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George R.R. Martin: A Game of Thrones, la graphic novel e le traduzioni

Creato il 21 novembre 2011 da Martinaframmartino

George R.R. Martin: A Game of Thrones, la graphic novel e le traduzioniDue puntate per volta, Sky sta trasmettendo Il trono di spade. Secondo me è una scelta sbagliata, si perde il ritmo dei climax, ma non sono io a decidere, altrimenti avrei fatto tante cose in modo diverso. Fra l’altro avrei preferito che avessero optato per una traduzione dei titolo originale del romanzo di George R.R. Martin e dell’omonima serie televisiva, da A Game of Thrones a Il gioco del trono. Sarebbe stata una scelta più corretta, maggiormente rispettosa delle intenzioni dell’autore, e secondo me migliore. Il trono di spade pone l’accento su un oggetto inanimato, realizzato con le lame delle spade dei nemici sconfitti da Aegon il conquistatore. Fa effetto, quel trono, ed è scomodo sedervicisi sopra, ma è comunque un oggetto inanimato. Il gioco del trono pone l’aspetto sul gioco, cioè sugli intrighi che motivano le azioni dei vari personaggi. Sono un titolo e un’impostazione più dinamici e incisivi ma, una volta di più, la traduzione italiana fa perdere sfumature di senso fondamentali. Come il titolo della serie, da noi tradotta come Le cronache del ghiaccio e del fuoco a partire dall’originale A Song of Ice and Fire. Cioè Un canto di ghiaccio e di fuoco.

Un canto, non una cronaca, quindi qualcosa di molto più evocativo. E l’articolo è indeterminativo, un e non il, non si tratta di una storia, di un freddo resoconto, ma di una leggenda, di un mito narrato per smuovere i sentimenti degli uomini. Anche solo da queste parole si perde molto, e si creano aspettative (o non-aspettative) sbagliate, come nel caso del commento postato su ibs il 28/10/2011 da Vale per commentare Il trono di spade. A volte leggo questi commenti per vedere che percezione hanno le persone di una determinata opera e Vale, che assegna all’opera un ottimo 4/5, scrive “Io,che non sono amante delle cronache,devo ricredermi questa volta…”

No, ribadisco, queste non sono cronache, questa è un’epopea, e le gesta narrate in queste pagine, anche se in prosa, sono più da poema che da cronaca. Un poema crudo, sanguigno, che non maschera gli orrori della guerra e i veleni del tradimento, ma che è ricco di magia (anche se all’inizio si fa un po’ fatica a vederla) e le cui atmosfere sono altamente suggestive.

Quello della traduzione non è un problema da poco. Il caso più eclatante è quello del cervo trasformato in unicorno nella versione italiana perché l’unicorno è più fantasy. Nel primo capitolo Bran e Robb Stark e Jon Snow trovano alcuni cuccioli di meta-lupo nella neve. La loro mamma è morta a causa della ferita alla gola provocatale dal corno di un animale, Un cervo in inglese, e il cervo è simbolo di Casa Baratheon, quella cui appartiene il sovrano dei Sette Regni, un unicorno in italiano, animale ormai estinto da tempo. E il meta-lupo è simbolo di casa Stark.

Tutti, tranne Ned che non crede nei presagi, vedono in questo un segno negativo, un pericolo forse mortale per Casa Stark legato in qualche modo a Casa Baratheon. L’immagine è rafforzata nei due successivi capitoli dedicati a Catelyn, quando lei associa nella sua mente l’immagine della meta-lupa morta a causa del corno di un unicorno (pardon, un cervo…) alla visita di Robert Baratheon a Grande Inverno.

Un altro problema di traduzione è legato a quello che in italiano è noto come il Primo cavaliere del re, carica che in inglese suona come the Hand of the king. Al di là del fatto che chi ricopre la carica non deve necessariamente essere un cavaliere, la traduzione fa perdere tutta la simbologia legata alla mano. Pensiamo alla collana simbolo della carica nei romanzi, o alla relativa spilla nella serie televisiva. Ma ci sono tante altre cose che non quadrano, Catelyn che ritorna a Grande Inverno alla fine della guerra contro i Targaryen quando in realtà non c’era mai stata prima e quindi in inglese va a Grande Inverno, o un cavaliere di qualche secolo prima diventato una cavaliere (cavaliera?) in traduzione. E ci sono infinite sfumature che si perdono. Tante, troppe modifiche, al punto che molti lettori italiani hanno iniziato a definire questi errori di traduzione “altierate” alterando deliberatamente il nome del traduttore, Sergio Altieri. Un ampio campionario di queste critiche si può trovare qui: http://www.labarriera.net/forum/index.php?showtopic=9200

George R.R. Martin: A Game of Thrones, la graphic novel e le traduzioni
Perché mi sono accanita a parlare di traduzioni? Perché ho appena letto A Game of Thrones N. 1, edito da Italycomics.

Martin è sempre stato un amante dei fumetti, e gli editori di fumetti sono sempre stati interessati alle sue opere. Fra l’altro hanno avuto un adattamento in forma di graphic novel il racconto Sandkings (Re della sabbia), il romanzo Fevre Dreams (Il battello del delirio) e la sceneggiatura Doorways, oltre ai primi due racconti dedicati a Dunk ed Egg, Il cavaliere errante e Spada giurata.

Visto che Italycomics ha tradotto questi ultimi due fumetti (per la verità è una casa editrice nata apposta per pubblicare Il cavaliere errante, e poi ha proseguito il suo cammino nel mondo editoriale) e che mi erano piaciuti, ho deciso di provare a leggere anche la serie tratta da A Game of Thrones, il romanzo meglio noto in Italia come Il trono di spade e Il grande inverno.

Le premesse erano positive. Lo sceneggiatore è Daniel Abraham, grande amico di Martin, scrittore (autore fra l’altro di La città dei poeti) e autore che già aveva collaborato a più riprese con George per la serie Wild Cards, per il romanzo Fuga impossibile e per alcune altre sceneggiature. Inoltre la sceneggiatura, tratta giustamente dal romanzo e non dalla serie televisiva, è approvata dallo stesso Martin, il quale in un’occasione ha fatto modificare una frase perché errata in rapporto a eventi noti per ora solo a lui.

Il primo numero di una serie che in futuro sarà racchiusa in volume unico è stato pubblicato negli Stati Uniti in settembre e in Italia in ottobre. Se siete interessati alle prime cinque pagine (in inglese) potete cliccare su questo link: http://www.dynamite.net/htmlfiles/viewProduct.html?PRO=C725130176431

Il testo è molto sintetico. È ovvio che non poteva essere lo stesso dei romanzi, visto che si tratta di due forme espressive diverse. Una comunica con le parole, l’altra prevalentemente con le immagini. E la presenza dei punti di vista sparisce, il punto di vista è esterno e impersonale, proprio come nel caso della serie televisiva. Però avrei voluto qualcosa in più.

Il prologo nel romanzo italiano è lungo dodici pagine, nella graphic novel solo sette. I tagli sono inferiori nel primo capitolo, che passa da nove pagine a otto. Si perde però davvero tanto, a partire dal rapporto che c’è fra Jon, premuroso nei confronti di Bran alla maturità del giovane Stark alla solennità di Ned. Si perdono i rapporti umani, appiattiti in un testo povero e in disegni deludenti.

George R.R. Martin: A Game of Thrones, la graphic novel e le traduzioni

Tyrion Lannister visto da Tommy Patterson

Quando avevo visto i primi schizzi realizzati da Tommy Patterson mi erano piaciuti. Qui invece trovo i disegni brutti, e non è un problema legato al fatto che io mi ero immaginata tutto in un altro modo. Non ho lo stesso problema con la serie televisiva come non l’ho avuta con Il cavaliere errante e con Spada giurata o, se è per questo, con l’adattamento di Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien. Il problema è qui, in disegni goffi e poco espressivi, in volti che sembrano sempre contratti in una smorfia e in colori, opera di Ivan Nunes, che non rendono minimamente la profondità. I volti sembrano più quelli di statue di cera che di persone reali.

Bocciate le immagini e il testo, boccio anche la traduzione.

Paolo Accolti Gil ha cercato di rimanere fedele al testo di Martin. “La nostra edizione “ ha dichiarato la casa editrice “si differenzia dai libri e dalla serie televisiva italiana per la fedeltà assoluta ai termini e ai nomi originali ideati da George Martin, senza ingerenze e “personalismi” da parte del traduttore.”

Peccato che a volte anche non fare ingerenze sia un’ingerenza. Io ho letto i dubbi del traduttore, per esempio, sul termine direwolf, già tradotto con meta-lupo. Una prima ipotesi di traduzione era stata un orribile megalupo, poi l’opzione è stata quella di usare di volta in volta il termine originale o una traduzione di senso. Ma quando mai le persone parlano così? Ned dice direwolf, Jon traduce il termine in lupo gigante, e da quel momento usano tutti il termine tradotto. Un termine, uno solo, era più che sufficiente. E anche se meta-lupo non era corretto al 100%, era comunque suggestivo, ed era il termine noto a tutti. Nella fantasy siamo abituati ai nomi inventati, se si può parlare di lame di acciaio di Valyria non vedo perché non si possa parlare di meta-lupi.

Qualche pagina più avanti si parla di Riverrun e Winterfell. Cosa? Riverrun e Winterfell? E da quando? E soprattutto, perché?

Sì, so benissimo quali nomi usa Martin, grazie. Ho letto A Dance with Dragons in inglese, quindi sono ben consapevole di quali siano i nomi corretti delle varie località. Ma in italiano io parlo di Londra, o Parigi, o della Germania. Non dico London, o Paris, o Deutschland. I nomi noti da tempo in traduzione dovrebbero rimanere tradotti. E quindi dovremmo poter leggere Delta delle Acque e Grande Inverno. Oltretutto una grossa incongruenza c’è in the Eyrie, tradotto con Nido dell’Aquila come già era avvenuto nei romanzi. E m’importa poco il fatto che in questo caso la traduzione preesistente sia corretta, tradurre solo una parte dei nomi stona. Io avrei tradotto tutti i nomi già tradotti nei romanzi, correggendo solo gli errori e non le libere interpretazioni, ma se la scelta è quella di non tradurre allora non bisogna tradurre. Così, con cambiamenti parziali fatti a saga già nota, si peggiora solo la situazione.

Un problema simile si era già verificato con la saga di Harry Potter di J.K. Rowling. Cosa tradurre e come farlo? E in presenza di una prima traduzione errata, fino a che punto è lecito correggere? Dell’argomento si era occupata Maria Cristina Calabrese in un articolo per FantasyMagazine: http://www.fantasymagazine.it/libri/14548/harry-potter-e-la-pietra-filosofale-nuova-traduzi/, mentre Ilaria Katerinov ha addirittura dedicato un saggio, Lucchetti babbani e medaglioni magici, (http://www.fantasymagazine.it/notizie/8272/lucchetti-babbani-e-medaglioni-magici/) ai problemi posti da una qualsiasi traduzione, specie se il traduttore non sa quale elemento di una saga potrà diventare importante in futuro.

Il fumetto sta vendendo bene. Italycomics ha dichiarato che il primo numero, “uscito in anteprima a Lucca Comics, ha letteralmente infranto ogni nostra più rosea previsione, vendendo almeno cinque volte più di quanto avesse fatto in passato il nostro titolo di punta, Hedge Knight, dello stesso Martin.” Buon per loro, ma io sono rimasta delusa da questo fascicoletto di sole 36 pagine costato 3,50 €, e la mia delusione non è stata minimamente scalfita dal fatto che “l’edizione originale Dynamite è stato il fumetto “indipendente” più venduto del mese scorso e anche il numero 2, appena uscito in USA è andato esaurito ed è stato subito ristampato.”

Probabilmente quando uscirà il volume unico lo comprerò, da fan sono estremamente curiosa su tutto ciò che riguarda Martin e il suo mondo, ma anche se mi sono piaciuti Il cavaliere errante e Spada giurata non mi sento certo di consigliare questo prodotto.



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COMMENTI (1)

Da web
Inviato il 22 novembre a 00:27
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Se vi interessa ho trovato un sito dove ci sono moltissimi libri e non solo

saluti

IM