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Fruttero & Lucentini, il professor Marziano e una lezione su come dialogare con i propri lettori

Creato il 27 giugno 2013 da Leliosimi @leliosimi

e45b4fced66e11e2a0fd22000aa8039a_7Quando l’editore di Urania propose a Fruttero & Lucentini di istituire la più classica delle rubriche “la posta dei lettori”, anche nelle storica rivista di fantascienza che loro curavo, ai due l’idea non andò molto a genio.

Probabilmente per sterzare le pressioni dell’editore e accontentarlo in qualche maniera i pensarono a qualcosa di apparentemente simile, ma in realtà molto diverso: “inventammo allora una ‘rubrica scolastica’ proponendo esercizi di scrittura in prosa, in versi nonché di traduzione” racconterà Fruttero molti anni dopo.

L’idea che per molti versi poteva sembrare appunto “scolastica” e didascalica in mano ai due diviene un piccolo capolavoro sul come parlare ai propri lettori e sapersi relazionare con la comunità di riferimento in modo proficuo e maturo.

Parte di quelle lezioni sono raccolte – assieme a molto altro materiale – in quello  splendido libro che è I ferri del mestiere (edito da Einaudi e ristampato a febbraio 2013). In particolare quelle sulla traduzione dove il “compito” assegnato è semplicemente una frase tratta da un racconto dello scrittore Theodore Stugeon: Lucentini alias “professor Marziano” gioca, si diverte ma non si risparmia (ha parole per molti dei 128 lavori arrivati in redazione).

E soprattutto fa una precisa scelta di campo: avrebbe potuto molto più comodamente – e  sicuramente con molto meno dispendio di energie – elargire come molti altri al suo posto solo qualche spicciolo di sapienza, parlare di massimi sistemi o cucirsi addosso il ruolo di Grande Dispensatore di Verità Assolute. E invece:

«Direi che questo della correzione minuziosa e ragionata di molte traduzioni d’un singolo testo è l’unico sistema per avviare realmente qualcuno al mestiere di traduttore (mentre, direi anche, i grandi concetti, i grandi pensamenti […] servono solo ad accrescere la già fittissima schiera dei presuntuosi, dei confusionari, degli incapaci)».

Lucentini vuole insomma dare concretamente degli strumenti. Far comprendere al lettore cosa realmente voglia dire lavorare su un testo in modo professionale. Facendo capire che non esistono particolari trascurabili (a un certo punto fa notare che anche i puntini di sospensione vanno “tradotti”) perché il testo che traduciamo poi passerà in mano a impaginatori, grafici e altre figure professionali che hanno bisogno di rispetto e quindi di precisione e coerenza.

Sono delle pagine meravigliose,  una volta incontrate e assimilate cambieranno per sempre a noi lettori il modo di  giudicare un testo tradotto. Ci sono delle perle che possono essere applicate non solo alla difficile professione della traduzione ma, estendendone il concetto, alla scrittura in generale. Un esempio? Ecco la prima regola dettata da Lucentini:

«Per tradurre un qualsiasi testo, applicate pure qualsiasi criterio vi piaccia. Non è affatto vero che certi testi debbano essere necessariamente tradotti in un modo, e certi altri in un altro. Non esiste, in questo campo, alcuna regola a priori. Ma ne esiste una, ferrea, a posteriori: quale che sia il criterio scelto, esso va applicato fino alla fine. Se, a un certo punto, non vi riesce più di applicarlo, vuol dire che – adatto o no al testo – il criterio in questione era inadatto per voi».

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Ma al di là di questo c’è un aspetto che qui voglio sottolineare. A un cero punto, circa a metà della lezione, Lucentini fa una precisazione: questa volta non sul come tradurre bene un testo, ma su come una redazione dovrebbe pensare e impostare il proprio lavoro in relazione alla comunità dei lettori alla quale si rivolge. Ecco leggiamo:

«Il solo guaio è, m’avverte il signor Preside, che queste mie prediche, venendo da questo pulpito, potranno anche costituire nelle mani dei lettori una terribile arma contro di noi, cioè contro le traduzioni pubblicate da Urania: dove ai caffè può accadere di essere sorbiti, e alla gente di recarsi, ma il signor Preside, dopo qualche notte insonne, ha finito per darmi via libera proprio perché preferisce che queste critiche tutti i lettori siano in grado di farle da sé, e (a differenza di tanti paludati recensori) di farle bene: nella convinzione che il notevolissimo sforzo già fatto da Urania per migliorare il livello generale delle traduzioni risulterà tanto più chiaro quanto più il pubblico, nel suo insieme, s’abituerà non solo a riconoscere particolari errori o trascuratezze, ma anche a istituire… particolari confronti».

Il signor Preside è l’editore e “sorbire” e “recarsi” due termini che Lucentini nei suoi commenti raccomanda ai lettori di non utilizzare mai, perché fintamente forbiti e distanti dal linguaggio parlato. Ma quello che è da notare oggi è l’idea che quel salire in cattedra, seppur con immensa ironia (ma anche immensa professionalità e competenza), possa in qualche modo mettere in difficoltà la rivista perché nei testi pubblicati – nonostante le indicazioni precise dei propri curatori – “ai caffè può accadere di essere sorbiti, e alla gente di recarsi”.

Insomma se ai lettori metti in mano quella “terribile arma” che sono gli strumenti per capire la qualità di un lavoro (di traduzione, ma il principio vale per tutto: editing, scrittura), poi quegli stessi strumenti – i lettori – li useranno anche per giudicare il tuo lavoro. Il rischio è quindi di un effetto boomerang.

Ma Lucentini ribalta completamente il concetto: no, è proprio spendendosi per mettere in mano ai lettori quegli strumenti che la rivista svolge il proprio ruolo. E se ci esponiamo al dileggio dei “soliti criticoni” pazienza. Fa parte del gioco.

Ma è nel preoccuparsi di far crescere la consapevolezza di cosa sia il tuo lavoro, spendendosi al massimo nel condividere i ferri del tuo mestiere, nel prendere per mano i lettori con esempi concreti e suggerire l’importanza fondamentale di alcuni particolari e di alcune sfumature apprese in anni e anni di onorata professione sul campo – e aprendoti poi al dialogo con loro – che la rivista può migliorare.

Non è un punto di debolezza ma di forza. È il vero senso, l’obiettivo dell’interagire con i tuoi lettori. Perché interazione è anche preoccuparsi di dare loro strumenti concreti che li aiutino a valutare per conto proprio la qualità del tuo lavoro.

In questo blog ho parlato spesso di politiche di interazione, di “community engagement” legato all’editoria e all’informazione, mettendo in evidenza una caratteristica che lega i buoni esempi che ho descritto: l’interazione è una strada a due vie, sempre. E la prima motivazione per farla è l’essere convinti che questo dialogo che si instaura con i lettori ha, come primo effetto, quello di migliorare la qualità del proprio lavoro. Marketing e promozione dei propri “prodotti” sono elementi fondamentali ma vengono dopo e, se si è lavorato bene, di conseguenza.

una copertina di Urania degli anni '60

una copertina di Urania degli anni ’60

Per questo la “lezione” di community engagement di oltre cinquanta anni fa (non l’ho ancora scritto?, era il 1964) della premiata ditta Fruttero & Lucentini è a mio modo di vedere comunque da manuale. Sì lo so, è stata realizzata in un contesto molto particolare come la rivista Urania e molti scenari sono cambiati da allora (oggi più complessi, più complicati). Eppure sì ancora oggi ci segnala una strada importante da seguire.


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