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FUOCHI DI STELLE ARSE (Per i 150 anni dell’Italia)

Creato il 24 settembre 2011 da Viadellebelledonne

di Maria Grazia Cabras e Loretto Mattonai

Cinque ballate e un attittu

musicati da Michele Fiumalbi e Giacomo Guerrieri

Sono qui riportate solo tre poesie e l’attittu

Lettera dal carcere dello Spielberg

Scorgo radi uccelli passare
non vedo terra non vedo mare
qui la sedia che stanca
tra mura che serrano la vita
tra due catene attorte

e dalla finestra un filo di luce scampato a quel cielo che di
[continuo è di ronda
ma dal1a finestra che le nubi trafigge
io scorgo uccelli radi passare
da non so quale terra
verso non so quale mare
e mi basta quel volo
ora mi basta il loro volo
per non sentirmi solo
per non lasciarvi soli
il tavolo e del legno più scuro
nel petto mi rotola un ciottolo duro
I’ho riempito per essere pili forte
l’ho vuotato per liberare la sorte

qui il giorno entra di soppiatto poi fugge qui la notte nemmeno
[ci sogna
eppure chi ci ama e lì fuori ci attende
nel sole che sorge col sole insorgiamo
mentre vediamo stormi di uccelli passare
sollevando terre sollevando mari
sollevando terre sollevando mari

Uno di quelli

Fuochi di stelle dure
fiamme di arsi cieli
così un passo cade alla volta
sopra la terra insorta

e tu sei uno di quelli
che dai libri hanno imparato
guarda oltre lo sguardo
oltre i tuoi libri vai

non ci sia idea di cui un’ala non ti porti a volare
non ci sia pensiero senza un’ onda che conduca al mare
ogni attimo decide ogni attimo conclude
chissà chissà chi tra noi sceglierà
la sorte la ruota la parte principio d’identità

e tu sei uno di quelli
che hanno varcato
buio di porte
rese bianche le vele
scavato orizzonti
per giungere qua

e tu sei uno di quelli
che hanno voluto
essere qua

nessun latrato di cane voce di re
parli per te
chi hai lasciato?
chi incontrerai?
nello stesso luogo
diversi noi
ogni attimo decide se verrà mai il nostro poi

e tu sei uno di quelli
e tu sei uno di quelli
che dai libri hanno imparato
guarda oltre lo sguardo
oltre i tuoi libri vai

nessun latrato di cane voce di re
parli per te

Il ragazzo senza età
Ho nel sangue falci di luna affilate su pietre
e un vento che mi fruga come gratta la gola

ho nel sangue recinti di parole tosate
e un passato di giorni murati a secco

ho nel sangue le voci di chi nulla può dire
e i gesti di chi e costretto a servire

e vi ascolto, amici, di nulla ho bisogno
solo mi colpisce acuminato il vostro sogno

e vi ascolto, amici, con voi io verro
alla città delle città, fosse I ‘ultima cosa che
con questa sguardo vedrò

Carlo è il selvaggio, Luciano ancora il primo
Emilio è un ragazzino, io sono senza età
e nel sangue un albore ribelle
e nel sangue il domani che libera

potrei dir di semi potrei dar teoremi
saprei conquistare saprei ritornare
con lettere addosso di chi mi vuol bene
con ferite incontrate sulla frontiera

perche vi ascolto, amici, di nulla ho bisogno
solo mi colpisce acuminato il nostro sogno

e vi ascolto, amici, per voi cantero
la città delle città, fosse l’ultima cosa che
a questa voce darò, a questa voce darò

Attittu
Ahi fizu adorau
non b’est prus chelu
fizu istimau
cantu dol ore
curruttu e dolore m’as dau
ube t’at fertu
sa morte cattedda niedda
non b’est prus luche nen focu
fizu, fizu meu chene sorte
supra sa mesa
su pane est ghelau
deo so asseada
fizu, fizu solianu
sidiu tottube e trumentu
pastura rànchia
fizu suttaterra
fizu meu abradu
e deo zecca
mama de tottus sas penas
ube sas fascas craras
sas dies pérdias
su barzolu sa gherra?
mariposas serrant su baule
cravos nigheddos mi bàdiant

Attittu

Ahi figlio adorato //non c’ più cielo / figlio stimato / quanto dolore / lutto e dolore mi hai dato /
dove ti ha colpito / la morte cagna nera / non c’e più fuoco né luce /figlio, figlio mio senza sorte
sopra la tavola / il pane è raffermo / io sono diventata rancida / figlio, figlio solatio / sete ovunque e/tormento / pascola amaro / figlio sottoterra / raggelato figlio / e io cieca / madre di tutte le pene / dove le bianche fasce / i lontani giorni / la culla la guerra? / farfalle serrano la bara / chiodi neri mi fissano (traduzione di M.G.Cabras)

Attittu in sardo nuorese è il lamento funebre. L’origine etimologica di questa parola è controversa. Ho accolto la derivazione attittu da titta ( seno) : la madre che avvicina il bimbo al seno per allattarlo cantando la ninna nanna; lo stesso gesto , per analogia, della madre che stringe al petto il figlio morto ( in questo caso , caduto in battaglia) e canta una nenia fu



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