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Francesco Tognozzi – La trilogia NEU! di Michael Rother e Klaus Dinger

Creato il 04 aprile 2014 da Carusopascoski

Francesco Tognozzi – La trilogia NEU! di Michael Rother e Klaus Dinger

“Alle porte del cosmo, che stanno su in Germania”
Eugenio Finardi, La musica ribelle

I Neu! sono tra i gruppi più rivoluzionari del novecento ed è giunta l’ora di parlarne anche su carusopascoski grazie alla penna vividissima del mio amico Francesco. Pura avanguardia d’ispirazione kraut-rock, la band di Michael Rother e Kalus Dinger fece dei miei precedenti ascolti d’adolescente una poltiglia che sarebbe stata felicemente risucchiata via anche grazie al contemporaneo aiuto dei conterranei Faust e Tangerine Dream, che scoprii e ascoltai nello stesso momento garantendo un ingente apporto  di disturbo creativo alle associazioni mnenotiche al livello dell’amigdala, definitivamente sputttanate dal duo più lisergico di sempre.
Tutto questo era successo all’alba di quegli anni ’70 in cui, dalle parole di Jim Morrison, vi fu “un’intensa visitazione di energia”; non era il periodo migliore per avere vent’anni in Germania, con l’agghiaccente memoriale post nazista che il mondo continuava a rimproverar loro, che risposero con una fuga abissale dalla realtà. La Germania infatti in quegli anni diventa la patria della sperimentazione musicale, con locali storici per lo sviluppo musicale del novecento dove si concentravano happening lisergici e nascevano gruppi come Amon Duul, Can, Cluster, Ash Ra Tempel, Popol Vuh, Kraftwerk, Harmonia ed altri, oltre a quelli già citati. La chiave, secondo l’ex manager degli Amon Duul II Werner Peper era che “la nostra ingenuità e la nostra fede non avevano confini, l’anno era il 1969. I nostri padri erano stati i fanti di Hitler, e noi avevamo tutti un desiderio comune: qualcosa di diverso”. Nell’era del mondialismo forzoso in cui si riscoprono i legami tra la musica balinese e la psichedelia della west coast, il carattere ancestrale della Germania più cosmica, questa, si scontra con la nuova immagine di una Germania iperrealista, che continua oggi a produrre epifenomeni paralleli come una delle scene elettroniche più stimolanti al mondo e in definitiva sprofonda sempre più nella dissonanza cognitiva che l’ha segnata dai tempi dei tempi, quel conflitto sospeso tra spirito e materia di cui tutti i suoi figli eccellenti si sono fatti acuti interpreti e vibranti testimoni.
Tra tutti questi gruppi i Neu! sono senz’altro tra coloro che più hanno ispirato le sperimentazioni dei decenni a venire nel campo del rock e dell’elettronica, attraverso una fusione mai vista prima di linguaggi musicali ed in particolare l’invenzione del “motorik beat, quel battito propulsivo, costante, incalzante, che trasformava l’angoscia in trance”, che produce come ultimo esito “una musica che fa del proprio carattere teutonico una qualità, anzichè un ostacolo”, come ne ha scritto Julian Cope. Il loro è un nuovo futurismo romantico e tribale, in loro risuona l’indomito trasporto wagneriano, di loro si continuano ad ascoltare in ogni lato del mondo suoni con inesausta curiosità acustica e speculativa.
I Neu!, se ancora non si fosse capito, sono uno di gruppi senza cui adesso nè io nè il mondo saremmo ciò che effettivamente siamo. Rivoluzionari in ogni ambito in cui vengono ascoltati e riproposti, vengono qui sapientemente raccontanti disco per disco, nei loro tre capolavori assoluti, da Francesco Tognozzi, amico musicofilo già autore di una Top 50 del 2013 qui pubblicata, che prometteva bene ed è stata lasciata incompiuta con grande rammarico di chi scrive, ma che potete comunque consultare qui, ma proprio qui. Le tre recensioni sono state pubblicate singolarmente da Rockline.it, a cui vanno i miei più sinceri ringraziamenti per la concessione di poter riprodurre interamente i brani di Francesco.
So, enjoy it and be kraut.

 NEU! – NEU!

Francesco Tognozzi – La trilogia NEU! di Michael Rother e Klaus Dinger

Michael Rother e Klaus Dinger si conobbero nei pressi del 1970, nelle file dei Kraftwerk del periodo embrionale, il primo giovane e raffinato polistrumentista di indiscusse doti, capace di mostrare qualche anno in più con una sei corde in braccio; il secondo percussionista dal drumming marziale e scheletrico, perfetto per incarnare lo spirito pulsante della fresca creatura della coppia Schneider-Hutter, destinata poi a far fortune solo qualche tempo più in là, e senza di lui. Due persone giuste nello stesso posto, al momento giusto, che salutarono la compagine – frattanto divorata da contrasti interni – per dare vita al combo più geniale e produttivo nella storia della nostra musica. Due soggetti predisposti dalla natura a formare un unicum, metà complementari destinate a suggellare un incastro perfetto, come Stan Laurel e Oliver Hardy, o Ginger Rogers e Fred Astaire, o se preferite, per rimanere a stretto contatto con la materia, Alan Vega e Martin Rev.
Con pochi soldi nelle tasche e due menti cariche di propositi e inventiva, Rother e Dinger vollero creare un sound assolutamente anticonvenzionale, una ventata di rivoluzione in un momento in cui il rock da certe parti cominciava già a stagnare – non evidentemente il caso della Germania. Assemblando l’esperienza della psichedelia inglese e gli spunti dell’allora nascente canterbury, la kosmische musik dei Tangerine Dream e il verbo androide dei Kraftwerk, le escursioni nelle viscere del suono (e del silenzio) di John Cage, Karleinz Stockhausen e dei Minimalisti americani, il duo di Dusseldorf partorì in rapida successione tre dischi immortali, di una portata gigantesca, e gettò le fondamenta per intere generazioni a venire ponendo il proprio verbo a fulcro di un’enorme rifondazione che qualcuno definì simpaticamente krautrock. Neu! è il minaccioso monicker che i due scelsero per sé, convogliato puntualmente in un’estetica suprematista (mitologiche le tre copertine dominate dal solo nome della band) capace di rivelarne con immediatezza l’essenza più pura: quella di una tracotante sfida al passato, al presente, e financo al futuro.
Quella che si va a narrare è pura emozione, che esula dalla materia di cui è composta. Un flusso senza soluzione di continuità di droni, sibili, pulsazioni, scosse elettriche, bagliori quasi impercettibili, residui sintetici di vita amena e metropolitana, condensati a forgiare una musica totale, ultraterrena, seducente e inafferrabile. Una musica senza tempo né memoria, priva di qualsiasi connotazione profana, una nuda esperienza sensoriale.

Il cammino artistico dei Neu! parte dall’esordio omonimo datato 1972, considerato dai più il loro eterno e indiscutibile capolavoro. La prima uscita del combo teutonico, frutto di poche ore di registrazione effettiva (quasi esclusivamente sotto forma di improvvisazione free-form) negli Windrose-Dumont-Time Studios di Amburgo sotto la magistrale direzione di Conny Plank, rappresenta effettivamente già un’esaustiva sintesi dell’intera carriera della coppia Rother-Dinger, un’oasi di perfezione che racchiude in nuce tutti gli elementi fondamentali per inquadrare, di lì in poi, il sound iconoclasta di marca Neu!. Dal motorik, la leggendaria battuta àtona e ripetitiva che ha incarnato per decenni il fenomeno kraut nell’immaginario collettivo, alle evoluzioni oniriche e sconfinate del chitarrismo di Michael Rother; dall’uso ponderato (e mai fine a sé stesso) dell’elettronica seminale di derivazione Kraftwerk, al recupero dei rumori della nuova realtà urbana, dell’operosità umana e della macchina, a costituire a tratti autentici vagiti del culto musicale industrial. Il primo album della premiata ditta di Germania è tutto questo e molto di più. E’ la sintesi perfetta di tutto ciò che oggi chiamiamo krautrock, una delle esperienze artistiche più eversive e seminali di sempre ed è, in ultima analisi, il disco da cui sorprendentemente il punk prende le mosse in maniera più netta rispetto a qualsiasi altro lavoro prodotto entro il 1974 – Velvet Underground esclusi.
Già, proto-punk, assolutamente, e bastano i primi rintocchi di Hallogallo per rendersi conto che la storia della musica, nel 1972, prende una nuova piega, si impone una deviazione sostanziale. Mentre Bowie, Lou Reed e Iggy Pop stendono il tappeto alla stirpe di successione a suon di make-up, ironia e ambiguità, ai Tedeschi tocca il lavoro sporco: la progettazione delle meccaniche della nuova fondazione. Ed ecco che per la prima volta fa la comparsa, sotto le testine dei giradischi, il mitizzato motorik, nel più mitizzato degli episodi firmati Neu!: Rother e Dinger colgono tutti in anticipo nel riprodurre la vera colonna sonora del mondo che oggi conosciamo, la strada, l’automobile, il viaggio, la frenesia e il moto perpetuo dell’uomo moderno. Prima ancora del colossale Autobahn dei Kraftwerk, sono proprio due germogli staccatisi da una costola di essi a cogliere l’essenza concreta della nostra civiltà e del suo avvenire, con un approccio terreno e già assai distante dalla filosofia asimoviana dell’uomo-macchina, proclamata dai padri Schneider e Hutter. Il battito incessante che Klaus Dinger brevetta apre le porte all’avvento di una musica veloce, diretta, minimale: esattamente ciò che il punk sarà; l’anima del genio Neu! è tutta qui, in questa ragnatela di pulsazioni che si fa sempre più intricata nel corso dei dieci minuti di suite ed accoglie magicamente i fendenti della sei corde effettata di Rother, calda e passionale, a contrafforte del glaciale scheletro percussivo.
Sonderangebot è invece ancor più concettuale che strumentale: un sinistro susseguirsi di scie chimiche, fragori lontani e micidiali scariche di tensione, immerse in un silenzio tutt’altro che confortante. Abbandonati subito il motorik e lo wah, la seconda traccia del disco, la più breve delle sei, si nutre del synth e del sibilo ipnotizzante di un theremin, a mostrare stavolta vertiginose aperture alla fantascienza, all’infinità dello spazio e nella fattispecie ai canoni riconosciuti della kosmische di Tangerine Dream e Klaus Schulze. Una parentesi inquietante (ma ben più di un mero interludio) che sembra voler destabilizzare l’ascoltatore dopo l’appassionante cavalcata dell’opening track.
E se Sonderangebot è l’eccezione che conferma la regola, Weißensee serve per ripristinare l’ordine ma lo fa rallentando il passo, imponendo al beat di Dinger una posa più riflessiva, una cadenza più misurata. Scelta che paga, e regala dosi indefinibili di emozione: è forse nei quasi sette minuti di questo naufragio sonoro su lidi desolati, che incontriamo le note più belle, nell’accezione più classica del termine, dell’intera opera. Una melodia liquida ed eterea, su cui Rother indugia tracciando pennellate di sogno mentre il suo collega, cuore pulsante nell’alchimia della band, si limita ad accompagnare con un drumming compassato e tipicamente monocromo, come da marchio di fabbrica.
Quando il battito muore e voci campionate si sovrappongono al gorgoglio di un rivolo d’acqua, siamo già dalle parti di Im Glück: come portato in immersione, il tema della track precedente gode di una nuova vita, subacquea e ancestrale, che intorpidisce e al contempo incanta i sensi. Una litania lontana, dai contorni sfocati, defraudata della ritmica e resa quasi impercettibile, domata solo nel finale dagli squilli della pedal steel che sembra stavolta evocare il canto dei gabbiani, in un quadro che possiede già inequivocabilmente un sapore pelagico.
La quarta traccia si conclude con un intero minuto di tributo al potere del silenzio, potere reso ancor più forte dal boato che sconquassa la scena in apertura della successiva: nientemeno che un martello pneumatico, la macchina più assordante e temuta del cantiere stradale, un originale campione di caos contemporaneo deputato all’introduzione del pezzo più significativo dell’esordio in questione. La concitazione di una folla, un prolungato fruscìo metallico, e poi via con il micidiale motorik di Negativland, gommoso e roboante, che imperversa per dieci minuti di claustrofobia metropolitana rimbalzando tra i muri di distorsione eretti sempre più alti da Rother, in un crescendo di tensione costruito su ripetute accelerazioni e frenate. A tratti la logica del punk sembra già cosa compiuta, quando in realtà siamo ancora più vicini, cronologicamente parlando, a Woodstock piuttosto che alla Londra dei Sex Pistols: questo è il miracolo dei Neu!, e ascoltare il modo in cui i due aggrediscono gli strumenti (ma mai senza perdere il controllo) nell’epopea della Terra Negativa, provoca ancora oggi un brivido sulla schiena – non una cosa da poco per un disco prossimo a compiere i quaranta anni di età.
Degna conclusione di un sogno di questa portata, la lentissima ninna-nanna di Lieber Honig cala il sipario sull’opera con un carico di sorprendente dolcezza. Ancora un’ultima volta i Neu! giocano d’antitesi e scelgono di traghettare mitemente lo spirito fino alla fine del viaggio: dalle macerie di Negativland così non emergono altro che sommesse e sparute note di banjo giapponese (!) e il canto, o per meglio dire il sussurro soffocato di Rother, quasi un lamento, al limite della sperimentazione vocale. E poi di nuovo lande sconfinate, scrosci d’acqua, e infine silenzio. Un epilogo catartico, per purificarsi prima del saluto a queste sponde, alle quali però si cerca sempre di riapprodare quanto prima.

Neu! è un punto di riferimento assoluto, un crocevia stilistico dopo il quale il rock inevitabilmente non sarà più lo stesso. Lo sa John Lydon, portavoce massimo della furia nichilista del punk, pur paradossalmente lontano anni luce da qui; lo sanno David Bowie e Brian Eno, illustri adepti della scuola germanica e del genio kraut in primis; lo sa chi, circa un decennio dopo, farà tesoro – quando non uso sfrontato – delle sonorità spigolose di Negativland e del motorik, vedi il ramo più crudo e abissale della corrente post-punk, di cui saranno portabandiera Joy Division, A Certain Ratio, P.I.L. (ancora Lydon), Cabaret Voltaire e via dicendo. Uno specchio generazionale di immenso valore, eppure ancora oggi misconosciuto; ma non perchè freddo, distaccato o inumano, come verrebbe magari da pensare. Si tratta anzi per lo più di un’opera calda e intrigante, densa di mistero perchè racchiusa nel suo amorfo guscio di estetica minimalista, ma accessibile e pronta a rivelarsi a chiunque per la sua natura innovativa e poetica. La sintesi ideale della Germania che fu, capace di valicare montagne con una buona padronanza degli strumenti, una fucina di idee in continuo sviluppo e una grande dose di coraggio.
Neu! significa voltare pagina, e questo è solo il primo passo di un duo che ha riscritto le sorti della musica; ripercorreremo le sue evoluzioni in tre puntate successive, per rendere merito a chi ha veramente tracciato la strada per il futuro, con eleganza, semplicità e tanta necessità di sognare con lo sguardo rivolto al cielo, e all’orizzonte.

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NEU! – NEU! 2

Francesco Tognozzi – La trilogia NEU! di Michael Rother e Klaus Dinger

Dopo che l’omonimo debutto aveva catalizzato su di sé una certa attenzione da parte del pubblico più avanguardista, per lo meno entro i confini tedeschi, i due Neu!, al secolo Michael Rother e Klaus Dinger, si ritrovarono impazienti davanti al compimento del secondo passo, carichi di fresca linfa da riversare in musica e con un nuovo e più esteso set di strumenti a disposizione, l’acquisto dei quali, tuttavia, li aveva lasciati pressoché al verde. Si trasferirono nuovamente negli studi di registrazione poco dopo esserne usciti, con una manciata di pezzi da incidere, sfidando ogni fattore avverso sotto la guida cieca e smaniosa dell’ispirazione, pronti a regalare al krautrock quella che nel 1973 avrebbe dovuto essere una consacrazione definitiva. Ma fecero molto di più. Ciò che il duo partorì alla seconda sortita, di nuovo con la preziosa complicità del guru Conny Plank, fu un’opera ancor più estrema e lungimirante della precedente, uno tsunami di spunti brillanti che avrebbe macerato gli standard certificati di produzione di un album ‘pop’; un manifesto artistico progressista, talmente innovativo da non lasciare dubbio alcuno (anche per chi avesse guardato con scetticismo alle proposte del primo lp) sull’azzeccata scelta del monicker da parte del combo di Düsseldorf – tutt’altro che un discorso meramente arty.

C’è più storia che leggenda nelle aneddotiche recording sessions di Neu! 2, e la storia volle che fosse la miserabile situazione finanzaria della band e del suo entourage a sancire il destino del più tormentato episodio nella carriera dei due pionieri kraut. Le sconsiderate urgenze produttive risultarono eccessive davanti alla magrezza del salvadanaio già al termine delle registrazioni di quello che sarebbe stato il lato A del long-playing: l’esordio non aveva garantito entrate sufficienti, confinato com’era stato fin dalla primissima accoglienza in una cerchia ristretta di luminari dell’alternativa musicale; d’altro canto il temperamento encomiabile della coppia Rother-Dinger imponeva di portare il lavoro a termine a tutti i costi, seguendo un’attitudine filosofica, scendendo a compromessi pur di compiere quella che era sentita dai due come una vera e propria missione. Così, la decisione del duo per ovviare alle deprimenti condizioni che avrebbero costretto il progetto ad arenarsi fu quella di impastare, frammentare, manipolare l’esiguo materiale a disposizione per il secondo lato – appena due tracce – in modo da coprire adeguatamente lo spazio riservato al B-side. Una trovata sconcertante all’epoca dei fatti, da veri drittoni, ‘una soluzione pop’ – come avrebbe dichiarato in seguito lo stesso Dinger nei panni di uno Warhol di Germania – destinata a costituire un precedente isolato: il primo caso documentato di utilizzo su larga scala delle tecniche di remix. Semplice pensare una cosa del genere oggi, assolutamente geniale intuirlo allora. Quello dei Neu! fu un colpo di testa nel momento in cui si trovavano con le mani legate, che li portò a battezzare il disco più straordinario della propria carriera, in una profetica analogia con i Velvet Underground che qualche anno prima avevano dato alla luce il loro epico White Light/White Heat partendo da presupposti simili.
E non è certo questo l’unico parallelismo che si può scorgere nell’ascolto dell’album, che anzi sin dall’incipit del primo lato offre spunti per accostare i nostri a conterranee eminenze del rango dei Faust. Questi ultimi si impegnavano nel medesimo anno a pubblicare l’altrettanto seminale IV, inaugurandolo con una sontuosa cavalcata rumorista eloquentemente titolata ‘Krautrock’; i Neu! operano la stessa scelta in termini di misura affidando all’estesa e diluita Für Immer il primo posto nel platter, ma con connotati completamente diversi: il marchio di fabbrica c’è, perfettamente riconoscibile come un inarrestabile motorik capace di protrarsi indenne per oltre undici minuti, ora in primo piano, limpido e sferzante, ora dietro le quinte, a tessere le fila in sordina fino a divenire quasi inafferrabile in un mare di effetti sonori, mentre la chitarra di Michael Rother fa il resto con la consueta maestria. Caos e orizzonti visionari nell’estetica dei Faust, geometria, ordine e minimalismo in quella dei Neu!, che rimangono d’altro canto tutto fuorché freddi maneggiatori di strumenti. Certo è che Spitzenqualität suona come un iceberg, glaciale e spigolosa, con la pulsazione canonica dell’automa Dinger che stavolta prende più velocità ma resta sepolta sotto una patina che le dona un’eco abissale, prima di sprofondare impietosamente chilometri sotto terra. Un sogno che pende in maniera decisa verso l’incubo, a tal punto che Gedenkminute non è che il corredo funebre della traccia precedente: solo il soffio del vento e sinistri, lontanissimi rintocchi di campana a dominare i due minuti più cupi dell’intera produzione Neu!, solo un manto di tenebre, come se in quel momento, qualcosa fosse andato storto. Ma il motorik è ancora vivo e non tarda a riemergere dalle nebbie, sotto la guida del Lila Engel che declama una litania ubriaca; è un angelo terreno questo, che non possiede ali e non ci conduce verso traguardi celesti bensì a celebrare il trionfo della tecnologia e della macchina, in una marcia tribale che, quando i polsi di Klaus Dinger lo decidono, assume i brutali contorni di un oscuro rituale pagano. Si chiude quindi in dissolvenza la prima facciata del disco, concedendo brevi istanti di quiete dopo la tempesta di fragori, e prima di sconvolgere ancora, definitivamente.
L’assetto del secondo lato di Neu! 2 è confezionato appositamente per confondere le idee e far sparire le tracce. Due registrazioni ‘ancestrali’ e cinque derivate, sparse in maniera del tutto casuale tra le righe, compongono questo sonoro schiaffo ai principi costitutivi della produzione discografica, in una realtà non ancora matura all’alba dei ’70 per affrontare un simile compendio di acuta mistificazione. Un’avveniristica attitudine ready-made con materia prima fatta in casa, ovvero i soli stralci di registrazione già pronti per occupare il lato B: l’onirica Neuschnee, perfettamente in tono con le sonorità del primo lavoro, morbida e meccanica al contempo come solo i Neu! sanno fare; la velenosa Super, lucida sintesi di proto-punk marziale e dirompente, stralunata danza moderna dal passo irresistibile. Il resto lo fanno i detriti dell’astuta opera di remix: le due tracce diventano carne da sminuzzare e masticare nelle bocche affamate dei loro stessi compositori, e i risultati di questo processo famelico sono tanto distanti e denaturati dai precursori che sembrano vivere di vita propria, acquistare ciascuno un’identità intima del tutto peculiare. Così la sghemba Hallo Excentrico! arriva a perdere ogni forma di contatto con il tema di ‘Neuschnee’, che viene rallentato fino alla morte, si contorce e traballa come una radio alla quale si stanno scaricando inesorabilmente le batterie, mentre Neuschnee 78 diventa una versione monstre della stessa, troppo, troppo veloce per non destare alcun sospetto sull’intervento di artifici diabolici. Ancor più indecifrabile è Cassetto, massa informe e roboante di suono che si crogiola per quasi due minuti nella sua mancanza di grazia e coerenza, si inceppa senza preavviso, poi riparte sullo stesso tracciato dalle flebili coordinate come un rullo compressore impazzito. Super 78, che accelera l’omonimo tema a migliaia di giri al minuto, è puro divertimento: i chiassosi schianti che Dinger produce nel suo drumming ipnotico si moltiplicano fino a divenire una pioggia di battiti a cadenza supersonica, impossibili da riprodurre per le facoltà umane, e quelle che nella traccia madre sono minacciose grida di battaglia si trasformano in fischi di pipistrello che finiscono per creare un’atmosfera vagamente demenziale. Ma l’Oscar per lo stravolgimento di sé stessi i Neu! lo vincono con Super 16, l’episodio più morboso e conturbante della saga, un’epopea di tensione repressa e nervi a fior di pelle di sconcertante intensità, dotata di un fascino thrilling assolutamente magnetico (se n’è accorto in tempi più recenti persino il regista Quentin Tarantino, che ne ha inserito un frammento – poco più che un cameo – in uno dei momenti chiave del suo truculento cult Kill Bill Vol. 1). Immenso è il potere immaginifico di questo stralcio pericolante di non-musica, merito dell’ennesima intuizione targata Rother-Dinger: una menzogna costruita ad hoc da due abili tricksters, capaci di trasformare qualcosa di simile ad una melodia nella marcia implacabile di un cingolato privo di freni, soprasseduta da lamenti spettrali, inquietante, violenta. Forse l’esempio più fulgido dello sconfinato genio del combo tedesco, mirabile capolavoro di destrutturazione, prova di coraggio superata la quale diventa uno scherzo addentrarsi nello sconfinato ed eclettico universo Neu!.

Tutto questo è il racconto della fatica più grande affrontata da Michael Rother e Klaus Dinger in carriera, non solo per quel che riguarda la tutto sommato breve esperienza insieme come Neu!, bensì nell’intera carriera di ciascuno dei due come artista. Un progetto che fu vicinissimo ad un prematuro aborto – e sarebbe stata una perdita colossale per chiunque ami la musica – le cui sorti furono risollevate dalla voglia di stupire ad ogni prezzo da parte di due menti straordinariamente creative, come ce ne vorrebbero in ogni epoca. Nell’opinione dei più, nonostante i meriti universalmente riconosciuti all’opera in questione, l’esordio sarebbe rimasto l’insuperabile capolavoro della band; in quella di chi oggi vi scrive, con un brivido che si insinua tra le dita a pensare che questa è storia di trentasette primavere fa, Neu! 2 supera il predecessore, tanto in termini di audacia della proposta quanto per ciò che concerne gli stupefacenti risultati ottenuti una volta in più dai due professori del krautrock.
Il disco ottenne all’epoca, com’era prevedibile, un riscontro commerciale quasi nullo, fattore che avrebbe concorso tra gli altri alla prima, breve separazione della coppia che ne seguì. I Neu! sarebbero tornati in studio insieme solo due anni dopo, con l’intento di farlo per l’ultima volta. Ma il completamento della loro leggendaria trilogia, è materia del prossimo, conclusivo capitolo.

 

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NEU! – NEU! 75

Francesco Tognozzi – La trilogia NEU! di Michael Rother e Klaus Dinger

Il terzo capitolo della saga Neu! giunge dopo un bienno travagliato per i due membri esclusivi dell’ormai collaudato progetto, due anni di sostanziale allontanamento, ricchi per ciascuno di esperienze collaterali e stimoli estranei alla causa intrapresa in combutta. Rother ha infatti nel frattempo aperto i lavori del convegno Harmonia, affiancato da due eminenze del movimento kraut celate sotto l’arcano monicker Cluster – all’anagrafe Hans-Joachim Roedelius e Dieter Moebius – sancendo così un sodalizio destinato ad estendersi qualche anno più tardi al ben più noto Brian Eno e a perdurare sostanzialmente fino ai giorni nostri; Dinger si è invece dato da fare in proprio, con la sempre crescente complicità del fratello minore Thomas, per dare libero sfogo alle ruggenti inclinazioni proto-punk che lo mettono definitivamente in antitesi con le le velleità dream-ambient del suo stretto collaboratore. Una messa al bando reciproca quella che si viene a configurare e che si tramuta, nuovamente sotto le direttive dello scaltro Konrad Plank, in una scelta alquanto insolita.
Viste le premesse non c’è infatti da stupirsi se quello che prende forma durante le registrazioni del dicembre 1974 – già annunciato come ultima produzione della band – si rivela un disco dai due volti, e meno metaforicamente di quanto si possa pensare: Neu! ’75 (abbandonata la numerazione sequenziale, passa in rilievo la data di release) è a tutti gli effetti il risultato dell’ormai insanabile divergenza tra i due numi tutelari del krautrock, i quali intelligentemente e con un’enorme dose di rispetto reciproco, agiscono da autentici separati in casa e decidono di spartirsi quasi totalmente i compiti per questo episodio conclusivo della triade. Sfondo nero per la copertina del terzo full-length, che esala un mesto alito di epitaffio, ma in primo piano sempre i caratteri suprematici che delineano la scritta NEU!, con la solita, identica e inconfondibile grafia. E’ come avvicinarsi a qualcosa di apparentemente ben conosciuto, ma col timore di quello che potrebbe nascondersi dietro il buio: non mostri né delusioni è la risposta, ma semplicemente la più degna conclusione del cammino di una band che ha sempre marciato con almeno due piedi nel futuro.

Molte idee nelle iperproduttive menti dei titolari del combo, pochissime da condividere: persi i punti di contatto che fanno da presupposto alla prosecuzione del progetto dietro un intento comune, l’unica soluzione, si dicono Rother e Dinger, è quella di stipare all’interno di un singolo platter le peculiari tendenze sposate da ciascuno dei due. Così, da quella che in prima analisi potrebbe apparire un’imprudente forzatura, nasce il terzo di tre capolavori firmati Neu!, non necessariamente il migliore in assoluto ma sicuramente il più immediato, spontaneo, destinato finalmente a varcare la soglia del gusto comune per segnare il trait d’union impeccabile fra le estreme tentazioni avanguardistiche del duo e la tanto agognata alchimia pop capace di scardinare i pregiudizi delle orecchie più impazienti. Il lato A viene affidato alla vena onirica del compassato Michael Rother, che da talentuoso chitarrista si è raffinato negli anni a virtuoso del polistrumentismo; sul B-side imperversa il genio di Klaus Dinger (coadiuvato dall’eccellente sforzo delle due reclute alle percussioni, il fratello minore Thomas e Hans Lampe), il quale dispensa graffi e ruggiti come un grosso felino intento a dimenarsi nella sua gabbia dorata, nel tentativo di aprirsi una strada verso quella che, di lì a un paio di stagioni, sarà la violenta deflagrazione del fenomeno punk.
Un’opera perfettamente coerente con il passato, nonostante l’incoerenza insita nel suo carattere dicotomico – e la sua forza è proprio il carattere di irrimediabile frattura: abituati al motorik in una cuffia e paradisi eterei nell’altra, ci ritroviamo davanti alla riduzione ai minimi termini del Neu! sound complessivo, al definitivo sdoppiamento della più mitologica delle creature musicali. Ed è bellissimo poter godere di tutto questo nell’evolversi di sole sei, immortali canzoni (sì, forse è giunto il momento di chiamarle così), senza l’urgenza di dover scegliere da che parte stare.

La prima parte, come già detto, è frutto della poetica di Rother e superati i primi, immancabili rintocchi di motorik, non è difficile riconoscerlo dietro le sottili linee melodiche di Isi. Sono i tasti del pianoforte a colorare il dipinto, con la sempre discreta collaborazione di un synth che emette scariche leggere e vibranti; le corde della chitarra vengono invece solo pizzicate per coniugare l’instancabile lavoro di Dinger sui piatti. Tutto si risolve con un fluido continuum di carezze psichedeliche e pulsazioni monotone, alla maniera che solo i Neu! conoscono: un incipit che finisce così per interpretare magistralmente il ruolo di filo conduttore con il passato, senza però scadere mai nel pericoloso tranello della ripetizione. Come in possesso di poteri ancestrali, la band tiene ancora testa al proprio nome pur non palesando alcuna clamorosa evoluzione, dimostrando una volta in più che la sua grandezza non risiede tanto nella capacità di inventare e sconvolgere, quanto in quella di donare sempre al suond l’inimitabile, prezioso imprinting che fa di ogni pezzo una sbalorditiva esperienza oltre i cancelli del tangibile. Per lo stesso criterio, Seeland non corre nemmeno il rischio di scendere a patti con la sua naturale premessa ‘Weißensee‘, contenuta nell’lp d’esordio, perché carica di un’inebriante freschezza tale da far cadere in partenza ogni tentativo di semplicistica associazione. Ciò che ricorre incessantemente invece – e non ce ne lamentiamo mai – è la potenza immaginifica di questa musica, capace di trascinare cuori e anime con sé in una dimensione senza tempo, fuori dalla comune percezione. Echi, sordi rintocchi e liquidi accordi di chitarra diventano così un flusso sterminato di sensazioni, che culmina paradossalmente in dissolvenza, sulla chiusura della traccia, perché è il silenzio ciò che in questo viaggio più affascina e coinvolge, con la timida attesa di ciò che verrà subito dopo di esso. E stavolta a destarci è il malinconico fruscio di onde che si infrangono sulla riva, quindi sparute, dolcissime note di piano: la prima parte del tragitto si conclude ancora sull’acqua, dunque, e su queste sponde si compie il saluto di Michael Rother, toccante, da brividi, tanto intenso ed estremo da chiamarsi Leb Wohl – Addio. Lacrime, che presto saranno spazzate via.
Capovolgere il disco significa voltare drasticamente pagina, per esplorare il lato Dinger di quest’enigmatica opera dalle due facce. Non occorrono che pochi secondi per accorgersi di essere stati catapultati in un batter d’ali all’altro capo dell’universo: l’apporto assai più energico della chitarra e l’inserto in climax ascendente del motorik indicano chiaramente che Hero ha le braccia protese verso il ’77, i fari puntati su quei Sex Pistols che appena due anni più tardi saranno i riottosi portabandiera dell’ondata punk, il nuovo corso. Per la prima volta compare addirittura un testo, frammentario e monocorde, intrigante invito in codice ad avvicinare la visione dingeriana dei massimi sistemi; la preveggenza di queste parole ha dell’inquietante: ‘And you’re just another hero riding through the night / Riding through the city, trying to lose your mind / Honey went to Norway, fuck the press / Fuck your business, fuck the press / Fuck the bourgeoisie, fuck the bourgeoisie / Your only trial is money‘, così come l’apatico, deumanizzato lamento che le recita – una lezione servita su un piatto d’argento a quel folletto allucinato di John Lydon. La generazione successiva è già al varco, pronta a suggere la propria identità da questi slogan di rivolta e a nutrirsi della dolce carcassa del krautrock. E-Musik, strumentale, presenta una trama metallica e scarnificata degna di un crocevia ideale – cronologicamente (e filogeneticamente) ci può stare – tra Autobahn e Trans-Europe Express dei fratellastri Kraftwerk. Dinger jr. sembra suonare una marimba elettrificata dentro un cunicolo e un’eco glaciale rimbalza tra le pareti della stanza generando un clima di claustrofobia e alienazione – Martin Hannett, tanto per dirne uno, farà incetta di questi scenari suggestivi prima di sedersi in cabina di regia alle prove di Unknown Pleasures – mentre il synth e teporosi, rotondi inserimenti della sei corde, provvedono a gettare schizzi di colore sulla tela nell’eterna e indispensabile contrapposizione di casa Neu!. Quindi, frantumatosi lo scheletro portante, non rimangono che una flebile melodia e il soffio del vento a intessere una chiusura kosmische, terreno perfetto perché After Eight possa stagliarsi con l’ultimo, prepotente assalto di motorik: seguendo la scia di ‘Hero’, il pezzo finale ci regala ancora un gustoso assaggio di sordido vandalismo proto-punk, aggressivo e marziale quanto basta, un surreale banchetto di androidi che Dinger intrattiene con il suo canto piatto e atonale, ripetendo ossessivamente ‘Help me through the night / Help me see the sun, help me to get up‘. Un ultimo sussulto prima che la nera voragine ingoi l’epigrafe NEU! sulla front cover e stavolta per sempre, o quasi.

Rother e Dinger torneranno in realtà ancora una volta in studio insieme, dieci anni dopo, per registrare Neu! 4 (ma guarda un po’); la prescindibile rimpatriata nulla aggiungerà però ai fasti dell’unica, vera stagione kraut. L’omonimo del ’75 rappresenta nella maniera più adeguata il termine di un percorso artistico collettivo, non solo per ciò che riguarda i due pionieri di Düsseldorf ma per l’intera corrente avanguardista che dominò la scena mitteleuropea nella prima metà dei Settanta – di essa, i nostri incarnarono forse lo spirito più autentico, in perenne bilico tra la fredda celebrazione della tecnologia e della macchina, e un carattere giocoso, ironico e velato di un’insospetta patina di Romanticismo.
Si preferisce quindi ridurne idealmente la discografia a una trilogia, superba, indefinibile, mitologica, nella quale ognuno è libero di scegliere il Neu! prediletto senza dover temere brutte figure: tre diamanti di strabiliante pregio, incastonati nella storia della musica e destinati a brillarvi per l’eternità. Imperdibili per qualunque collezionista di emozioni.


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