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Genealogia dell’apolitico

Creato il 03 luglio 2011 da Femminileplurale

Stiamo vivendo un momento di cambiamento profondo, che interessa la coscienza civile di molti cittadini. La gente si informa, ascolta chi parla di tematiche che vanno al di là della pura quotidianità, cominciano a pensarsi come membri di una società che ha un passato ed avrà un futuro, e per questo si mobilitano. Pensano addirittura la realtà in modo critico, propositivo. Una simile presa di coscienza ha sicuramente dei risvolti positivi, perchè il modo più efficiente per evitare le maglie stringenti in cui il tardo capitalismo contemporaneo ci vuole a tutti i costi inserire è proprio la presa d’atto che, al di là delle monadi create dal potere per poter esercitare un controllo più efficace e capillare, ci troviamo tutti a dover fare i conti con un enorme processo narcotico globale. Detto in altri termini, è notevole osservare come un numero sempre maggiore di persone comincino a capire la menzogna nascosta dietro alla voce rassicurante che, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, ripete costantemente la forumla del “va tutto bene”.  Ma vogliamo veramente indagare la genealogia di una simile presa d’atto della realtà? E siamo sicuri che si tratti di una “presa d’atto”? Genealogia dell’apolitico

Alla prima domanda possiamo rispondere, a mio parere, abbastanza facilmente. Nonostante certi toni trionfalistici infatili e vagamente inquietanti che si sono usati per descrivere questo evento, non ci vuole un genio per capire che il processo di cui parlo non è causato da una sorta di illuminazione divina che ha improvvisamente attraversato la società civile del 2011, ma è un processo naturale di reazione da parte di chi è sempre stato nutrito a sogni confezionati e a belle parole. Se il capitalismo si è da sempre autoalimentato e nascosto sotto la falsa bandiera del “tutti possono diventare ricchie famosi, basta volontà ed un pò di fortuna”, è stato d’altra parte sempre soggetto a crisi più o meno estese che, proprio a seconda della loro ampiezza, hanno obbligato sfere più o meno importanti della popolazione a fare i conti con la dura realtà dei fatti: pochi ce la fanno, e se hai la sventura di appartenere ad una di quelle categorie che vengono definite “sacrificabili”, il sogno con il quale sei stato nutrito si trasforma in un incubo di cambiali, sfratti e LIDL. Questo meccanismo porta automaticamente gli uomini alla mobilitazione e al manifestare il proprio dissenso, che come è sempre avvenuto si manifesta nelle piazze e nelle strade (se oggi la rivolta viagga sulla rete è solo una questione di mezzi, non di contenuti, come Chiara ha giustamente spiegato. Oggi si parla di “rivolta di internet”, ma a me sembra veramente ridicolo, è come parlare di “rivolta dei piccioni viaggiatori” o “rivolta delle lettere scritte a macchina”. Cari miei barbuti e strapagati editorialisti, forse alle vostre scuole di giornalismo non vi hanno mai spiegato che ogni rivolta è una rivolta per il pane e per i beni di consumo).

Ma come ho accennato prima, questo movimento della società è reazionario, non rivoluzionario. Ed è in questo campo che si trova la risposta alla seconda domanda che ho posto. La gente protesta non in nome di una società più giusta ed equa, o addirittura per un diverso sistema di gestione del potere, ma scende in piazza perchè vuole che sia ripristinato quel sogno con il quale è cresciuta, sulla quale si è alimentata. La gente vuole un nuovo boom economico, beni di consumo accessibili, belle case con affitti sostenibili. Io vedo una conferma di questo significato profondamente reazionario nel rifiuto della dicitura “di sinistra” da parte di movimenti e partiti che cavalcano il malcontento proveniente dalla crisi economica degli ultimi anni. Per questo non mi stupisce vedere Di Pietro che flirta con Berlusconi, gettando nel panico i suoi ingenui seguaci che avevano visto in lui una sorta di messìa della “critica non ideologica al potere”. Ora forse qualcuno capirà che o si sta da una parte o si sta dall’atra, e in politica queste due parti sono “destra e sinistra“. Forse Gaber si starà rivoltando nella tomba, e so bene che sotto queste due definizioni si può trovare una varietà di opinioni e idee così diverse da confondersi, ma se vogliamo creare qualcosa che sia veramente costruttivo dovremo metterci bene in testa che una “terza via” non esiste.

Genealogia dell’apolitico

Il “buon capitalismo” degli aiuti statali e del socialismo progressista dura, e la crisi attuale lo dimostra, solo finchè c’è così tanta disposizione di risorse che il potere si può permettere di dare una mano ai “meno fortunati”. Però guarda caso, appena la cinghia si stringe, sono proprio le fasce meno protette della società ad essere gentilmente liquidate, e si arriva così all’azienda lombarda che licenzia le donne perchè così possono “fare le mamme”. Come dire che si mandano i soldati in guerra affinchè, morendo, liberino posti di lavoro. Se si vuole evitare che questo accada, si dovrebbe unificare il movimento di protesta sotto l’egida di un cambiamento che sia veramente rivoluzionario, nel senso di trasformazione di un ordinamento in un nuovo ordinamento, più libero e più umano. Ma questo viene impedito dal processo di sterilizzazione politica che da sempre è in atto nei confronti della popolazione, ed alimentato dai nostri bravi politologi che, peccando infantilmente di romanticismo, si commuovono di fronte a gente che scende in piazza perchè danno per scontato che sotto le bandiere arancioni, viola, arcobaleno che si vedono sventolare, ci sia in realtà una bandiera rossa.


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