Magazine Diario personale
Mi ritrovo catapultato in una stazione ferroviaria, senza avere la più pallida idea di quali siano i punti estremi del tragitto ma con un biglietto in mano e la consapevolezza di trovarmi al primo binario e di dover raggiungere un treno che partirà da qui a poco dal binario numero trentasei.
Trascino il trolley a velocità siderali, le ruotine di plastica incespicano, scivolano, sembro un autotreno posseduto dal demonio mentre percorro in controsterzo dei corridoi che man mano smettono di somigliare a quelli di una stazione e iniziano ad avere l'aspetto di quelli di un supermercato, scansando con manovre agili frotte di gente distratta che osserva gli scaffali.
E imprecandogli contro.
Chiedo lumi a una guardia giurata sul come arrivare al binarionumerotrentasei e il nerboruto figuro blu vestito mi indica un'uscita di sicurezza garantendomi che uscendo dalla stazione avrei percorso una scorciatoia che mi avrebbe fatto risparmiare un'infinità di tempo e grazie alla quale sarei riuscito a salire sul treno in tempo.
Sbuco dalla doppia porta metallica in un dedalo di chalet in legno carbonizzati ma strutturalmente integri, costruiti con dei lunghissimi mezzi tronchi con la parte arrotondata rivolta verso l'esterno, circondati da una stradina fangosa non più larga di mezzo metro che gli scorre intorno come fosse malta intorno a dei mattoni.
Maledico la guardia giurata e corro trascinando il trolley sempre più faticosamente. Le rotelle affondano nel fango e ormai sto scavando un lungo solco dietro di me con il corpo della valigia, mentre giro curve di novanta gradi intorno alle costruzioni di legno annerite e butterate dal fuoco finchè, arrivato all'ennesimo incrocio a T, scivolo sul fango nero.
Mentre cerco di rimettermi in piedi scorgo una figura di donna, completamente nuda e sporca di fango, i capelli lisci e sporchi, lunghi fino al bacino, che corre verso di me venendo dal vicolo alla mia destra con un'andatura meccanica e veloce come un centometrista afroamericano, il busto rigido, le ginocchia alte, le braccia che fendono l'aria e un'accetta in mano.
La vedo avvicinarsi mentre cerco di rimettermi in piedi, ormai è a una decina di metri da me.
Cinque metri.
Due metri.
Un colpo d'accetta mi colpisce in pieno volto.
Urlo.
Mi sveglio.
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