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FUORI STRADA: Intervista a Giulio Milani, editore e editor di Transeuropa

Creato il 05 luglio 2012 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

transeuropaFUORI STRADA - Rubrica di approfondimento della piccola e media editoria “extra-capitolina”.

Transeuropa – Massa

La “nuova” Transeuropa raccoglie l’eredità di una casa editrice che ha avuto un ruolo molto importante nella storia dell’editoria italiana. Ci può raccontare come è arrivato alla guida di questa impresa e in che modo la casa editrice si riallaccia al lavoro precedente?
Sono partito col sistema più democratico e trasparente che c’è: ho mandato per posta di superficie un racconto alla casa editrice Transeuropa agli inizi degli anni Novanta, poco più che ventenne. Giulio Mozzi prima e Silvia Ballestra poi mi telefonarono per dirmi che ero stato selezionato per un nuovo progetto antologico di narratori esordienti sotto i 25 anni, che riprendeva il format delle antologie “Under 25”di Pier Vittorio Tondelli, che nel frattempo era morto (1991). Passò del tempo, e nel ‘96 uscì questa raccolta dal titolo Coda. Dentro c’erano anche altri esordienti che poi hanno fatto un loro percorso interessante come Marco Mancassola, Davide Bregola, Nicola Montenz.

Io però ero l’unico di questo gruppo che s’interessasse anche al lavoro dei “colleghi”. Mi piaceva ascoltare la lettura ad alta voce dei testi che gli autori facevano con Massimo Canalini, uno dei tre fondatori di Transeuropa e all’epoca editor per la narrativa.
Verso la fine degli anni Novanta, proprio quando uscì il mio romanzo d’esordio, la casa editrice entrò nella fase più acuta della sua crisi. Io rimasi in buoni rapporti con Canalini, che nel frattempo mi fece da agente letterario per il passaggio a Rizzoli prima e a Dalai poi, e nel 2003 accettai il suo invito a rifondare lo storico marchio.
Nel 2004 pubblicammo gli esiti di una sconcertante indagine sulla biografia di Pier Vittorio Tondelli, nonostante il mio parere contrario (e Andrea Demarchi mi è testimone): la casa editrice ebbe la peggiore rassegna stampa della sua storia, e l’80% di rese. Poiché ero l’unico di tre soci (il terzo, oltre a Massimo Canalini, era lo scrittore marradese Omar Cerchierini) ad aver versato la propria quota, chiesi agli altri di rientrare per far fronte a 30mila euro di debiti. Non lo fecero.
Sicché nel giugno 2005 presi il coraggio a due mani e trasferii gli impianti a Massa, mia città d’origine. Avevo 30mila euro di debiti e non avevo una sede, lavoravo i libri dal tinello di casa: chi mi avesse fatto un oroscopo in quella circostanza mi avrebbe dato per morto.
Invece riuscii a risanare i debiti grazie a un convegno su Girard tenuto a Falconara al principio del 2006, e grazie al libro che ne scaturì subito dopo: Verità o fede debole? di René Girard e Gianni Vattimo, di cui vendetti 4.000 copie in un anno e i diritti di traduzione in 15 paesi nel corso degli anni successivi. Un miracolo.

Oggi Transeuropa ha esteso il suo campo di interesse alla saggistica, e in particolare c’è un’intera collana dedicata alle opere di René Girard. In che modo il pensiero di Girard influenza il suo mestiere editoriale e come si inserisce nel progetto Transeuropa?
L’attenzione per il pensiero di Girard si mostra in vari modi. A parte aver dedicato una collana ai suoi studi e agli autori della sua scuola, nel 2007 abbiamo chiesto agli scrittori che conoscevamo (tra i quali l’esordiente Giorgio Vasta, oltre a Helena Janecek, Christian Raimo, Valerio Evangelisti, Gianni Biondillo, Tommaso Ottonieri e altri ancora) di inviarci un racconto ispirato alle teorie girardiane, e ne è nata l’inaspettata antologia I persecutori: una specie di manifesto della nuova collana di narratori varata di lì a qualche mese con gli esordi di Fabio Genovesi, Giuseppe Catozzella, Andrea Tarabbia, Demetrio Paolin, Fabio Guarnaccia, Marco Mantello. Ognuno di questi autori è stato selezionato anche in base al particolare contesto “vittimario”, in termini girardiani, messo in scena nelle loro opere, e alla capacità dei narratori di evidenziarne le dinamiche mimetiche. Penso che in futuro quest’attività di “percolazione” della teoria girardiana nell’ambiente letterario giovanile ci verrà riconosciuta.

Solo di recente la collana “Narratori delle riserve” – da lei diretta – ha aperto le porte alla narrativa straniera: da dove viene questa decisione? Che cosa hanno in comune i tre testi stranieri pubblicati finora (Madeleine dorme di Sarah Shun-Lien Bynum, Le assetate di Bernard Quiriny e Fuga in blu di Jakuta Alikavazovic) con i precedenti titoli italiani?
I criteri selettivi della straniera sono gli stessi che ho indicato sopra per gli italiani, guardo soprattutto all’attenzione degli autori verso determinati contesti e determinate dinamiche umane. Da questo particolare punto di vista «tutto il mondo è paese», e non ho grosse difficoltà a muovere l’indagine sul piano internazionale. La bussola è sempre la stessa.

Ci può anticipare qualcosa sulle uscite dei prossimi mesi?
Dopo le poesie del premio Nobel Herta Muller pubblicate in maggio in Essere o non essere Ion, a luglio – in occasione del cinquantenario dalla scomparsa – pubblicheremo una raccolta di poesie inedite di Faulkner, Poesie del Mississippi. Nello stesso mese lanceremo il polacco Jacek Dukaj, esponente della nuova fantascienza d’autore europea, erede di Stanislaw Lem e di Philip Dick. A settembre non ci faremo mancare l’ormai annuale appuntamento con le provazioni di Slavoj Zizek contenute nel libro San Paolo Reloaded, mentre pubblicheremo l’unico esordiente italiano di quest’anno, il fuoriclasse Riccardo Romagnoli autore de Il diciottesimo compleanno. Chiuderemo quindi l’anno con il pamphlet La pillola del giorno prima di Marco Malvaldi, libro destinato a lanciare il noto autore di gialli Sellerio in autorevole divulgatore scientifico.

Quante persone lavorano da Transeuropa e com’è organizzato il lavoro?
Attualmente siamo in sette, due redattori, il grafico, il direttore commerciale, l’ufficio stampa, il responsabile librerie e il sottoscritto. Più i collaboratori esterni. La nostra casa editrice è soprattutto un “nodo di rete” fatto dell’aiuto e delle indicazioni di molte persone che hanno a cuore il nostro lavoro e alle volte ci danno una mano anche in modo gratuito.

Sul sito di Transeuropa lei dichiara che non solo le «buone pratiche editoriali sono possibili come forma di investimento culturale, ma possono produrre valori economici positivi». La vostra linea editoriale è piuttosto coraggiosa e, nonostante ciò, resistete nel mercato. Questo significa davvero che non è necessario abbassare il livello per restare a galla dignitosamente? Permettersi di fare un’editoria di qualità non comporta tagli o sacrifici di altro genere?
L’editoria di qualità è minacciata da ogni lato, e ancora di più in un momento di crisi complessiva del sistema distributivo come quello che stiamo vivendo. Resistere alla concorrenza al ribasso sul prezzo dei libri effettuata dai grandi editori e dalla grande distribuzione organizzata – due soggetti spesso coincidenti in un regime di oligopolio – implica una compressione dei costi e dunque dei redditi di tutti i soggetti implicati nella filiera del libro. È inutile poi che i grossi gruppi si difendano dicendo che i propri dipendenti sono tutt’altro che sottopagati, perché magari costringono la concorrenza a farlo. Un ulteriore peggioramento della situazione si avrà (e si sta già avendo) con il passaggio dal cartaceo al digitale: molti posti di lavoro occupati da persone appassionate e motivate scompariranno.

In qualità di editor, come vede il lavoro sul testo? Crede che sia più utile lavorare di pari passo con la stesura del libro o a posteriori? Crede nel dialogo maieutico tra editor e scrittore?
Il lavoro dell’editor è essenziale. Se una casa editrice non è dotata di un editor, stiamo parlando di una tipografia. Qualunque casa editrice che tenga alla qualità del proprio lavoro deve avere un editor capace di “portare a nitore” il dettato di un testo letterario. Specie quando il lavoro riguarda gli esordienti. Qui il lavoro sul testa diventa anche una specie di “scuola”, o di apprendistato, di cui l’autore si avvantaggia. Poi ci sono editor ed editor. Io faccio bio-editing, non sono favorevole al doping anche se in passato l’ho praticato. Per me è l’opera che deve parlare, mi ispiro alle teorie di Luigi Pareyson sull’arte.

Lei proviene da una tradizione di editor e intellettuali eccellenti come Massimo Canalini, Pier Vittorio Tondelli, Aldo Tagliaferri. Quali insegnamenti, quali “segreti” le hanno tramandato? Si può  insegnare il mestiere dell’editor? Lei cosa consiglierebbe a un giovane che desidera fare questo lavoro?
Ho avuto un “cattivo maestro” come Canalini, teorico dell’opera d’arte collettiva (ovvero dell’opera d’arte dettata da lui), che mi ha insegnato molte cose (meglio: a cui ho carpito molti segreti). Lui aveva imparato il mestiere da Tondelli, che invece lo aveva appreso da Tagliaferri.

Il mestiere di editor si può insegnare, certo, poi però bisogna vedere come lo si interpreta. Stiamo parlando di arte e artigianato, non solo di scienza.
A chi vorrebbe fare l’editor consiglio di “imparare il lavoro a bottega”. Che significa fare stage formativi in case editrici, meglio se piccole e combattive, o seguire qualche corso o workshop di editor affermati. Non solo i nostri corsi, dunque, ma anche quelli tenuti da Oblique o minimum fax per rimanere in area romana.

Da lettore, che cosa ama e che cosa non sopporta?
Non mi piacciono i romanzi di genere. Amo invece la narrativa “bianca”, ovvero quella esistenziale meglio se apocalittica. Per fare un nome, ultimamente ho molto apprezzato Chronic City di Jonathan Lethem.

Lei fa parte del movimento TQ. Dopo i primi mesi in cui si è fatto gran parlare di questo movimento, ultimamente tutto sembra tacere. Questo potrebbe essere un buon segno, nel senso che dalle parole si è passati ai fatti. Lei come vede lo sviluppo di TQ e qual è il suo contributo concreto in qualità di editore e di intellettuale?
In verità ci sono in cantiere parecchie iniziative. Continua il lavoro di stesura dei manifesti, presto vedrà la luce quello sulla scuola. Credo poi che durante l’estate metteremo a punto il gruppo di lavoro che si occuperà di costituire il primo “sistema di garanzia partecipativa” per la tutela della bibliodiversità. Con TQ, ISBF e COOP, potremmo essere i primi a lanciare, in Italia e non solo, lo scaffale della
bio-editoria. Al primo posto, la questione della qualità letteraria: come difenderla, come diffonderla, come motivarla.

Ha fondato l’agenzia letteraria Inaudita. Perché affiancare alla casa editrice anche un’agenzia letteraria? Quali sono stati finora i vostri successi come agenzia?
Abbiamo fondato l’agenzia con lo scopo di non farci “soffiare” dai grandi editori tutti gli autori che scoprivamo, dunque per non farci “sfruttare”. Il modello è la ALI fondata da Sellerio. I riscontri sono positivi, ma non posso dire nulla sulle trattative in corso con altri editori.

Tra i suoi progetti c’è Isbf (Internet Slow Book Farm) una libreria online che intende offrire letture di qualità e «funzionare da bussola nel mare magnum delle novità librarie italiane». Com’è nato il progetto? Chi garantisce la qualità? Perché i lettori dovrebbero fidarsi proprio di voi?
ISBF è nata subito dopo la comparsa dei 200 “grandi lettori” delle Classifiche di Qualità di Pordenonelegge con lo scopo di raccogliere in una vetrina virtuale il meglio della piccola e media editoria indipendente del nostro paese. Gli editori ci venivano segnalati dalle Classifiche, noi abbiamo aggiunto come criterio selettivo quello di non praticare l’editoria a pagamento (specie per quanto riguarda la pubblicazione di narrativa). Dunque si tratta di una qualità “pattizia”, che nasce all’interno di un “gruppo di pari” – poeti, scrittori, editori, giornalisti, critici – con lo scopo di indicare valori differenti rispetto al mero criterio del venduto. Grazie a ISBF e alle Classifiche, ho poi conosciuto il responsabile delle librerie COOP Fabrizio Lombardo, e con lui dal 1° luglio daremo vita al primo
scaffale della bibliodiversità” .

Siamo giunti al consueto appuntamento con il Premio Strega. Ha ancora senso un premio come lo Strega? Cosa pensa dei premi letterari in generale? A chi sono utili: autori, case editrici o lettori?
I premi sono utili soprattutto agli autori e agli editori, che possono trarne beneficio in termini di vendite e/o di visibilità. Ci sono premi più autorevoli, nel senso di trasparenti e ben fondati, e altri meno. Ovvio che i lettori possono trarre più vantaggio dai primi che dai secondi, in termini di orientamento all’acquisto e alla lettura. Abbiamo partecipato allo Strega anche quest’anno, per la seconda volta. L’anno scorso trovammo due presentatori (Scarpa e Fois) per La calligrafia e l’arte della guerra di Andrea Tarabbia, ma non riuscimmo ad accedere alla selezione. Quest’anno, invece, ci siamo riusciti con La rabbia di Marco Mantello. Ho l’impressione che il premio sia presidiato in modo ineludibile da i soliti gruppi editoriali. Si vede qualche spiraglio, certo, ma è poca cosa. Meglio sarebbe istituire un nuovo premio letterario nazionale. È quanto si sta pensando di fare anche con TQ.


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