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Franco Mosco uomo tutto rinascimentale

Creato il 12 febbraio 2013 da Cultura Salentina

Franco Mosco uomo tutto rinascimentale

12 febbraio 2013 di Augusto Benemeglio

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Storia e tradizioni “L’uomo e il mare”
SOCIETA’ DI  STORIA PATRIA PER LA PUGLIA
G. F. MOSCO, “Attività edilizie nel Regno etc.”

Caro Franco,

è davvero impressionante la mole di lavoro che stai svolgendo con questo tuo libro, che spazia da Francesco di Giorgio Martini ai diversi caratteri e influenze che accomunano in qualche modo la Catalogna e il Ducato di Toscana, il Ducato di Milano e il Salento, la città ideale di Lauraniana memoria (Sabbioneta) e Gallipoli, le Corporazioni fiorentine e quelle salentine.

E’ come voler andare sulle tracce dell’uomo, della polvere e dell’ombra, e tutto ciò che a uno come me sembra sfuggente, impalpabile, maceria, mureria, edera, ficus selvatico sospeso nel nulla, dubbioso, incerto; si può scorgere solo a brani e a lacerti il bene, la bellezza eterna, la luce, la poesia, ma c’è anche il malefatto, la tenebra, il confuso, il profilo di opere sepolte dal tempo, dall’incuria, dal degrado. Ma tu hai voluto immergerti in queste macerie, dove si disorienta il cuore, si smarriscono il calcolo e il criterio, ci si perde nell’enigma, nei labirinti, nei gomitoli della storia.

E non parli solo di quel grande architetto ed eclettico artista senese che è Di Giorgio (fu eccellente anche come pittore e scultore), che in qualche modo ricapitola tutta la storia delle architetture militari rinascimentali, ma anche dei suoi assistenti, – spesso misconosciuti, o, a torto, trascurati – che risultarono decisivi nella fase di ricostruzione e potenziamento di “fortezze“ rinascimentali (vedi il Castello di Gallipoli e la sua cinta muraria), che si rivelavano ormai inadeguate al sempre crescente uso e alla potenza delle artiglierie dell’epoca.

Francamente, non posso che rimanere ammirato da tanto dispiegamento di sforzi, studi, ricerca, approfondimento, capacità descrittive, ampiezza culturale, anche perché, conoscendoti ormai da trent’anni, so che il tuo fine ultimo non è dettato solo dall’innata curiosità che muove ogni creatore-ricercatore (la curiosità è lievito di ogni impresa, ti tenta, ti seduce, ti fa cogliere il frutto proibito), e dal tuo profondo interesse per la ricerca umanistica, ma soprattutto dall’amore per la tua città, per la tua straordinaria immaginifica regione, il Salento dal glorioso barocco e dalla luminescenza da primo mattino del mondo. E’ questo, a mio avviso, che dà valore, documentale e, oserei dire, conferisce un “pathos” a questa operazione di divulgazione e recupero non destinata agli addetti ai lavori, ma a tutti coloro che vogliono conoscere le loro radici, la loro storia, per poter meglio amare. Sono cose a cui raramente assistiamo. Sono sfide che non ammettono paragoni né confronti. Scavare nel cuore di una città, ma anche nelle sue parti meno nobili, (sappiamo che i fiori più profumati spesso sono nel fango) è un’operazione coraggiosa e necessaria per trovare alla fine lo “scrigno”, la perla rara, il diamante che si credeva perduto per sempre. La leggenda dice che qui venne Idomeneo e vide quella luce straordinaria, la luce che forma le forme, la luce che taglia gli angoli e disegna la geometria delle città, la luce che abbaglia i paesi imbiancati di calce, la luce che accende i colori di una primavera senza fine. L’eroe chiese agli dei: “Con quale nome dunque chiamerò questa terra di luce?”; gli dei risposero: “Chiamala terra felice, perché questa luce è aperta agli altri, è una luce di incontri; non ci sono linee d’ombra, né introversioni con una luce così, perché qui c’è ariosità, pulizia, ci sono case del sole e degli dei …”. Per te è stato, metaforicamente, come ricuperare quella luce. Del resto dici tu stesso con felice proposizione: “il mio è un lavoro che vuole aiutare a scoprire, e valorizzare nello stesso tempo, quello che è mal conservato, nascosto negli angoli, visto finora come il retro di una medaglia e cioè quel Salento velato forse anche dal Barocco, e ciò in un periodo come il nostro in cui maggiore forza acquistano i continui studi sul Rinascimento, sulla vita dell’uomo e sulla sua affermazione … anche in questa nostra estrema penisola meridionale”.

E’ tutto da sottoscrivere e in definitiva, leggere questo tuo denso libro in cui ci hai messo tutta la tua passione di inseguitore di fantasmi, significa a, in qualche modo, ripercorrere quell’itinerario affascinante del “secolo d’oro” che ha portato l’Italia (in specie Firenze e la Toscana) in cima al mondo della cultura, dell’arte e della civiltà, è rifare la storia stessa dell’arte moderna e dell’architettura e del suo ingresso trionfale (a differenza del mondo classico dell’antichità, in cui era relegata tra le attività meccaniche) tra le più alte manifestazioni spirituali dell’uomo. E tu di questo ci parli, ripercorrendo la faticosa storia del castello di Gallipoli, a cui Ettore Vernole dedicò il suo libro-capolavoro e l’intera esistenza del Galateo (Antonio De Ferrarsi), fabbricanti di armonie, di Giorgio Vasari, con cui nasce la critica d’arte, di Antonio Marchesi detto il Fiorentino, di Giuliano e Antonio da Sangallo e di Vespasiano Genuino , l’uomo e l’artista legato a filo doppio alla croce e al dramma della passione .

Che dirti di più, amico mio? Che lo stile è l’uomo, come disse qualcuno. E questa tua opera ti descrive qual sei, preciso, onesto, rigoroso, con un aplomb che sa quasi di britannico, ma con quel sorriso sornione, ironico, humorsque che – ricordo – ti sfuggiva di tanto in tanto , quando facevamo quelle magnifiche cose teatrali insieme , tu scenografo impareggiabile del “Gabbiano“ di Cechov, o della nostre “Banchina Lido” e “Aspettando don Tonino”, e – dentro di te – nelle tue profondità, ogni tanto prorompeva quel congegno a orologeria esplosivo, che è tutto fuoco e granaio di passione, quel rosso e giallo salentino che , perdonami la battutaccia , è tutto “ Genuino”.

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