Magazine Diario personale

Gecchino

Da Albix

GecchinoDi quell’estate del 1969 ricordo un mangianastri sulla spiaggia di Santa Margherita di Pula che suonava, tra le altre canzoni dell’epoca, “Una storia d’amore” scritta da Del Prete-Beretta ma portata al successo da Adriano Celentano.

A Santa Margherita eravamo ospiti di un imprenditore milanese che aveva un ingrosso di abbigliamento avviatissimo in città, un certo sig. Gariboldi (se la memoria non m’inganna); un signore cordiale ma di poche parole che se ne stava tutto il santo in uno sdraio, servito e riverito, a fumare le sue  sigarette profumate extra lusso “L&M”,  sorseggiando bibite fresche.

Le bibite gliele serviva una cameriera, di cui non ricordo il nome, che era fidanzata con il migliore amico di mio fratello maggiore; si chiamava Franco, questo amico carissimo di mio fratello, ma in paese tutti lo chiamavano “Gecchino”.

Franco era un tipo molto alto e secco, vestito sempre di nero e con un paio di occhiali, pure dalla montatura nera e  dalle lenti molto spesse, che contribuivano, con la carnagione bianchissima, il collo allungato e un pomo d’adamo assai prominente,  a conferirgli un’aria allampanata e quasi esotica (continentale, usava dirsi all’epoca). Beveva sette, otto, a volte anche dieci caffè al giorno, e dall’angolo sinistro della bocca gli pendeva eternamente una sigaretta accesa, che egli fumava con virile ostentazione.

Il soprannome “Gecchino” glielo avevano appioppato i miei compaesani, coetanei  suoi e di mio fratello, perchè dopo avere visto una delle pellicole western in voga all’epoca  (Dio perdona, io no; Sabbata; Per un pugno di dollari; e altri di cui non ricordo il titolo) Franco, recatosi al bar,  dopo l’immancabile caffè, aveva chiesto un wiskey doppio,  dichiarando  di identificarsi con Jack, un personaggio del film dai tratti e dal carattere da vero duro che, come lui, vestiva di nero e fumava in continuazione. E quando aveva  preso ad indossare un paio di stivali neri sui jeans scuri, la camicia e un elegante giubbotto di cuoio nero, assumendo le stesse pose da  duro del personaggio di quel film western, i suoi amici, implacabili come tutti gli italiani di provincia, avevano preso a chiamarlo Jack, a mo’ di sfottò; da cui fu facile poi ricavare il diminutivo di Jackino, dato il suo fisico allampanato ed asciutto.

Con mio fratello andava molto d’accordo perchè, al contrario degli altri amici, lo rispettava e lo accettava per come era. Io, frequentandolo spesso grazie a mio fratello,  ebbi modo di conoscerlo un poco: dietro quella sua aria da duro si celavano un cuore d’oro e un animo gentile; forse per questo stavano bene insieme.

Condividevano, oltre a quella per le donne,  la passione per i gialli americani (allora editi nella collana Mondadori che li pubblicava in edicola settimalamente) e per le auto sportive. Allora non erano molti, in paese,  a potersi permettere una mini cooper da 1.300 c.c. che poteva superare i 200 km orari; e loro ne possedevano una per ciascuno.

Per mio fratello fu un brutto colpo quando il suo amico “Gecchino”, in una notte di brutto tempo e scarsa visibilità, uscì fuori strada con la sua auto, finendo in un burrone e morendo sul colpo.


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