Magazine Cinema

Genova Film Festival: “Quello che resta” di Antonio Martino

Creato il 04 luglio 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Quello che resta Antonio Martino

La particolare attenzione del Genova Film Festival nei confronti della produzione documentaria italiana sta trovando conferma, anche quest’anno, nel livello qualitativamente piuttosto alto dei film in concorso. E se non mancano produzioni più ironiche, “leggere”, la parte del leone l’hanno fatta finora quei documentari che con piglio risoluto affontano temi decisamente robusti, seri, drammatici. Passando in rassegna le opere che condividono un simile approccio, Quello che resta di Antonio Martino rientra senz’altro tra i lavori che ci hanno emozionato di più.

Si può qui individuare, volendo, un’altra costante. Già negli anni passati gli organizzatori del festival ligure hanno dimostrato una certa sensibilità, nel selezionare validi resoconti filmici di quei tragici eventi, che hanno caratterizzato le guerre nell’ex Yugoslavia come anche il disastrato panorama sociale post-bellico. Quello che resta si inserisce d’autorità nell’ipotetico filone, che appare quanto mai “in fieri”, perché ancora troppe cose ci sono da raccontare su quegli anni terribili; mentre le ferite materiali e spirituali generatesi allora appaiono, specie nei luoghi che più duramente hanno subito la guerra, tutt’altro che rimarginate.  Ancora molto forte in noi è il ricordo di Mostar United, documentario di Claudia Tosi presentato a Genova nel 2009: le tracce dei combattimenti che devastarono la città bosniaca si intrecciavano lì con il ruolo del calcio, foriero ora di ulteriori divisioni e ora di una possibile speranza, da intendersi quale ricerca della coesione perduta. Sempre a Mostar è ambientato Quello che resta. Il documentario di Antonio Martino si insinua nell’immaginario relativo al conflitto bosniaco come una lama affilata, prendendo come punto di riferimento uno dei suoi simboli più potenti: lo storico ponte fatto saltare in aria dalle milizie contrapposte.

Vent’anni dopo quel tragico evento, a quasi dieci anni dalla ricostruzione del ponte, il documentarista ci riporta sul “luogo del delitto” per tastare il posto alla città ferita, attraverso il racconto di svariati testimoni. Più storie si intrecciano dando il senso di una popolazione stravolta dalla guerra. C’è chi passeggia per la città, commentando amaramente la divisione di fatto rimasta tra le due comunità (croata e musulmana, senza contare una sparuta minoranza serba) che continuano a guardarsi con diffidenza, dai rispettivi lati del fiume. Un altro punto di vista, quello di chi all’epoca era bambino, sopravvive nelle pagine di un tema scolastico. C’è chi venne costretto a rifugiarsi all’estero. E c’è chi rimase a combattere: come quell’ex militare che viene ripreso più volte, uomo dalla mente apparentemente sconvolta ed eppur così lucida nel valutare la follia del conflitto etnico, in questo quasi un “fool shakespeariano” a zonzo per Mostar. Tra la nostalgia dei propri famigliari morti e la memoria dei combattimenti cui egli stesso prese parte.

Infine c’è il ponte. Silenzioso protagonista. Nelle immagini lo vediamo morire e rivivere in più di un’occasione. Muore, orribilmente sfregiato, in quei filmati di repertorio, che rievocano in presa diretta il drammatico giorno della sua distruzione; ma poi rivive nelle scene girate oggi, tra cui quelle che rappresentano la tradizione dei tuffi, portata avanti dai baldanzosi giovani che per una manciata di euro possono di nuovo proporre, al voyeurismo degli immancabili turisti, l’emozione di un salto nella Neretva da circa venti metri. Una piccola ma apprezzata fonte di reddito, in questi anni di crisi. La ricostruzione del ponte torna quindi a essere simbolica: un emblema di quella cittadinanza ancora sofferente per i postumi del conflitto che cerca di riacquistare un’esistenza dignitosa, “normale”, restando però in balia di quegli sguardi stranieri che non seppero aiutarla nel momento dell’orrore, ma si riaffacciano ora, con una crescente e quasi morbosa curiosità.

Stefano Coccia      


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :