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Fra parentesi

Creato il 14 luglio 2015 da Malvino
Non sembrerà, ma io sono assai sensibile alle critiche che mi muovono i miei lettori, e proprio oggi uno di loro mi ha rimproverato il «grave errore» di usare, per l«azione politica di una nazione», lo stesso metro di giudizio che potrebbe anche essere legittimo per l«azione di un individuo» nellaffermare che «nel momento di contrarre un debito si debba avere ben chiaro che per onorarlo si debba essere disposti anche a morire di fame». Anzi, fatemi dir meglio: il metro di giudizio che sostiene la mia affermazione sarebbe senza dubbio errato nellanalisi dell«azione politica di una nazione», ma non è detto che non lo sia pure nel caso di un individuo che contragga un debito infischiandosene della possibilità di onorarlo, e dico questo perché sul punto il lettore in questione mi è sembrato vago, limitandosi a definire il mio giudizio come operante attraverso gli «strumenti dell’etica», termine che occorre maneggiare con cautela perché assai pericoloso, e che infatti io cerco di evitare anche quando il contesto basterebbe a dargli il significato che vorrei gli fosse dato da chi mi legge, e chi mi legge da qualche tempo non dovrebbe ignorare che per me il «bene» a fondamento del discorso etico equivale a quell’«utile per il maggior numero di individui» che dovrebbe far coincidere la regola morale alla norma giuridica. In tal senso, sì, non ho fatica ad ammettere che l’«utile per il maggior numero di individui» sta nel fatto che ciascun individuo si assuma fino in fondo la responsabilità delle proprie azioni, per potersene dichiarare pienamente libero. Ora, a me pare che la propria libertà non possa che consistere nel muoversi entro i limiti posti dalla libertà altrui, e che questi limiti debbano necessariamente essere concordati nella sede di un contratto sociale, nazionale o sovranazionale, che può anche essere violato, a patto di saperne subire le conseguenze, e senza avere alcun diritto di lamentarsene. Sarà per questo che, pur riuscendo a cogliere la differenza che corre tra un popolo e un individuo, presumo che entrambi siano tenuti ad essere responsabili delle proprie azioni? Certo, la differenza che corre tra un popolo e un individuo non mi impedisce di constatare che, per le scelte fatte da un governo, la responsabilità di un popolo che lo ha espresso sia solo indiretta, ma in fin dei conti non rimane tutta sua? Nel caso dei greci, è fuor di dubbio che il debito pubblico sia stato cumulato per le politiche di governi democraticamente eletti da un popolo che non è stato in grado di ponderarne a sufficienza le conseguenze. Bene, il governo in carica non avrà le responsabilità di quelli che l’hanno preceduto, questo è perfino ovvio, ma il popolo greco è sempre quello, e non può pretendere che le conseguenze di scelte errate in precedenza siano emendate in virtù di un cambio di governo. Del debito che la Grecia ha cumulato può darsi non abbiano goduto in modo equo tutti greci, su questo non c’è dubbio, ma è di tutti i greci la responsabilità che questo sia accaduto, e questo mi pare che destini al solo dibattito interno l’analisi del come e del perché sia potuto accadere. Non è detto che da questa analisi possa necessariamente maturare un senso di responsabilità che riesca a farsi carico di ciò che il passato chiede all’oggi, ma può darsi aiuti finalmente a capire che dall’oggi dipende il domani.

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