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Frida & Diego – Palazzo Ducale 2014 Genova

Creato il 30 ottobre 2014 da Wsf

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Ti chiamerai AUXO-CROMO – colui che attira il colore. Io, CROMOFORO – colei che dà il colore.

Tu sei tutte le combinazioni dei numeri. la vita. Il mio desiderio è capire la linea la forma l’ombra il movimento. Tu riempi e io ricevo.”

F. Kahlo

Genova accoglie per la prima volta le opere di Diego Rivera e Frida Kahlo, nella splendida cornice di Palazzo Ducale.

I due artisti messicani ritornano nuovamente a confrontarsi e scontrarsi in una serie di rappresentazioni pittoriche e fotografiche che ammalia e colpisce per la quantità di schizzi e fotografie d’epoca presenti.

Una rivisitazione quella scelta dagli organizzatori atta a mostrare nelle 12 sale d’esposizione, non solo la carriera artistica che li ha contraddistinti, ma anche i retroscena intimi e familiari della loro vita privata.

La mostra si apre sui diari personali di Diego Rivera uniti ad una serie di disegni abbozzati durante il suo viaggio in Italia. Una fase di formazione lunghissima quella di Diego Rivera che passerà quattordici anni in Europa, carpendo tutto ciò che il vecchio continente aveva da offrirgli, sotto un profilo umano ed artistico.

Ciò che il visitatore cerca, muovendosi tra i saloni, sono le opere di Frida, che si svelano solamente dalla terza sala.

Il primo dipinto deflagra in tutta la sua naturale crudezza stilistica ed umana, mostrando immediatamente come l’artista riesca perfettamente ad assimilarsi ai colori caldi e freddi, della sua terra. Un’ artista Frida, che abbraccia la corrente dello stridentismo piegandola alla rappresentazione simbolica della sua realtà.

Una dualità umana ed artistica vissuta con la dignità rivoluzionaria che contraddistingueva ogni aspetto del suo vivere. Pertanto l’autoritratto non é più un semplice motivo di autocelebrazione quanto più per sua stessa ammissione uno spazio astratto dove poter ricreare se stessi: dipingo autoritratti perché sono spesso sola, perché sono la persona che conosco meglio”.

I formati 30X37 tipici delle sue opere sono piccoli ed intimi come piccolo ed intimo è il suo corpo rotto. Una rappresentazione duale che si divide tra simbolismo e quotidianità.

In ogni quadro ciò che attira immediatamente l’attenzione di chi guarda, sono gli occhi che Frida dipinge. Espressivi estremizzati per certi versi, ma mai spenti. Linee che ti guardano e con sfida ti sorridono passando oltre.

Menzione a parte va alla bozza che la ritrae sdraiata sul selciato subito dopo l’incidente rinchiudendo la sua maternità dentro ad uno scafandro di gesso.

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Rivera é l’opposto artistico di Frida, sia per i formati su cui lavora che per quantità di produzione. Diego accoglie lo spirito libertario suprematista rielaborando con una forma che si avvicina al cubismo le forme assolute della sua terra natale. Tutta la sua produzione artistica sarà strettamente correlata ai colori della sua terra riportando il mondo oggettivo al di là dello spazio sensoriale.

L’avvicinamento alla cultura marxista lo avvicina alla pittura murale che secondo Orozco è la forma più alta, logica, pura e forte di pittura, è anche la più disinteressata, perché non può essere convertita in oggetto di lucro personale né nascosta a beneficio di alcuni privilegiati. Essa è per il popolo, è per tutti.”

Quella di Diego Rivera è un’ arte magnifica immensa che copre metri e metri di pareti in cui é possibile scorgere l’amore verso le proprie radici, basti ripensare all’opera “la venditrice di calle” mostrando allo stesso tempo le tradizioni e i fermenti rivoluzionari del periodo.

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La parte conclusiva dell’evento si apre su una serie di fotografie, che riprendono i due personaggi da diverse angolazioni. Ciò che si percepisce é il legame informe che lega Diego e Frida. Un rapporto passionale, ma allo stesso desideroso di ricezione.

Quello dunque che resta alla fine del viaggio é la visione dipinta di due anime agli antipodi, perennemente legate da un sentimento che trascende le parole e diventa arte.

La Frida donna, ancor prima che artista si racchiude nella poesia di Verlaine “ho quasi paura”, di rimanere forse, di tornare, mai.

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Ho quasi paura, in verità,

tanto sento la mia vita allacciata

al pensiero radioso

che l’anima mi ha preso l’altra estate,

tanto la tua sempre cara immagine

abita in questo cuore tutto tuo,

questo mio cuore soltanto bramoso

di amarti e di piacerti!

Io tremo – e tu perdona

la mia estrema franchezza -

se penso che un sorriso, una parola

da parte tua son legge ormai per me,

e che ti basterebbe un solo gesto,

una parola, un battito di palpebre,

per chiudere il mio essere nel lutto

della sua celeste illusione.”

P. Verlaine

Christian Humouda


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