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Frammenti Milanesi/4 - Purchè si passi

Creato il 28 maggio 2010 da Mapo
Venerdì sera. Anche oggi esco tardi dall'ospedale per sistemare un paio di cose. Sulla via del ritorno, il solito tram si blocca, a qualche metro dalla fermata, per non ripartire più. Sembra sia deragliato. Non un deragliamento da film. Tutti illesi e, forse, nessuno che se ne sia accorto davvero. Ma è comunque abbastanza per indurre il conducente ad aprire le porte e far andare tutti a piedi.E così mi trovo sul marciapiede, trascinando il mio trolley inutile con il libro che stavo leggendo ancora tra le mani, il dito medio a tenere il segno più o meno a metà delle 648 pagine.Il marciapiede è stretto e ho di fronte una bambina vestita di rosa con in mano una fune. La fa ondeggiare davanti a se, circoscrivendo un'orbita circolare. Dal lato del muro la cima della corda sfiora appena l'intonaco rosa della casa. Dall'altro lato arriva a circa 20.25 cm dagli specchietti delle macchine parcheggiate. Il varco per passare, si capisce, è molto piccolo. E lei non accenna a smettere. La guardo negli occhi, ma non sembro incuterle nessun timore. Devo giocare. E' un problema di tempismo.Ora si.Ora no.Ora si.Ora no.Ora si!Allora parto, veloce, deciso, cogliendo il momento buono in cui la corda è lontana, verso il muro, come in un videogioco dei tempi andati. Passo via veloce, la fune mi sfiora appena la manica della camicia azzurra. Me ne accorgo quando sono già lontano.
Nei minuti seguenti non faccio che percorrere una scia di pensieri, forse senza troppo senso e figli del mio prendere a metafora quasi ogni cosa che mi accade.Mi chiedo: come avrei dovuto reagire?Decido di metterla sul geografico e semplifico tutto a due opposte alternative:
A) NAPOLI. Mi calo nei panni di una signora napoletana, una di quelle matrone ingioiellate di bigiotteria che scendono sotto casa tutti i giorni a comprare la carne dal macellaio. Mi immagino ondeggiante sulle mie gambe gonfie di scompensata, con la sporta in mano. Sono certo che prenderei a male parole la bambina, magari in dialetto, costringendola a scappare dalla mamma, che sorseggia un caffè nero all'interno del bar di fianco e da cui, credo, avrebbe ben poca consolazione.
B) MILANO. Mi vedo in camicia e scarpe comode, di corsa al ritorno dal lavoro. Incazzato con il mondo perchè i traspori di Milano, si sa, son quelli che sono. Cammino veloce, cedendo a stento il passo a chi mi trovo davanti, con la voglia di arrivare a casa, farmi una doccia calda, mangiare qualcosa e prendermi il tempo di decidere se stare a casa a scrivere sul blog o uscire a bere qualcosa. Di certo di quella bambina non mi sarei preoccupato affatto. L'avrei ignorata, pensando che, in fin dei conti, avrebbe benissimo potuto essere lì da sola, la madre a rifarsi le unghie chissà dove che se vuole crescere una figlia maleducata sono cavoli suoi.
Forse è triste, ma è una sensazione che mi ha fatto sentire a casa.

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