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FUORI TEMPO: Luna di Lenni – Emanuele Berardi

Creato il 10 luglio 2012 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

Luna di LenniUn aggiornamento della rubrica FUORI TEMPO, dedicata alle recensioni di libri non usciti di recente.

Il libro di esordio di Emanuele Berardi uscito nel 2011 con Round Robin.

Recensione di Emanuela D’Alessio

Storia affollata e rumorosa, arrabbiata e romantica, dal sapore alcolico e dai colori acidi, quella che Lenni, protagonista e voce narrante del romanzo d’esordio di Emanuele Berardi, decide di raccontare, accompagnandoci tra le strade di una Roma periferica, un po’ emarginata e degradata, sprofondata nelle tonalità grigie del cemento che avanza e restringe gli orizzonti, sorvegliata da una luna immensa e incombente, «una Luna fusa come gli orologi molli di Dalì», immobile e muta.
È la Luna (con la l maiuscola), infatti, tra i protagonisti principali della storia,: è a lei che Lenni rivolge i suoi pensieri, i suoi dubbi, sempre in cerca di quel conforto che solo una madre potrebbe offrire quando l’angoscia si fa troppo densa. Perché Lenni è ossessionato dal disastro di Chernobyl, dalle immagini che da bambino ha visto in televisione, dalla nuvola radioattiva che credeva sarebbe arrivata da un momento all’altro sulla sua testa. Passata la paura del bambino rimane il vezzo dell’adolescente di osservare tutto secondo un’altra prospettiva «A volerle vedere bene le cose e tolte tutte le nubi, sembrava esserci dell’altro oltre i muri, le strade, i marciapiedi, i palazzi. Doveva esserci una precisa organizzazione esistenziale dietro quei materiali grezzi, rifiniti, eleganti, economici o tirati  a lucido».
Lenni, studente di psicologia ma imbrigliato da collettivi studenteschi, guerriglia urbana, pulsioni di ribellione anarchica, elucubrazioni esistenziali e amori irrisolti, elabora la sua ipotesi “Gaia”, quella che considera l’intero pianeta come un solo superorganismo. Per Lenni Gaia poteva essere un’intera città come Roma, ma anche un solo quartiere o soltanto un palazzo. «Un palazzo con tutta la complessità del superorganismo naturalmente, con i suoi inquilini, le strutture inerti di cemento e le reti di cavi elettrici e tubature in cui fa scorrere i propri fluidi vitali».
E con questa idea per la testa Lenni si incammina nella vita, con una madre perennemente preoccupata, un padre che non ha mai conosciuto, il fratello Claudio con il mito degli anni di piombo, il  cane Cipo, un bastardino un po’ pazzo e anarchico, e gli amici di sempre: Mahatma, l’intellettuale del gruppo con la passione per Svevo e Pirandello e le tasche del cappotto sfondate dai libri; Luchino, che era andato a Parigi in cerca di qualcosa che non ha trovato; Stefano, Zack, Illic, e poi l’ex sindacalista Busceni, un cinquantenne impiegato del municipio, e Pippo, quarantenne punk del locale Doctor Vicious, «uno che aveva deciso di alzare il volume per non sentire il vento in caduta libera».
Tra le strade sporche, i muretti, gli alloggi popolari di Tiburtino III, Casilino Ventitré e Centocelle, affollati da un’umanità chiassosa e variopinta, seguiamo il viaggio interiore e collettivo di una generazione che attraversa gli anni Novanta, senza certezze e ideali, rincorrendo l’emozione della rivoluzione che si esaurisce sotto i colpi di manganelli e sampietrini, in serate alcoliche e sgangherate al ritmo di quella musica punk che aveva reso celebri gli anni Ottanta, in discussioni sterili e sconclusionate, dove «si litigava per amicizia e per noia».
Con scrittura fluida e ritmo costante Emanuele Berardi costruisce una storia semplice, ironica e dolente, intorno a questioni complicate come la sofferenza di chi deve imparare a crescere sotto la minaccia di un mondo malato e deve conquistarsi un futuro senza orizzonti. Una storia urbana piena di voci (forse troppe) con una virata improvvisa ma temporanea (forse l’unico cedimento a certi velleitarismi ideologici) verso le campagne bolognesi  «dove il cielo è pulito e il sole radioso, un posto ancora sano, senza i Ramones, i Misfits e le ramificazioni di calcestruzzo».
Lenni e i suoi amici si affannano, si arrabbiano, si impegnano, si ubriacano, si divertono, si innamorano, si perdono e si ritrovano, senza riuscire a sciogliere il nodo di quella sofferenza sottopelle e persistente che consuma il tempo e imprigiona le speranze. Nemmeno l’amore riesce a vincere, perché Matilda, la  tranquilla e studiosa fidanzata di Lenni, non parla; perché Carlotta, quella che Lenni avrebbe voluto amare, è tornata a Bologna ed è rimasta incinta di uno che «parlava di economia».
Un esordio interessante questo di Emanuele Berardi, di cui si apprezza la ricchezza descrittiva, uno sguardo capace di cogliere con pari intensità la malinconica bellezza di una Roma minore e l’adrenalinica tensione di uno scontro di piazza. Un esordio interessante, nonostante qualche debolezza e superficialità: alcuni personaggi e filoni narrativi vengono solo abbozzati e presto dimenticati, i dialoghi risultano a volte superflui e stonati, soprattutto quando l’autore si cimenta con il dialetto (romanesco, napoletano, toscano), il finale è lievemente consolatorio ma indeterminato.
Ma forse questo è un bene, perché lasciamo Lenni (e il suo autore) con la curiosità di leggere una nuova storia.

Nota sull’autore
Emanuele Berardi è nato a Roma nel 1977. Vive e lavora in Belgio. Lauretao in Biologia fa ricerca sui mediatori molecolari nella cachessia oncologica presso il dipartimento di Cardiomiologia Traslazionale dell’Istituto di Cellule Staminali all’Università Cattolica di Lovanio. Luna di Lenni è il suo primo romanzo.

Per approfondire:
Leggi la recensione su Dazebao


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