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Fuori l’Iran, dentro l’Arabia Saudita: la scelta geopolitica dell’Egitto di Morsi.

Creato il 01 settembre 2012 da Basil7

di Beniamino Franceschini

da FANPAGE, I settembre 2012

Nei giorni scorsi, si sono alternate opinioni contrastanti circa l’eventualità che la visita di Morsi a Teheran conducesse all’avvicinamento tra Egitto e Iran. Tuttavia, il Presidente egiziano ha condannato pubblicamente il governo siriano, assumendo una posizione precisa nel sistema regionale.

Giovedì 30 agosto, a Teheran, è cominciato il vertice del Movimento dei Paesi non-allineati, al quale partecipano 120 Stati e molte personalità di primo piano, come il siriano al-Halqi, l’afghano Karzai, l’iracheno al-Maliki, il pakistano Ali Zardari, l’indiano Singh, il sudanese al-Bashir, e lo zimbabwano Mugabe. Tuttavia, gran parte dell’attenzione è riservata a Mohamed Morsi, nuovo presidente dell’Egitto. Era dal 1979 che un Capo di Stato egiziano non visitava l’Iran, ossia da quando Sadat firmò il trattato di pace con Israele. Al momento della conferma della presenza di Morsi a Teheran, “Fars News”, l’agenzia stampa legata alle Guardie della Rivoluzione, ha evidenziato l’evento, indicando come questo sia emblematico da un lato della rottura dei rapporti tra Il Cairo, Washington e Tel Aviv, dall’altro della scelta di un nuovo asse di alleanze. Nel mondo occidentale, in particolar modo negli Stati Uniti, in molti temevano – talvolta eccessivamente – questo esito, delineando scenari di interruzione dell’accerchiamento arabo-sunnita nei confronti dell’Iran. Eppure, da quanto emerso sino a ora, ciò non è avvenuto. Né esisteva davvero l’eventualità che qualcosa del genere potesse accadere.

Morsi, infatti, ha aperto la conferenza dei Pesi non-allineati prendendo una dura posizione contro il presidente Assad:

«La rivoluzione in Egitto del 25 gennaio (2011, n.d.a.) è stata fondamentale per la Primavera araba. Fu preceduta di pochi giorni da quella in Tunisia, e seguita da quelle in Libia, Yemen e, adesso, in Siria, contro un regime oppressivo. […] I palestinesi e i siriani stanno lottando con mirabile valore per libertà, giustizia e dignità umana. […] La nostra solidarietà con i figli dell’amata Siria, che combattono contro un regime oppressivo ormai privo di legittimità, è allo stesso tempo un dovere morale e una necessità strategica che deriva dalla certezza che in un prossimo futuro il Paese sarà libero. Noi dobbiamo offrire tutto il nostro appoggio alla tensione per la libertà e la giustizia in Siria, sostituendo la benevolenza con una chiara visione politica a sostegno della transizione pacifica verso un governo democratico, che soddisfi il desiderio di libertà, giustizia ed eguaglianza del popolo siriano, ma che allo stesso tempo lo protegga dal rischio della guerra civile o dall’abisso della divisione».

Per risposta, la delegazione siriana ha abbandonato la sala, accusando quindi il Presidente egiziano di «istigare allo spargimento di sangue». Come già citato, nei giorni precedenti il summit, in Iran si discuteva dei tentativi statunitensi per impedire la presenza egiziana a Teheran. Si elogiava la partecipazione di Morsi al vertice dei Paesi non-allineati quale simbolo del rifiuto delle politiche occidentali da parte del mondo islamico. Tuttavia, difficilmente una posizione così netta contro Assad, storico alleato dell’Iran, potrà giovare alla causa di un saldo avvicinamento tra Il Cairo e Teheran. Riguardo alla questione nucleare, Morsi ha così parlato:

«Nonostante il ruolo dei Paesi non-allineati […] nella revisione dei trattati di non-proliferazione delle armi nucleari […] per liberare la regione, l’intera regione, dalle armi atomiche e di distruzione di massa, […] dobbiamo ancora fronteggiare grandi sfide. […] Tutti gli Stati del Medio Oriente hanno sottoscritto il trattato, eccetto Israele. Allo stesso modo, dobbiamo mantenere la nostra ferma posizione, che è anche quella dell’Egitto nei confronti di voi tutti, circa il diritto all’uso pacifico dell’energia nucleare, a costo, però, di rispettare interamente gli impegni internazionali imposti dal trattato di non-proliferazione».

Al di là dei pronunciamenti della stampa iraniana, non era pensabile che il Cairo potesse dichiararsi a sostegno di Ahmadinejad: la condanna del governo di Damasco da parte di Morsi è un chiaro messaggio di campo che, tuttavia, si basa su un calcolo preciso. È noto, infatti, che sia la cosiddetta Primavera araba, sia la guerra in Siria sono da inserirsi all’interno di un contesto ben più ampio di riposizionamento degli equilibri geopolitici mondiali. Tralasciando molti degli aspetti peculiari, è importante tenere presente che lo scontro principale nella regione è evidentemente tra sunniti e sciiti, conflitto che, in termini di attori statali, si realizza nella contrapposizione dell’Arabia Saudita e del Qatar all’Iran. La stessa Siria è in primo luogo un campo di battaglia tra queste due macro-ripartizioni della galassia islamica, mentre le altre potenze – Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia e Cina – hanno una posizione lungo la frattura su indicata in base ai propri interessi. Lo stesso Bahrein, che subisce da più di un anno e mezzo la dura repressione per opera delle truppe del Consiglio di Cooperazione del Golfo, è in una situazione analoga, ma con parti contendenti invertite, poiché, a differenza della Siria, la rivolta è condotta dagli sciiti contro i vertici di potere sunniti. Al-Assad, alauita, durante la propria presidenza, ha accentuato la caratterizzazione del Paese in senso specificamente anti-sunnita. Fra tali dinamiche – qui trattate rapidamente e in modo incompleto – l’Iran sta tentando di rompere l’accerchiamento saudita-qatariota: l’amicizia con l’Egitto è una possibilità che Ahmadinejad non vuole escludere.

Tuttavia, Morsi è consapevole che avvicinarsi a Teheran causerebbe sia la compromissione del rapporto con USA e Israele, sia l’attenuamento dei flussi economici da Rihad e, più in generale, dai Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Non a caso, in luglio, il Presidente ha visitato l’Arabia Saudita, concordando un piano per il reintegro delle riserve valutarie egiziane. Pertanto, nonostante la propaganda iraniana, il tentativo di Ahmadinejad non è riuscito. Morsi non ha concesso spazio all’ambiguità, lasciando intendere che un eventuale avvicinamento tra Iran ed Egitto è precluso dal disaccordo sulla Siria, ossia dalla crisi internazionale che rappresenta al meglio la disposizione degli schieramenti sulle scacchiere. La denuncia di Damasco non è soltanto morale, ma ha un significato paradigmatico: rebus sic stantibus, l’Egitto, per il momento, sceglie, se non proprio gli Stati Uniti e Israele, almeno l’Arabia Saudita, il Qatar e, per traslato, la Turchia. In questo senso, le parole di Mahmoud Ghozlan, portavoce della Fratellanza Musulmana, sono lampanti: «Noi non vediamo l’ora di rafforzare la cooperazione con l’Iran, ma con il suo attuale atteggiamento non è possibile. Il sangue siriano non è insignificante».

Beniamino Franceschini
Fuori l’Iran, dentro l’Arabia Saudita: la scelta geopolitica dell’Egitto di Morsi.

La versione originale dell’articolo può essere letta qui: Fuori l’Iran, dentro l’Arabia Saudita: la scelta geopolitica dell’Egitto di Morsi.

Un’ampia sintesi del discorso di Morsi alla conferenza dei Paesi non-allineati: Selected Excerpts of Morsi’s Speech, su “The New York Times”, 30/08/2012.



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