MACRO Testaccio
23 September – 23 October 2011
Sulla scia del tema del festival di quest’anno, Motherland, la mostra Mizu no Oto – Sound of Water vuole tracciare le linee di una sensibilità che si esprime nell’attenzione alle piccole cose, in un legame profondo con la natura e con il fluire dell’esistenza attraverso un’immagine chiave per l’arte Giapponese, dalla Grande Onda di Hokusai fino alle onde in primo piano diAsako Narahashi: l’acqua come elemento energico e vitale, l’acqua come metafora del ciclo e della ciclicità dell’esistenza.
Non necessariamente presente in senso letterale, l’acqua ci rimanda a una visione liquida, a una fluidità che crea punti di contiguità fra stati visivi, emozionali, fra microcosmo e macrocosmo, reale e immaginario, personale e universale, e si fa portatrice di risonanze cariche di potere metaforico e poetico.
È questo piano di rapporto alla realtà, una concezione della vita e del destino già sempre proiettati in una dimensione di oltranza, che lega ancora queste artiste con quanto Szarkowski aveva ben focalizzato nella prima grande mostra di fotografia contemporanea giapponese realizzata fuori dal Giappone, e da lui curata nel 1974 insieme a Shôji Yamagishi al MOMA di New York, New Japanese Photography: l’esperienza immediata.
“La qualità di maggiore rilevanza per la recente fotografia giapponese risiede nell’attenzione nel descrivere l’esperienza immediata: la maggior parte di queste immagini ci impressiona non in quanto commento all’esperienza, o ricostruzione di questa in qualcosa di più stabile e duraturo, ma in quanto evidente surrogato dell’esperienza stessa, realizzato certamente con un’intenzionale mancanza di riflessione”.
Un’esperienza estatica, uno stato psichico di sospensione, alla ricerca dell’immediatezza e dell’inconsapevole: sensazioni, percezioni, immagini da cui si è colpiti e che entrano in contatto con la più profonda interiorità dell’individuo.
Per Lieko Shiga “fare fotografie non è come sparare, al contrario: è come essere colpiti. Io sono colpita e l’intera sequenza della mia vita è resuscitata nella fotografia. La fotografia è rimettere in scena il tempo eterno e la vita eterna”.
Se da un lato questa relazione col continuo fluire dell’esperienza e dell’esistenza ci riporta a un presente costante, come osserva David Chandler nella sua postfazione all’ultimo libro diRinko Kawauchi, Illuminance, riguardo al suo rapporto con la memoria, e a quel rapporto epidermico, fatto di eventi dalla consistenza epifanica, che ci raccontano le fotografie diMayumi Hosokura, dall’altro questo non significa eludere un’intenzionalità ben presente e che si chiarifica nelle giocose messe in scena di Yumiko Utsu.
Le immagini di queste cinque fotografe e il loro approccio fluido si mantengono così, quasi magicamente, in stato di delicato bilico rispetto al reale costruendo delle trame narrative che aprono a possibilità poetiche e poietiche dell’esistenza che pur lontane da qualsiasi oggettività di stampo occidentale, non prescindono da un dialogo aperto e a tratti anche ironicamente esplicito con l’occidente.
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