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Frammentazione dell’ Io, ciò che più temiamo

Da Renzo Zambello
Frammentazione dell' Io

Frammentazione dell’ Io

Una delle affermazioni di Freud che più ci ricordiamo è: “non siamo padroni a casa nostra”. Intendeva dire che non ci conosciamo affatto e che se vogliamo, dovremmo  faticare non poco per conoscere chi siamo, il nostro Io.

Ognuno di noi pensa di sapere cos’è l’Io intendendo per Io quella parte di autocoscienza di sé. L’Io è l’insieme delle nostre  capacità cognitive che    riteniamo ci abbiano  resi diversi ma soprattutto  superiori ad ogni altro essere vivente.  Cartesio è il nostro faro: “cogito ergo sum”.

In realtà le cose sono un po’ più complicate di come vorremmo che fossero. Non è poi così vero che il nostro Io e la percezione del  Sé sia così granitica. D’altra parte questa labilità dell’Io era già presente nella definizione di Freud, dobbiamo lavorare, cercare per avere consapevolezza di Sé. Ma, non solo, il nostro Io è sfaccettato, poliedrico come le facce di un caleidoscopio. Pirandello ma soprattutto Pessoa lo hanno  raccontato mirabilmente.  Scriveva Fernando Pessoa: “Tutto ciò che esiste, forse esiste perché esiste un’altra cosa. Nulla è, tutto coesiste: forse è proprio così.”

Da tempo siamo consapevoli che l’Io è un struttura finale di un processo  magmatico, l’esito,  come ci hanno spigato i padri della teoria psicoanalitica,  di una strutturazione  delle energie inconsce che si solidificano e strutturano a contatto con la realtà. Tutta la teoria Junghiana è la teoria “del doppio” dell’ombra. Jung nel suo libro “Tipi psicologici”, non solo aveva diviso per grandi categorie le persone:  introversione ed estroversione ma ne aveva soprattutto messo in evidenza la problematica della dualità umana, ogni introverso è in realtà un estroverso e viceversa.

Un mio paziente mi raccontava con una certa sorpresa come lui, persona riservata, portata all’isolamento, poco socievole, nel momento in cui si alterava un po’ bevendo, iniziava a raccontare barzellette e diventava l’animatore in una  serata amicale.  Altrettanto sappiamo dalla letteratura come molti dei comici anche famosi, fossero in realtà, in alcuni casi,  persone malinconiche  fino alla depressione.

Eppure, nonostante questa intrinseca limitazione della consapevolezza e della fragilità del nostro Io, se ci pensiamo solo un po’, ci accorgiamo che gran parte della nostra energia psichica, dei nostri pensieri, delle nostre paure e ansie hanno un unico oggetto: il nostro Io.

Ma perché consumiamo così tanta energia a tenere assieme una parte di noi che non è mai totalmente formata e di che conosciamo solo parzialmente?

Il dolore della frammentazione dell’ Io

Come spesso succede per le cose che ci riguardano, noi impariamo dalla patologia. E’ proprio dalla patologia che abbiamo imparato a temere la frammentazione dell’ Io.

In letteratura forse è Kafka che racconta questo dolore in “La metamorfosi” dove il protagonista Gregor Samsa si risveglia e si ritrova trasformato in un gigantesco insetto.  Ma Kafka descrive il dolore di Gregor riferendolo alla metamorfosi del suo corpo, la sua mente rimarrà lucida fino alla fine, perché la frammentazione dell’Io, della mente è un dolore irraccontabile, più profondo e sicuramente più buio del deterioramento di tutto il corpo. Infatti la morte di Gregor Samsa  sembra alla fine avere un senso, nella frammentazione dell’Io, quella  “dell’urlo”  di Munch,  nessuna.

La frammentazione dell’ Io e la clinica.

E’ la clinica forse che ci da un racconto almeno sintomatico del dolore derivante dal pericolo della frammentazione dell’ Io, sono  i borderline e coloro che soffrono di attacchi di panico.

A proposito del dolore nei borderline la Dott. ssa Fernanda Zanier scrive: “…..(il dolore)non è la somma delle innumerevoli croci comportamentali che il borderline deve portare. No, la sofferenza è altra E’ lo stare continuamente in bilico tra delirio e lucidità. È impazzire e poi,  rendersi conto di esserlo stato un attimo prima, senza poter fermare il fiume di rabbia e frustrazione che spesso lo sovrasta che  come una piena distrugge tutto nel suo percorso”. I borderline usano solitamente una espressione  semplice ma drammatica per descriversi: “ sono un sacco vuoto”. L’elemento che si riscontra in tutti i borderline è  l’instabilità degli stati emotivi che frammenta la propria vita  in una continua serie di cadute e riprese, senza la possibilità di trattenere niente ma  continuamente sospinti  “a cibarsi”  di qualcosa che li lascia  comunque,  disperatamente  vuoti.

Senza volerci addentrare troppo nella clinica del borderline, dobbiamo precisare che il dolore di questo paziente è un dolore che lo può salvare. E’ il dolore che lo spinge se pur in uno stato disperante  e apparentemente senza possibilità di riuscita, a cercare. Il paziente borderline non ha ancora superato il confine oltre il quale c’è il delirio, la totale separazione della realtà, la dove la frammentazione dell’ Io è avvenuta.  Il borderline è in bilico sul un burrone, straziato teme continuamente la sua fine ma rimane ancorato con le mani sanguinanti  e le braccia che si induriscono, alla realtà

Un’altra categoria di pazienti che sperimentano la paura della frammentazione dell’ Io sono coloro che soffrono di attacchi di panico. Il panico è  la paura della frammentazione dell’ Io. L’ attacco di panico si presenta come un’ esperienza improvvisa e drammatica che coinvolge completamente mente e corpo. Durante gli attacchi di panico tutto va in corto-circuito. Il paziente prova tremore, vertigini, nausea, suda copiosamente, iperventila, è colpito da parestesie (sensazione di formicolio), tachicardia e una sensazione di soffocamento. La persona colpita  dagli attacchi di panico spesso  riferisce di aver provato una angosciante  paura di morire ma soprattutto di aver sofferto per la paura di  perdere il controllo delle proprie emozioni e comportamenti, cioè di impazzire, paura della frammentazione dell’ Io. Il tutto avviene improvvisamente e apparentemente senza alcun preavviso e motivo. Vi sono tante teorie  e conseguentemente terapie sugli attacchi di panico. Alcune si interessano dai sintomi e conseguentemente il paziente viene curato con un sintomatico.  La terapia più classica le benzodiazepine (Lexotan, xanax o similari). Poi,  i terapeuti  che si interessano prevalentemente delle alterazioni neurogene che sostengono  l’attacco di panico e che fanno seguito ad esso. Le terapie sono prevalentemente gli antidepressivi, soprattutto  gli antidepressivi serotoninergici (Seropram, Elopram, Cipralex, Entact, Zoloft, Daparox, Eutimil, Seroxat, Prozac, …..) Poi ci sono i psicodinamici  che vedono nell’attacco di panico non la malattia ma un sintomo. Per inciso il sintomo viene  curato, come tutti i sintomi che coinvolgono pesantemente il corpo ma , va interpretato.  Il problema non sta  nel sintomo, nell’attacco di panico, ma a monte, sul perché di quell’attacco.

Paradossalmente l’attacco di panico è molto spesso l’ultimo allarme che l’inconscio manda prima della catastrofe e  “salva il paziente”  con due meccanismi, il primo “avvisandolo” che qualcosa non funziona. E’ l’allarme rosso che si accende sul cruscotto,  se non ti fermi, rompi tutto. Il secondo meccanismo di difesa è il coinvolgimento del corpo. Se tutta quell’energia che si scarica nell’attacco venisse  mentalizzata e rimanesse a livello di emozioni, veramente si rischierebbe la frammentazione dell’Io.

Il paziente che soffre di attacchi di panico come uno traumatizzato, va colto, curato nella sua sintomatologia ma soprattutto gli deve essere data la possibilità di elaborare psicologicamente il significato di quel linguaggio del corpo. E’ mia esperienza che i pazienti che vengono curati su questi due piani superano il sintomo nell’arco di poche settimane ed elaborano il significato vedendo nell’attacco non una malattia ma una occasione per trovare se stessi.

Drammatiche esperienze dove la frammentazione dell’ Io avviene

Un terzo caso clinico, dove possiamo leggere il dramma della frammentazione dell’ Io sono i  post traumatici gravi, la dove l’Io si è frammentato definitivamente.  Ricordo due casi drammatici: i bambini violentati e i deportati nelle guerre. La mia età mi ha dato il vantaggio di aver potuto  conoscere sia bambini reduci da violenze sessuali che reduci dai campi di concentramento. Per tutti un comune denominatore: il vuoto emotivo. Non si poteva neanche più parlare di dolore, forse l’equivalente biologico che più si avvicinava al loro stato mentale era la lobotomizzazione. In loro la frammentazione dell’Io era avvenuta e chi è stato ad Auschwitz ne intuisce anche i meccanismi.

La frammentazione dell’ Io e il mito

Ma ritornando alla paura della frammentazione dell’ Io, da casi clinici riportati se ne desume la drammaticità dell’evento e, ancora una volta ci chiediamo,  ma perché?

Se abbiamo ipotizzato fin dall’inizio del nostro ragionamento che l’Io è in fondo una relativa e non ben definita  piccola parte del Sé, dove per Sé intendiamo tutta la struttura psicodinamica della persona: Io, super Io, inconscio, inconscio collettivo, corpo e io aggiungerei anima, perché tanta paura della frammentazione dell’Io. Non proviamo così tanta paura neanche per il nostro corpo. L’Io è più importante del corpo e di tutto il resto.

Credo che la soluzione del dilemma stia ancora una volta nel mito, un mito un po’ più recente di quelli greci: il Santo Graal. Chiaramente non starò qui a ripercorrere il mito del Graal, dico che per noi l’Io è il nostro Graal. La struttura stessa del Graal e coerente con l’Io, chi avrà il Graal diventerà immortale ovvero, chi raggiungerà una consapevolezza dell’Io non temerà più la morte. L’esempio ce l’abbiamo nei Vangeli, è la discesa dello Spirito Santo. E’ il momento in cui ogni Apostolo riconosce se stesso, trova il suo Graal, ovvero riconosce il suo Io nella sua specificità è l’individuazione junghiana.  Non temerà più la morte. La morte porterà via il corpo non l’Io.  Per dirla con quello scettico di  Montaigne : “ A mio giudizio la morte è solo la fine della vita, non il suo fine”.

Riprendendo la metafora di Freud dell’ Io come  la nostra casa, è allora illuminante la parola del Vangelo “….sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande». Mt 7,24-27

Potremmo chiederci, ma come, il Sé con l’inconscio, l’inconscio collettivo, il corpo e  abitiamo in uno spazio così piccolo e lo difendiamo con le unghie? Bhe! L’Io è il minuscolo pianeta da dove arriva il Piccolo Principe, talmente piccolo che si può guardare il tramonto e le stelle per tutto il giorno, solo spostandosi un po’ ma è il posto dove siamo principi. E’ il posto  dove potremmo essere noi stessi se impariamo da ciò che il principe dice: “Gli uomini coltivano 5000 rose nello stesso giardino… e non trovano quello che cercano… e tuttavia quello che cercano potrebbe essere trovato in una sola rosa o in un po’ di acqua. Ma gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare col cuore.” Il piccolo principe  di Antoine de Saint-Exupéry

Di Renzo Zambello

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