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Garofano Rosso

Creato il 13 febbraio 2012 da Robydick

Garofano Rosso1976, Luigi Faccini.
Ispirato dal famoso romanzo di Elio Vittorini, questo film è una raccolta di "primizie": "Il garofano rosso" è il primo romanzo del grande scrittore siracusano, pubblicato a puntate sulla rivista Solaria tra il 1933 e il '34 anche se uscì in forma di volume, e senza censure, solo nel 1948; primo film di Luigi Faccini destinato alle sale; esordio come attore di Miguel Bosè; primo film italiano con una colonna sonora interamente rock (progressive), curata dai Banco del Mutuo Soccorso e uscita in album omonimo. C'è più di un motivo d'interesse...
Il plot lo prendo dall'ottimo sito di Marina Piperno e Luigi Faccini, raccontato dallo stesso regista: "Siracusa, 1924. Storia di una educazione, non solo sentimentale, il film racconta la vicenda di Alessio Mainardi, uno studente che viene dall’interno della Sicilia per frequentare il liceo. Entra in contatto con i giovani fascisti che si ribellano, confusamente, ai valori e alle gerarchie borghesi. Si innamora di una compagna di scuola, Giovanna, dalla quale riceve in pegno un garofano rosso, simbolo d’amore e filo conduttore della storia. Ma la ragazza scompare. Alessio ostenta quel garofano. Gli studenti fascisti lo irridono. Di uno di loro, Tarquinio, subisce l’influsso, fino ad essere coinvolto nelle violenze contro chi protesta per l’uccisione di Matteotti. Dopo un soggiorno a casa, in campagna, e l’incontro con la famiglia, soprattutto la vicinanza del mondo contadino e della fornace di cui è proprietario il padre, un ex-socialista, le idee di Alessio evolvono. Tornato in città, trova nuovi ospiti nella pensione, giovani che fanno intuire una cellula comunista in formazione e che sembrano volerlo attrarre nel loro gruppo. Alessio varca per la prima volta la soglia di un bordello e incontra la maliosa Zobeida, della quale Tarquinio aveva favoleggiato. È la sua iniziazione sessuale. Alessio ormai sa che non rivedrà più Giovanna. Tarquinio gliel’ha sottratta. E sa che non avrà più contatti con i vecchi amici fascisti. La pistola che, nel finale, Tarquinio gli porge, verrà rifiutata. La raccoglieranno i giovani comunisti che la divideranno tra di loro, quale pegno di una futura lotta contro il fascismo".
Faccini toglie al titolo l'articolo e sottolinea la non totale fedeltà al romanzo. A me non è parso poi così distante, il film, dall'opera letteraria, anche se l'ho letto troppo tempo fa per giudicare con precisa cognizione. Gli elementi ci sono tutti e rappresentati con diversi stili, adeguando i diversi contesti della storia. L'insieme dipinge un quadro quasi completo della Sicilia di quegli anni. E' lo stesso Faccini, che in Vittorini ha uno dei suoi scrittori preferiti, che spiega come questo non era esattamente il film che voleva fare: "Non doveva essere Garofano rosso la mia carta d’identità. Elio Vittorini, certamente. Ma un film tratto da Le donne di Messina. Nella struttura doppia di quel libro c’era una storia che ci toccava ancora da vicino. Quella dei reduci e sradicati che, a guerra finita, tornavano nei loro paesi, con mezzi di fortuna [...] I dirigenti dell’Italnoleggio Cinematografico mi dissero che Vittorini era autore bene accetto, ma che Le donne di Messina era una storia «ancora troppo a caldo, troppo politica». Si trattava di una censura preventiva, uno sbarramento tassativo. Fu allora che la mia scelta cadde su Il garofano rosso. Datato storicamente, ma non estraneo ai miei interessi storiografici. Non riuscii ad amare quel libro del mio scrittore preferito. Furono gli echi di Flaubert e di Alain Fournier che mi attrassero. Nella sceneggiatura misi i “tradimenti” che mi venivano chiesti da un misterioso ‘Comitato Vittorini’. Fu un’esperienza tremenda. Inseguire un transfert per ucciderlo continuamente. Fu il Vittorini di Conversazione in Sicilia ad aiutarmi."
Non ho provato lo stesso entusiasmo come per il successivo "Nella città perduta di Sarzana". Quel non poter fare il film desiderato s'è fatto sentire. L'andamento risulta un po' frammentato e forse non poteva essere diversamente. Lo stesso Vittorini non era entusiasta del suo libro, ad anni di distanza e per motivi analoghi. Gli eventi si succedono con un sapore "episodico" lasciando allo spettatore la chiusura del cerchio, il riannodare le trame sciolte, che non è cosa complessa. Può essere anche una scelta, non saprei. Non si può nemmeno pretendere che il film risolva il romanzo.
E' una storia incentrata su un rampollo d'alta borghesia arricchita e ne vuole ritrarre il duplice aspetto delle scelte politiche e dei primi amori, sia romantici che sessuali, questi ultimi essendo in qualche modo quelli che lo transiteranno definitivamente nel cinismo degli adulti. Nel rifiuto della pistola c'è una speranza in Alessio: non ha completamente abbandonato i suoi ideali. Questi "ideali" sono la cosa che personalmente, nei contenuti, ho trovato interessante. In quei giovani fascisti, come nei loro antagonisti socialisti e comunisti che pure sono presenti nel liceo frequentato, c'è una speranza di cambiamento, una forma di ribellione. Alessio appare in bilico, potrebbe stare in entrambi i gruppi e ottenere la stessa struttura culturale e morale che cerca di formare, per fronteggiare suo padre con cui ha pacati ma tesi diverbi. Devo mio malgrado dare atto a Mussolini di aver saputo - in tante e diversissime realtà italiane - far leva sulle aspettative di una parte significativa delle persone. S'intende: il mio non è certo un atto di stima. Mi limito a riscontrare oggettivamente che il fascismo seppe essere polimorfico e nonostante questo credibile a una larga fetta d'italiani. Sono relativamente poche le zone d'Italia dove si fece resistenza alla sua ascesa al potere (una è proprio la citata Sarzana) e dove le camicie nere dovettero usare violenza, bisogna ammetterlo, questo perlomeno fino al 28 Ottobre 1922.
Eccezionale, decisamente fuori dal comune nel nostro panorama, la qualità e la cura di costumi e scenografie, la regia che esprime padronanza del mezzo e del colore in diverse scene, le musiche originali che non soverchiano mai la pellicola e spesso accompagnano sommesse.
E' bellissima la Siracusa che si ammira, e da molte prospettive. La sola città che ho mai visitato della Sicilia appare nei suoi angoli storici più belli ed è ancora un luogo dove si vive dentro casa. Ogni apparizione pubblica è pubblica, densa di significati e soggetta alle interpretazioni di tutti, dei pochi per strada e nei caffè come dei molti dietro le serrande. I gesti all'esterno vanno dosati con cura. Ogni siracusano, le donne soprattutto, recitano delle parti assegnate. Tranne quelli che lavorano, come gli operai della fornace, eppure anche lì le parole si san pesare, è una cultura radicata. L'operaio risponderà ad Alessio cioè al figlio del padrone, che gli chiede se hanno condizioni di vita dignitose, dicendo che finché non patiranno la fame i padroni dagli operai non hanno da temere. Chi ha orecchie per intendere intenda! Bello il gesto della contadina che dona un frutto ad Alessio in treno, solo sorrisi e sguardi senza scambiarsi una parola e a che serve parlare?
Tutta la spavalda gagliardia possibile sulla carrellata che ritrae le gambe sincrone dei giovani fascisti decisi a fronteggiare la manifestazione contro il sequestro/omicidio di Giacomo Matteotti. Un momento di grande effetto per anticipare una scena forte, quando le forze dell'ordine con l'appoggio dei fascisti attaccano i manifestanti. E' anche una delle rare occasioni in cui la musica irrompe forte e sorprende quanto il rock dei Banco sia adeguato. Da cineteca.
Fascinoso il suggestivo e lungo vagare di Alessio nel bordello "liberty" d'alto bordo, dove opera l'esotica Zobeida (Elsa Martinelli, d'una bellezza fatale, azzimata alla Marlene Dietrich), colori caldi in un "fumoso fumè", sigarette che ardono lente come i movimenti di donne e avventori. Erotismo alla tedesca? No, è il lato impenetrabile della Sicilia nascosta agli occhi dei più, terra di contrasti accesi, e varcare quella soglia è come entrare in un mondo da mille e una notte. Da encomio la fotografia curata da Arturo Zavattini, figlio del notissimo Cesare Zavattini, uno dei più importanti intellettuali italiani che molto ha dato al Cinema.
Non mi ha fatto gridare come Alain Delon ne "Il Gattopardo", ma devo dire Bravo a Miguel Bosè (all'anagrafe Luis Miguel Luchino González Borloni, suo padrino proprio Luchino Visconti). Appena ventenne s'è mosso bene anche in scene di nudo certo non facili. Altissimo, col suo biancore e i lineamenti aggraziati al femmineo è stata una scelta curiosa per quel ruolo ché di certo non fa pensare allo stereotipo del siciliano del primo novecento. Ma c'è sempre la scusa dell'invasione normanna...
Film che merita decisamente la visione.
Robydick
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