno di non compiere un giro di circa 700 km) l’unico mezzo per raggiungere la regione meridionale del Senegal, la Casamance, dal Nord del Paese. In Casamance potreste trovare, a causa della guerriglia indipendentista, peraltro molto soft, una maggiore rigidezza nei confronti delle cose fotografabili rispetto al resto del tollerantissimo Senegal. Mai, comunque, puntare l’obiettivo contro un posto di blocco militare. Perché potrebbe capitarvi d’immortalare anche un baldo esponente della Legione Straniera, e questo fa imbufalire i militari senegalesi ma soprattutto i francesi che, a rigore, quel tipo di servizio non dovrebbero farlo.

È meglio non fotografare, in genere, la gente che dimostra chiaramente di non gradirlo, donne velate in zone musulmane, luoghi di culto chiusi ai non praticanti la religione. Una legge del Kenya proibisce di fotografare i Maasai, regola stabilita, in pratica, per lucrare copiose mance alle comitive di turisti, che in genere vengono utilizzate dalla comunità per opere d’interesse comune, ad esempio per mantenere la scuola del villaggio; quindi è un obolo che, volendo fare del bene, potrebbe anche essere versato “volontariamente”.

Aggiungo che l’esperienza comune con la quale chiunque abbia viaggiato in Africa si è trovato a fare i conti è la possibilità di trovarsi in difficoltà a fotografare la gente. Non mi avventuro in spiegazioni di carattere sociologico: certo, in quei Paesi la povertà è un dramma reale e quotidiano, “morire di fame” è tutto fuorché un modo di dire.

È anche vero che essendo il turismo una delle poche occasioni per guadagnare quei pochi spiccioli che consentiranno, magari, di mettere qualcosa sotto i denti quel giorno. È verissimo che della “mole” di denaro spostato dall’industria delle vacanze solo poche briciole arrivano alle popolazioni locali. Pertanto, facendo del turismo responsabile, sarà nostro dovere evitare di violentare le popolazioni, ma anche di sfruttare la disponibilità a pagamento; pertanto, oltre a fare un’offerta finanziaria, useremo la fotografia come strumento utile a fare amicizia, non fermandoci a scattare, come volessimo comprare le persone fotografate, ma faremo partecipare le persone e invieremo loro la stampa in regalo.

In trent’anni di attività e viaggi sono certamente molte di più le foto alle quali ho rinunciato di quelle che ho scattato. All’inizio con un po’ di malumore, lo ammetto, poi, col passare del tempo, senza che la rinuncia mi pesasse più di tanto. Perché, al di là di qualsiasi valutazione di carattere “etico”, la foto “rubata” è qualcosa che, anche quando riesce, non lascia alcuna soddisfazione. Almeno a me.

Meglio una foto “guadagnata” dopo aver cercato di comunicare, dopo aver stabilito fra noi e il soggetto una relazione fiduciaria e non costituita solo dall’obiettivo dell’apparecchio fotografico: che vale “carpire” le foto, magari con lo sguardo, fra l’offeso e il deluso, di chi si accorge d’esser stato ritratto a tradimento e che ti senti sulle spalle anche quando ti allontani, quasi ti dicesse “anche questo ci portate via…”.

D’altronde l’uso del tele (al di là del suo aspetto oggettivamente “aggressivo”) trasmette al soggetto un messaggio del tipo “Non mi fido di te, voglio mantenere le distanze, tutto quello che m’interessa di te è la tua immagine da mostrare agli amici” e anche se sappiamo che non è vero, innegabilmente il tele è, per definizione, l’ottica che consente di “avvicinarsi” artificialmente a chi non si può o non si vuole avvicinare di persona.

Dunque, il suggerimento è questo: avvicinarsi, presentarsi, stringere sempre la mano (molti europei danno la sensazione di rifuggire il contatto fisico, e per popolazioni che esprimono una forte fisicità nelle relazioni interpersonali è un messaggio negativo), cercare di comunicare: le cose che piacerebbe sapere della vita di un abitante sono senz’altro molte, ma sempre meno di quelle che lui vorrebbe sapere di noi. Al contrario, nei panni dei turisti che “perdono tempo” a parlare con i residenti locali, spesso diventiamo l’unico “ponte” fra loro e un mondo lontano, sconosciuto e per questo affascinante, come affascinante e curioso è potersi rivedere nel piccolo monitor della nostra digitale.

Rotto questo muro, vedrai, il tele non ti servirà più: scattare la foto sarà un momento di un’esperienza che ricorderete in due. E quando rivedrai la foto, a mesi di distanza, non sarà solo la foto di un pescatore o di un pastore, ma l’immagine di una persona che hai conosciuto, della quale conosci la storia, che ti conosce, che racconti. Di molti ritratti avremo anche indirizzo, numero di telefono, ci scriveremo le lettere e potremo inviare loro i migliori scatti che li riguardano.

Guardie che proibiscono di fare foto a palazzi, persone che si allarmano anche solo a vedere un obbiettivo e che pretendono di sequestrare rullini e memory card. Valido aiuto al fotografo può venire dalla conoscenza delle leggi, che, se da un lato regolamentano cosa non può fare, dall’altro regolamentano anche cosa non può subire. A questo proposito rimando al sito di Tau Visual, Associazione Nazionale Fotografi Professionisti, che mette a disposizione sul web, delle interessanti pagine che trattano di leggi, leggine e casi dubbi che riguardano i tanti aspetti della fotografia. Un utile modo per avere la sicurezza di essere nel giusto.


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