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futuro

Creato il 14 novembre 2013 da Gaia

Domani parto, sciopero dei treni permettendo, per una settimana, quindi non garantisco la mia presenza sul blog. Stavo riflettendo, prima, su cosa scrivere prima di andare via. Avevo l’idea di scrivere un lungo post sul consumo consapevole, e in particolare sulla necessità di comprare vestiti usati. Non c’è nessun bisogno, volevo dirvi, di consumare acqua, pesticidi, terra, energia, per produrre fibre tessili, quando ci sono ancora un sacco di capi belli e in buono stato che possiamo comprare a poco prezzo e indossare a lungo. I vestiti usati si trovano ai mercatini, o ai pochi negozi di questo genere che ci sono anche in città come Udine (o Pordenone, almeno anni fa). La mia unica eccezione a questo principio, oltre ai vestiti che faccio io, sono calze e biancheria (per cui volevo consigliarvi due ditte più o meno biologiche e solidali che magari hanno bisogno di un po’ di pubblicità gratuita).

Poi mi sono immersa nella mia rassegna stampa quotidiana, molto personalizzata e di nicchia, e quindi libera da notizie inutili o poco importanti, e ho un po’ allargato la visuale. Non mi andava più di scrivere di consumo consapevole. Siamo fottuti. Pare che lo siamo veramente. Abbiamo distrutto il nostro bellissimo pianeta, terra e mare, e probabilmente anche le nostre speranze di sopravvivenza come specie. In un paio di secoli abbiamo fatto danni che dureranno decine di migliaia di anni. Chi si impegna per la loro soluzione non vivrà abbastanza per vedere il minimo risultato – contrastando anche tutto il meccanismo premiale a cui secoli di ottimismo borghese aveva abituato molti di noi.

Come osserva il soldato scrittore in questa sua riflessione, c’è una grande liberazione nell’accettare il fatto che dobbiamo morire. Questo vale per gli individui come per le collettività. La nostra civiltà è spacciata. Forse ce ne sarà un’altra, diversa, forse più niente.

Qual è la tragedia dell’Italia di oggi, e non solo? Qual è la fonte unica di sterili proteste e infinite lamentele? La convinzione collettiva che le cose possano tornare come prima – e che se non lo fanno, è colpa di qualcuno. I giovani precari, i pensionati che si preoccupano per loro, i padri e le madri di famiglia, e tutti i loro rappresentanti nei media, nei sindacati, nelle istituzioni, hanno una sola ossessione: la ripresa dell’economia. Quindi il guadagno, il posto di lavoro. Pochissimi accettano il fatto che non si torna al tipo di benessere degli ultimi decenni, che bisogna trovare nuove strade. Quasi nessuno capisce che questo mondo nuovo potrebbe essere migliore.

Cosa fare? Il primo autore che ho linkato suggerisce di essere umili, abbandonare l’idea di poter vivere come siamo abituati, e prepararsi per il futuro. Naomi Klein parla, con il suo solito ragionevole estremismo, di ribellione, presentandola come una necessità evidenziata dalla scienza, non dalle preferenze ideologiche di ognuno.

La mia mente è affollatissima di riflessioni scatenate da questi due articoli (mi scuso se non ne fornisco una versione in italiano). Alcune di queste le tengo per i miei romanzi, o per i saggi che mi piacerebbe scrivere in futuro – hanno bisogno di spazio e di tempo. Altre mi aiutano a sopportare alcuni dei sacrifici legati alle mie scelte di vita che racconto in questo blog – amici e parenti che si arrabbiano perché non uso la macchina al punto di togliermi temporaneamente il saluto; difficoltà economiche, accuse di fanatismo o addirittura di razzismo, rapporti frantumati con la sinistra cittadina e tesi con radicalismi invece troppo distanti dai miei – e legati al secolo scorso, in cui l’emergenza ambientale iniziava appena ad emergere e sembravano altre le priorità.

Spero leggiate, se l’inglese non è troppo pesante. Meritano.


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