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Genova, la vendetta della barbarie

Creato il 08 maggio 2013 da Albertocapece

168287658-594x350Anna Lombroso per il Simplicissimus

L’alba part umet mar atra sol,

poy pas’a bigil, mira clar tenebras.

Recita un distico giunto a noi dal secolo X. Non è più latino e non è ancora lingua romanza e si traduce così: “L’alba porta sul mare oscuro il sole, poi valica il colle: guarda le tenebre si rischiarano”.

Non so se stamattina il sole ha rischiarato l’oscurità luttuosa di Genova dopo quello schianto. Le condizioni di visibilità erano  perfette nella calma sera d’anticipo d’estate. Ma la grande nave porta container, Jolly Nero, un gigante lungo 240 me, ri  sperona la torre di cemento e vetro alta 54 metri che si schianta sulla palazzina vicina, dove dorme il personale portuale.

L’incidente è per ora inspiegabile, dicono si sia bloccata la leva  che inverte  che inverte il movimento delle eliche e la Jolly nero  anziché  andare avanti,  ha continuato la sua inesorabile e inarrestabile marcia indietro fino al terribile schianto.

I morti sono 7: Daniele Fratantonio, guardia costiera; il sottufficiale della Capitaneria di porto di Genova Davide Morella;  Michele Rabazza,   del corpo piloti di Genova;   Sergio Basso”torrista”  della Rimorchiatori Riuniti; Marco De Candusso,   ex comandante del porto di Lavagna; Giuseppe Tusa, il sottocapo di seconda classe; Maurizio Potenza, 56 anni, telefonista.  Due i dispersi: Gianni Jacoviello, 35 anni, della Capitaneria di La Spezia; Francesco Cetrola, 37 anni, militare della Guardia Costiera. E si cercano altri dispersi.

Genova per noi è quella cantata dai suoi cantautori, quella dei marinai e dei camalli, delle lotte per il lavoro e degli scioperi.  Una città appartata e  schiva, dimentica che quando fu scritto quel distico che evoca l’alba del secondo millennio, presago di progresso e civiltà, Genova non si difendeva più retrocedendo  su per montagne impervie, ma affrontava i pirati audacemente, trasformava le barche fatte per la pesca e il cabotaggio in veloci galere, si armava e addestrava per guerre e scorrerie, rivaleggiando con i veneziani, assaltando i porti di Sicilia e Tunisia, attaccando i saraceni, intessendo scambi di merci, di donne e uomini, contendendo il sale alla Serenissima, e con esso l’egemonia sui mari e sui mercati del mondo vecchio e nuovo.

Erano così gli italiani delle città- stato. In secoli oscuri avevano accumulato sapienze, capacità tecniche e organizzative, avevano – forse – inventato la bussola, disegnato galere svelte e manovrabili, addestrato marinai, combattenti e liberi, audaci ed efficiente, avevano messo in mare convogli scortati per la difesa dei carichi, istituite commende e colleganze, quelle società pensate per minimizzare i rischi e incrementare i profitti,  poste le basi giuridiche di un diritto commerciale internazionale,  colonizzato domini con i traffici del doux commerce, che tanto dolce non era, punteggiato di saccheggi, repressioni e schiavitù. Anche la modernità dell’anno mille e dei secoli dopo è stata spietata come quella propagandata oggi, fatta di invasioni, guerre, occupazioni, servitù e potenza. Quella contemporanea nella quale Genova come Venezia è marginale, la penalizza come in un tragico contrappasso:  laterale   rispetto alle rotte di nuove invincibili armate, frenata dalla recessione interna, periferica rispetto alla concorrenza globale e all’innovazione tecnologica.

Colossi del mare hanno preso il posto di quelle agili galere, mostri rigidi e poco governabili e strumentazioni sofisticate si ribellano ai comandi e fanno perdere la rotta, abbattono torri e ammazzano quei marinai, trattati ora senza scrupoli, senza sicurezza, come in tempi lontani i galeotti, come in quelle epoche barbare e oscure, quando a remare erano gli schiavi, e a tirar su piramidi e a rendere belle e invidiate le città e a costruirle quelle navi e a abbattere foreste e a costruire barriere e dighe. Come avviene in tempi crudeli, nei quali la civiltà  è abbattuta dal profitto, neanche fosse una banchina, una torre, un baluardo contro al barbarie, che vince.

Sono morti 7 uomini e una città è stata ferita per via del prodotto di un gigantismo protervo, lo stesso che minaccia l’antica nemica, Venezia,  dove ogni giorno il pericolo sfiora quelle rive vulnerabili e solca quelle acque delle quali  erano state padrone.

 


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