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Fra europa, "conseguenze spiacevoli" e 300 (presunti) miliardi...rischi di illusione?

Creato il 11 dicembre 2014 da Alessandro @AleTrasforini
Le dichiarazioni attribuite al Presidente della Commissione Europea Juncker sembrano andare in una sola direzione riguardo all'atteggiamento che le autorità europee potrebbero adottare nei confronti dei Paesi colpevoli di procedere a rilento con le cosiddette 'riforme':
"[...] L’Italia e la Francia dovranno attuare senza indugi le promesse di nuove riforme e nuovi sforzi per rientrare nei parametri del Patto di Stabilità Ue, altrimenti 'le conseguenze non saranno piacevoli. [...] Se alle parole non seguiranno i fatti, le conseguenze non saranno piacevoli. [...] Dobbiamo fidarci di italiani e francesi e poi vedremo, probabilmente nel mese di marzo, come è andata [...] senza le misure annunciate, ci sarà un aggravamento della procedura per disavanzo eccessivo. [...]" (Fonte: "Juncker avverte Italia e Francia: 'Senza riforme conseguenze spiacevoli'", La Stampa)
In altre parole, pertanto, l'intero Paese Italia risulta ancora una volta sotto stretta tutela per la realizzazione veloce delle cosiddette 'riforme' funzionali a stimolare od innescare le condizioni per una ripresa economica consistente che latita da troppo tempo nello stivale.
L'impronta data a questa sbandierata necessità viene tracciata dalle autorità europee, delineando prospettive che sembrano andare in una sola direzione. Per illustrare quali potrebbero essere le richieste da ottemperare, sembra opportuno ricondursi (una volta di più?) ai contenuti riassunti in un'intervista concessa qualche giorno fa da Jirky Katainen, VicePresidente della Commissione Europea con deleghe a crescita e competitività:
"[...] Se restano ostacoli burocratici agli investimenti privati, se l’amministrazione è lenta, se ci sono incognite non finanziarie [...]. Le barriere vanno rimosse, [...] gli Stati devono far ordine in casa: 'La risposta non è nel creare nuovo debito, ma nel focalizzarci sulle riforme che servono a stimolare la ripresa [...] Dobbiamo esser sicuri che i Governi continuino l’azione strutturale. In molti Paesi la crescita manca perché non c’è competitività. Servono riforme ovunque [...]. C’è chi deve agire sul mercato del lavoro, chi sulla domanda. Vale quanto Draghi ha detto più volte: la politica monetaria non aiuterà gli stati se essi non saranno capaci di assorbire i fondi messi in circolazione dalla Bce. Non si può fare a meno delle riforme. [...]"
I punti cardine che l'Europa sembra (continuare a) chiedere agli Stati sono quelli richiamati sostanzialmente in una serie di macro-aree: rimozione o quantomeno riduzione delle burocrazie, aumento della competitività interna, azioni sul mercato del lavoro e sul rapporto fra domanda ed offerta su scala anche sovranazionale.
Con questi interventi i vincoli economici potrebbero subire un allentamento.
Senza gli stessi, invece, gli stessi potrebbero subire un aggravamento.
Sono questi i programmi a cui si richiamano le cosiddette "conseguenze non piacevoli" riferite da Juncker? Di quale e quanta credibilità può disporre il neo-eletto Presidente della Commissione, a fronte di una precedente esperienza politica non certo esente da questioni eticamente discutibili? Anche se magari legislativamente tollerate e regolari(zzate?). (cfr. "Lussemburgo, il buco nero delle tasse", L'Espresso)
Sarebbe lo stesso Juncker a doversi ricordare qualcosa che, al netto delle parole attribuite/effettivamente pronunciate, sembra essersi enormemente allontanato dalle consapevolezze che le stesse autorità nutrono nei confronti della società circostante.
Per introdurre questo concetto, in teoria tanto palese quanto lampante, è possibile impiegare in termini efficaci le parole contenute nell'articolo "L'Europa stupida", proveniente dal blog "Piovono rane" tenuto dal giornalista Alessandro Gilioli. E' possibile infatti leggere quanto segue:
"[...] Lasciamo perdere il fatto che esce dalla bocca di un uomo che ha passato gli ultimi 18 anni [...] a far evadere le tasse ad aziende milionarie, che quindi [...] hanno ulteriormente eroso le casse comuni dei Paesi che oggi minaccia: questo particolare è [...] un risvolto grottesco di tutta la vicenda. Al centro della quale c’è invece un’istituzione – l’Europa [...] – che era nata per idealismo al limite dell’utopia [...] settant’anni fa: e che oggi è odiata dalla gran parte dei suoi cittadini, vista come centro burodirezionale di odiose imposizioni, bislacchi divieti e soprattutto regole dimostrataesi fallimentari. [...]"
Su questo punto, pertanto, appare inevitabile l'innestarsi di un cortocircuito tanto pericoloso quanto pericolante per l'intera architettura europea che questo uomo si propone di rappresentare (seppur con tutte le inevitabili diversità ed accezioni del caso).
La necessità di sbandierare le già citate "conseguenze spiacevoli" risuona come una tanto ulteriore quanto inutile provocazione di fronte ad una popolazione che, fra disinformazione colpevole e non voluta, continua a vivere in preda ad una serie infinita di politiche economiche prepotentemente restrittive. Volendo essere meno retorici e maggiormente analitici, è possibile porsi l'obiettivo di qualificare una ulteriore critica nei confronti dell'attuale Presidente della Commissione Europea. Grazie a quale progetto/slogan è stato infatti portato in un ruolo tanto visibile ed importante?
Per rispondere a questa domanda è sufficiente esaminare il documento "Mettere in moto l'Europa: punti salienti del discorso del Presidente eletto Juncker al Parlamento europeo", visionabile dal sito dello stesso Parlamento Europeo:
"[...] È giunto il momento di stringere un 'grande patto', di creare una [...] coalizione di paesi e tra le principali parti politiche che insieme lavoreranno intorno a una struttura a tre pilastri: riforme strutturali, credibilità di bilancio e investimenti. [...] Non credo nei miracoli: a Bruxelles non abbiamo la bacchetta magica o il pulsante della crescita. Le riforme strutturali, la credibilità di bilancio e gli investimenti a livello nazionale e europeo devono andare di pari passo.' [...] Siamo di fronte a una carenza di investimenti e dobbiamo adoperarci per colmarla.
L'Europa può contribuire a questo scopo. [...] intendo presentare un ambizioso pacchetto di misure per l'occupazione, la crescita e la competitività di 300 miliardi di euro. [...]"
Questo "ambizioso pacchetto" è da settimane sbandierato come fulcro della trattativa che ha condotto, nelle sedi continentali, a far convergere socialisti e popolari sull'elezione dello stesso Juncker a Presidente della Commissione. Al netto delle sbandierate "conseguenze spiacevoli" a cui potrebbero andare incontro gli Stati reprobi, poco o nulla è stato detto sull'entità di questo tanto esaltato (quanto forse poco esaltante?) piano per il riavvio della crescita su scala continentale. A quali altre "conseguenze spiacevoli" potrebbero andare incontro i leader che non presteranno fede alle loro "promesse"? A questa domanda servirebbe rispondere, valorizzando al massimo possibile i contenuti piuttosto che il contenitore.
Quali reali esigenze si nascondono dietro a questo ambizioso pacchetto che sembra abbia caratterizzato il punto più alto e profondo di offerta politica in un momento di crisi tragicamente senza via di uscita definitiva? Su questa domanda, più o meno direttamente, non sembrano essere state gettate luci pe(n)santi ed utili a rendere consapevolezza della necessaria svolta da imprimere all'intero continente.
Da una prima lettura degli intenti, appare una evidente consapevolezza di immettere immense quantità di liquidità per ottemperare alla necessità di sbloccare l'attuale situazione di stallo pressochè imperante. L'immissione di una cifra prossima a 300 miliardi di Euro potrebbe forse essere la panacea necessaria ad innescare un circolo vizioso utile al rivitalizzare la crescita?
Tale riflessione potrebbe valere se, a maggior ragione, si volessero considerare gli andamenti riscontrati dagli investimenti su scala continentale dall'inizio della crisi mondiale ad oggi. Riprendendo una dichiarazione attribuita a Mario Draghi, pertanto, è possibile riportare quanto segue:
"[...] Il calo degli investimenti delle imprese osservato dal 2008 nell’area [...] è molto più marcato che nei cicli economici precedenti [...] dal livello massimo a quello minimo sono diminuiti di circa il 20%, contro il 15% registrato durante la recessione del 1992. Dal 2008 nell’area dell’euro gli investimenti delle imprese mostrano soltanto un lieve miglioramento, mentre negli Stati Uniti superano ormai il livello anteriore alla crisi. [...]"
(Fonte: "Draghi: 'In Europa investimenti carenti. Per ripartire rafforzare politiche strutturali'", Il Fatto Quotidiano)
Le cifre di questo crollo sono definite su scala macro-economica dallo stesso Juncker, internamente alla sintesi fatta relativamente al suo discorso da Presidente eletto: vengono definite infatti riduzioni cumulate pari a circa 500 miliardi di Euro, dall'anno 2007 nel quale venne registrato l'ultimo picco.
A fronte di questi dati, pertanto, emerge spontaneo capire quanto i promessi 300 miliardi potrebbero essere utili. In chiave tanto teorica quanto improbabile, ovviamente. Questo vale perché, richiamandosi al precedente presidente, le premesse non sarebbero affatto buone:
"[...] abbiamo chiesto ai capi di Stato e di governo di attuare rapidamente il patto per la crescita e l'occupazione. [...] a distanza di mesi 'questo patto per la crescita e l'occupazione, con il suo pacchetto da 120 miliardi di euro, ancora non e' stato messo in atto. [...]"
(Fonte: "Crisi: Barroso, non è finita. Attuare piano per crescita", altalex.com)
Era già stato promesso e poi disatteso un primo piano, formulato dall'ex Presidente Barroso. Cosa ne potrebbe essere di questo (ri?)proposto piano di investimenti per scongiurare un riacutizzarsi della crisi economico-finanziaria? Scendendo maggiormente nel dettaglio, è possibile chiedersi quanti di questi fantomatici 300 miliardi risultino effettivamente disponibili ed economicamente esercitabili nel contesto di crisi attuale.
Queste domande, implicitamente molto più importanti, sembrano sgonfiare enormemente il piano di investimenti promosso (e sloganizzato a più non posso) dal neo-eletto Presidente. Analizzando qualche voce critica, è infatti possibile avere un quadro non proprio ottimistico sulla natura del provvedimento realizzatosi:
"[...] Il piano si fonda su 21 miliardi di capitale pubblico (garanzie del bilancio europeo per 16 miliardi, altri 5 miliardi arrivano dalla Banca europea per gli investimenti - Bei). Questi fondi, in virtù di un effetto leva dichiarato di 1 a 15, sarebbero a loro volta in grado di mobilitare complessivamente 315 miliardi di investimenti. [...] la Commissione Juncker stima che per ogni euro investito dal fondo se ne possano mettere in moto altri 15 da parte dei governi dei Paesi membri e anche da parte dei privati. L'attrattiva [...] si dovrebbe fondare sul fatto che il rischio maggiore degli investimenti si sposta sulle garanzie pubbliche. I documenti pubblicati dalla Commissione spiegano l'effetto moltiplicatore applicandolo ad esempio all'attività della Bei. Il fondo europeo farebbe da protezione per nuove attività della Bei: 1 euro aprirebbe alla possibilità di investire da parte della Bei 3 euro in prestiti subordinati, debito a lungo termine con livelli di rischio più elevati o azioni in determinati progetti. [...] questi permetterebbero ai privati di investire 5 euro nelle tranche di debito senior, più sicuro, di quegli stessi progetti: di lì l'effetto leva complessivo di 1 a 15. Dalla Commissione ricordano che si tratta di una stima prudenziale: l'aumento di capitale della Bei del 2013 aveva un effetto leva stimato in 1:18 e il fondo dedicato alle Pmi ha avuto un effetto di 1:20. Ancora da Bruxelles stimano, nel complesso, un'aggiunta di 330-410 miliardi al Pil Ue dei prossimi tre anni. [...]"
(Fonte: "Juncker: 'L'Europa volta pagina". I fondi degli Stati fuori dal Patto', La Repubblica)
In altre parole, semplificando il più possibile, quanti e quali potrebbero essere gli aspetti fortemente critici di questo modello di previsione economico-finanziaria? Rispondendo in maniera divulgativa, è possibile fare riferimento a quanto riportato nel seguito:
"[...] i soldi veri racimolati [...] nel bilancio Ue non sono più di 2 miliardi di euro, a cui si aggiungono 5 miliardi che la Banca europea degli investimenti metterà in un apposito Fondo strategico e [...] altri 14 [...] fra quelli già stanziati per lo sviluppo.
L'intero processo appare lento e macchinoso, ma [...] il vero problema è che l'effetto-leva [...] è inverosimile e improponibile. 
In tutto, la Ue mette a disposizione 21 miliardi di euro, che dovrebbero mobilitare investimenti per quasi 300 miliardi. [...]
il Fondo strategico dovrebbe raccogliere 14 euro di capitali privati per ogni euro che mette a disposizione [...].
"Non ci risulta - scrive Boeri - che fondi di investimento pubblico siano mai riusciti ad attivare una leva finanziaria superiore a 3 a 1, anche ai tempi della finanza allegra". Per i privati che investono, i rischi sarebbero assai alti.
Il Fondo Ue copre le prime perdite dell'investimento, ma, siccome i fondi Ue non arrivano neanche al 7 per cento dell'investimento complessivo, basta una perdita superiore al 7 per cento per spazzare via le garanzie pubbliche. Il resto della perdita ricadrebbe completamente sui privati. [...] Gros spiega che anche quei 21 miliardi di fondi Ue sono [...] una frittata rivoltata.
Infatti, 8 miliardi di euro sono non nuovi capitali, ma garanzie di copertura che [...] erano già previste.
E altri 8 miliardi ugualmente non sono soldi freschi, ma ne hanno solo l'apparenza: si tratta di risorse ottenute tagliando i fondi già previsti per la ricerca o per lo sviluppo delle reti informatiche, cioè alcune delle principali finalità del Fondo strategico. Se i primi 8 miliardi sono il gioco di specchi, questo è il trucco delle tre carte. Neanche gli ultimi 5 miliardi previsti, quelli che dovrebbe mettere la Bei, si capisce da dove vengano, dato che nessuno parla di una ricapitalizzazione dell'istituto. [...]" (Fonte: "Il piano Juncker per la crescita diventa solo un alibi", La Repubblica)
Le "larghe intese" stipulate in sede Europea potrebbero quindi fondarsi su un qualche cosa di ingigantito e/o non corrispondente alle aspettative?
La tendenziale risposta affermativa da dare a questa domanda si definisce osservando ulteriormente i confini attribuiti al piano, ponendo particolare attenzione al contenuto sintetico affidato alla coppia di parole "effetto leva":
"[...] Possibilità di effettuare un investimento che riguarda un elevato ammontare di risorse finanziarie, con un basso tasso di capitale effettivamente impiegato. [...]" (Fonte: morningstar.it)
In altre parole, pertanto, il rapporto di liquidità effettivamente smobilitate sarebbe, includendo tutte le voci, compreso in un intervallo oscillante fra 2 e 14 miliardi di Euro circa. Tali livelli, se confrontati con l'ammontare inizialmente sbandierato, si attestano su cifre percentuali comprese fra lo 0,7% ed il 4,7%. Non sembra essere un pò poco, per un piano che si pone l'obiettivo di trascinare un continente intero fuori dalla crisi economica più grande e grave che l'intera umanità abbia conosciuto mai? Al netto dei punti di vista, la sensazione è che sarebbe necessario avere qualche arma in più da spendere ed utilizzare per dirimere scelte importanti. Per imprimere una radicale svolta al continente intero, dunque. (cfr., per analisi grafiche: http://ftalphaville.ft.com/files/2014/11/Screen-Shot-2014-11-27-at-08.41.22.png)
Il significato più realistico che sembra essere attribuibile all'intero piano risulta richiamato in un articolo presente nel blog phastidio.net:
"[...] Quella che doveva essere una bomba è in realtà un petardo fradicio. [...]"
(Fonte: "Eran 300, deboli e finti", phastidio.net)
A fronte di queste premesse, quali sono state le risposte realmente riscontratesi da parte dei vari stakeholder europei? Quale è stata la risposta potenziale a questo piano di (sbandierati) investimenti, su scala continentale? Per rispondere a queste domande è sufficiente leggere quanto richiamato nel seguito, in termini estesi:
"[...] Gli Stati membri [...] hanno presentato 2.000 proposte di progetto per il finanziamento [...] I 2.000 progetti hanno un valore complessivo di circa 1,3 trilioni di euro, dicono fonti comunitarie. La Banca europea per gli investimenti (Bei) si occuperà di stabilire quali progetti potranno essere finanziati, in modo che la decisione non sia politicizzata [...]"
(Fonte: "Piano Juncker, pioggia di progetti dagli Stati membri: oltre 2mila richieste di finanziamento", La Repubblica)
Rispetto agli intenti iniziali, le aspettative nei confronti di questo piano sono notevoli.
Sono state infatti fatte richieste superiori di oltre tre milioni di volte rispetto agli intenti dimostrati, quantomeno a parole.
Restano, nonostante tutto, tantissime domande: quanti di questi miliardi risulteranno concretamente ed effettivamente smobilitati e/o smobilitabili?
Quanta validità potrà avere l'effetto leva, essenziale per la buona riuscita del piano di (soli?) buoni intenti?
A quali "conseguenze spiacevoli" potrebbero andare incontro gli autori di promesse disattese?
Vale davvero la pena fondare le "larghe intese" continentali su un progetto che sembra fare così tanta acqua ed avere così tante lacune o quantomeno punti di forte incertezza? Le analisi ulteriori ed i punti di vista non si sprecano, in un momento storico prepotentemente bisognoso di miglioramenti.
Rapidi e, purtroppo, non ulteriormente rimandabili.
Fonte immagine: wired.it


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