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Francesco Giunta: un artista “integrale”

Creato il 22 giugno 2014 da Marili @marielisamuglia

francesco1Una intervista di Maria Elisa Muglia a Francesco Giunta, musicista e compositore siciliano restio alle etichette, che in oltre 25 anni di musica ci ha regalato brani intensi e carichi di una emozione vera, I suoi inizi, le sue esperienze, i suoi progetti futuri. 

Buongiorno Francesco e innanzitutto grazie per averci concesso questa intervista. Partiamo dalle tue origini artistiche, quando hai iniziato a interessarti alla musica?

Come tanti ragazzi che poi …non riescono a guarire, il contagio arriva da giovanissimo per il tramite di una chitarra avuta in “prestito” da un compagno di scuola agli inizi delle superiori. La tentazione immediata è il voler imparare a suonare per scrivere e cantare, tentazione che presto si trasforma in pratica costante cui dedico molto tempo trascurando così lo studio dello strumento per il quale mi reputo e resto un “avventizio”. Gli anni sono quelli del crogiolo che porterà all’esplosione del ’68 e inevitabilmente la predilezione è per la canzone d’autore: De Andrè, Endrigo, Tenco, e quindi Lauzi, Guccini, Gaber e altri epigoni successivi. Per quelli della mia generazione e delle generazioni adiacenti è stato un privilegio “crescere insieme” ad alcuni di loro e ad alcune delle loro “opere”. Una tra tutte: “La buona novella” del grande Fabrizio. Se mentre hai diciotto anni viene alla luce un capolavoro intenso e fuori dal tempo come quello, quale altro apporto puoi chiedere alla “musica”? In verità, e non so quanto sia soltanto un fatto generazionale, non credo che i tantissimi diciottenni delle epoche successive abbiano avuto la fortuna di incontri cosi importanti. Purtroppo la “musica che gira intorno”, per la gran parte, è diventata qualcos’altro.

Raggiungere un proprio stile e una propria identità, quanto è importante per un musicista?

Ho sempre pensato alla musica (e nel mio caso a quella in “forma di canzone”) come a una sorta di prolungamento o di “strumento” del mio sentirmi e voler essere “individuo sociale”. Oggi non so se questo tratto è un residuo sessantottino o un’acquisizione post-ideologica, magari tra queste due cose non c’è neanche contraddizione. E allora stile e identità “risentono” di questa impostazione. Non mi piace però lo stereotipo secondo il quale “ogni volta che canti deve arrivare il messaggio”.  In realtà questo stesso stereotipo (come qualsiasi altro) è un’invenzione di chi vuol far passare un “suo messaggio” insieme all’invito a una sorta di disimpegno totale: perché …gli “impegnati” sono noiosi e pesanti, non hanno la testa ad altro e sono insoddisfatti, “la musica è soprattutto divertimento”, ecc. ecc. come in ogni campo dell’arte e della cultura. Nel mio piccolo mi reputo un “impegnato” ma l’unico “messaggio certo” (e importante) che tento di mettere nelle cose che faccio è questo: ciò che scrivo e canto deve riguardare me e (per quanto più possibile) chi mi ascolta. E questo senza limiti tematici,  umorali o, peggio, ideologici e, soprattutto, senza la presunzione di aver trovato ricette magiche o soluzioni perfette: già parlare e ragionare insieme è la gran parte di ciò che serve soprattutto in questo nostro tempo.

Non ami essere classificato e non ti piacciono le etichette di cantautore di musica indipendente. Come ti definiresti?

Apparentemente le “classificazioni” hanno lo scopo di fare chiarezza e guidare nelle scelte. In realtà il più delle volte vengono fatte e utilizzate da chi governa i mercati per suddividerci in gruppi omogenei di consumatori e ottimizzare le vendite. La cosa più grave è che la gran parte di noi ci casca e si “auto-inquadra” nel suo settore preferito. Personalmente ho dovuto impiegare molti anni per chiarire che scrivere e cantare in siciliano non significa necessariamente interpretare anche “Vitti na crozza” e “Ciuri ciuri” o, addirittura, avere il piacere di farlo comunque. Solo negli ultimi anni si è cominciata a diffondere la consapevolezza che “cantare in siciliano” ha …addirittura delle “sotto-classificazioni”.Da qualche tempo, peraltro, sopporto sempre meno la parola “cantautore” ampiamente criticata da tanti altri. Già quasi vent’anni fa, in un mio recital sull’umorismo in siciliano dal titolo “Kalia”, giocavo su questo termine definendolo sbagliato dal punto di vista temporale: se sei “uno che canta le cose che scrive” prima devi scriverle e allora dovresti essere un …autor cantante! Come la maggior parte dei cosiddetti “cantautori”, peraltro, anch’io posso considerarmi un “cantante fino al punto in cui serve”. Il cantare (quello vero, intendo) necessita uno studio e una predisposizione che non sempre riescono a convivere con quelle dell’autore. Verosimilmente, però, non si riuscirà mai a trovare un termine che sostituisca adeguatamente “cantautore”. Ma io mi chiedo: ma è proprio necessario definire qualcuno con una sola parola? D’altronde, già da qualche tempo vengono utilizzate locuzioni e frasi fatte persino …negli schemi di parole crociate!

Negli anni 90 l’esperienza dell’etichetta indipendente Teatro del Sole. Cosa ne è rimasto oggi?

“Teatro del Sole” ha una data di nascita: 1° Dicembre 1996. In quel giorno viene pubblicato e presentato a Licata il primo titolo che dà l’avvio alle pubblicazioni del nuovo catalogo discografico indipendente. Quel titolo era breve e grande insieme: “Rosa Balistreri” e fu prodotto in collaborazione con l’Amministrazione cittadina di quel tempo che in quella stessa occasione diede vita ad un centro intestato alla nostra grande interprete. Fu avviato anche un progetto sul canto popolare al quale collaborai per un paio d’anni realizzando alcuni eventi significativi. L’Italia, purtroppo, si avviava verso l’oscurantismo berlusconiano e oggi di quel centro e di quei sogni non è rimasto quasi nulla. Solo alcuni risultati sono rimasti.Rosa ci aveva lasciato poco più di sei anni prima, agli albori dei supporti digitali. Già da qualche decennio l’industria discografica aveva dimostrato grande disinteresse per la sua voce e per tutta quella musica popolare che negli anni ’70 aveva vissuto una stagione straordinaria. L’opera di Rosa, interamente in vinile, rischiava di rimanere sepolta nel dimenticatoio. Proprio in risposta al “commercializzarsi” di gran parte del settore musicale e discografico si avviò nella prima metà degli anni ’90 il fenomeno delle “etichetteindipendenti”. Teatro del Sole nacque in quello stesso contesto ma con la peculiare missione di restituire all’ascolto l’intera discografia di Rosa Balistreri e altri gioielli del canto popolare. Per il bene di tutti si andò anche al di là del previsto e del prevedibile. La disponibilità e l’affetto di alcuni amici di Rosa, infatti, (e tra questi sicuramente il carissimo Felice Liotti) consentì la pubblicazione di alcuni inediti straordinari, sconosciuti persino agli estimatori dell’artista licatese. Alcuni di questi inediti arricchirono e completarono in modo incredibile la figura e l’opera di Rosa come artista e come donna. “Quannu moru” e “Rosa canta e cunta” sono solo due gioielli venuti alla luce grazie a tutto questo.

In 12 anni di attività “Teatro del Sole” si è occupata in vario modo e ha pubblicato quasi 60 titoli (59 se non ricordo male). Tra questi: i primi due dischi di Francesco Buzzurro (“Latinus” e  “Freely”), la ristasmpa dei primi due dischi della Taberna Milaensys, i primi dischi di musicisti come  Mauro Schiavone, Ruggiero Mascellino, Giuseppe Cusumano, Massimo Laguardia, Matilde Politi e ancora “Operaio di sogni” con Alessandro Quasimodo dedicato all’opera poetica del padre e fino alla produzione di “De ssa terra a ssu celu” scritto e diretto dal M° Ennio Morricone, registrato con “La Sinfonietta” di Roma e cantato da Clara Murtas: una suite incentrata sulla rielaborazione del brano “Deus ti salvet Maria”, struggente Ave Maria tradizionale sarda. Qualcosa, insomma, forse resta.

Ma dico anche che 12 anni dedicati a Teatro del Sole costituiscono per me un’esperienza fantastica e poco conta se in tutto il catalogo si ritrova solo un titolo dedicato al mio repertorio (“E semu ccà” del 97).

Pino Veneziano: Un amico. un Artista. Parlacene un pò.

Ho incontrato Pino solo un paio di volte e, come succede solo con i grandi, quando li hai incontrati una volta li hai incontrati per sempre! Pino è stato e resta un grande, sicuramente al pari di Rosa Balistreri e di Ciccio Busacca. Per certi aspetti la sua attività e la sua figura furono ancora più caratterizzate dall’impegno politico e dall’essere associato a un determinato partito politico (Lotta Continua nel suo caso). Ma per lui come per gli altri meravigliosi interpreti il tempo restituisce una verità inaspettata: se è vero che non a caso si sono schierati da una determinata parte e anche vero che non è stata “l’appartenenza” a farne dei grandi. Ascoltando e leggendo al di là degli slogan e di quelle che un tempo si chiamavano parole “parole d’ordine”, si scoprono delle anime limpidissime capaci di suscitare emozioni intense e profonde anche al di sopra e lontano dalla cronaca del momento.

Lo incontrai per la prima volta nel 1977 in occasione di un concerto organizzato dal consiglio di fabbrica della centrale Enel di Milazzo di cui facevo parte. In quegli anni il “concertone del 1° Maggio” in piazza San Giovanni” era di là da venire e di altro tipo erano i sindacati e gli eventi musicali che organizzavano. Diverso era anche il repertorio richiesto e proposto. Essendo nato nel ‘33 era uomo già maturo con una voce possente e “graffiata”, dotato di una vena poetica naif immediata e disarmante. E se la lingua italiana era per lui solo un optional per il quale non aveva potuto spendere molto, quando cantava in siciliano produceva letteratura. L’opera di Rosa e di Ciccio mi aveva portato già da qualche tempo a recuperare quel dialetto che ci era stato negato nei decenni precedenti (appartengo a quella generazione di “scolari” ai quali era letteralmente vietato parlare in dialetto a scuola!). Ascoltare Pino, da lì a qualche anno, rese la mia scelta definitiva.

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Quali sono i tuoi progetti futuri?

Gli ultimi anni non sono stati facili. Ho avuto anche momenti di amarezza profonda per l’esito di alcuni rapporti “professionali” che per qualche tempo mi hanno indotto a fermarmi. Alla fine, fortunatamente, la musica vince sempre e nel 2012 ho pubblicato “Era nicu però mi ricordu” prodotto da Alfredo Lo Faro. In ogni caso penso di aver dedicato abbastanza tempo ai “progetti corali” e al tentativo di dar vita a una sorta di “agire comune” dei musicisti e degli autori siciliani: ancora oggi non c’è tutta questa voglia di “fare squadra”. E se è vero che ho in mente un ultimo e monografico “progetto bandiera” su questo fronte, è anche vero che mi dedicherò soprattutto al mio repertorio (che forse ho trascurato troppo) e finalmente alla pubblicazione di un primo nuovo disco di brani inediti e di scrittura recente. Spero di non fermarmi e di …invecchiare cantando!

Ho sempre pensato al canto in siciliano come a una delle bandiere più importanti a disposizione dei siciliani per affermare il loro diritto a pretendere la cessazione immediata di ogni etichettatura denigratoria e stereotipata portata avanti per decenni con finalità meschinamente politiche e mai disinteressate. E  ciò restando comunque lontano da qualsiasi “sicilianismo di maniera” che come tutte le forme di esasperazione ideologica infervora il presente ma non costruisce futuro.

Dal punto di vista progettuale e delle iniziative ho cercato di contribuire alla costruzione di un “pacifico fronte comune”,  convinto che la gran parte degli artisti siciliani non sa o non crede, pur sperimentandolo quotidianamente, che “la sciagura è nell’uomo quando è solo”.

Nello specifico del mio essere autore e interprete, infine, considerandomi un “antidogmatico romantico” ho scritto e continuo a scrivere cercando (e sperando) di non diventare uno “stereotipo” a mia volta, restando aperto alle collaborazioni sul fronte musicale e tentando di indagare con i miei testi temi a prima vista lontani tra loro e stati d’animo diversi e apparentemente contrastanti.

Ciò in un qualche modo mi consente di coniugare nella pratica quella che spero diventi un giorno l’idea dominante: che ognuno, in qualsiasi parte del mondo, possa intanto pensare con la propria testa e nella propria lingua per avere poi la gioia di parlarne con gli altri!

Grazie Francesco per la tua disponibilità e a prestissimo magari con un progetto comune!

Di seguito due splendidi video di Francesco Giunta e il link al suo sito per chi voglia conoscerlo meglio.

Uno splendido riadattamento in siciliano del brano “TRE MADRI” di Fabrizio De Andrè

https://www.youtube.com/watch?v=qaOK4VSf3fE

E il famosissimo “Troppu very well”

https://www.youtube.com/watch?v=EMABRqMNCuM&list=UUz7D2YQcjwkHIuxWFarOu5Q

Il sito di Francesco Giunta

http://www.francescogiunta.it


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