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Gerontocrazia da “resettare”

Creato il 23 maggio 2012 da Fugadeitalenti

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Ha ragione Franco Morganti, quando sul Corriere della Sera del 19 maggio invitava Pierluigi Celli ad attualizzare l’invito contenuto nella nota lettera al figlio, invitandolo a restare in un’Italia “diversa”? Un’Italia che sta finalmente attuando quelle riforme chieste a gran voce da anni?

Sinceramente non lo so: mi sembra un approccio corretto, ma un po’ troppo ottimista. Che questo Governo abbia un modus operandi più concreto e “down to earth”, rispetto alle innumerevoli sfide da affrontare per riformare questo Paese è fuori discussione. E’ anche pur vero che, rispetto all’esecutivo che l’ha preceduto, anche il Governo di Paperopoli avrebbe fatto miglior figura… Questo senza nulla togliere ai meriti di Mario Monti, che all’estero ha ribaltato di 180 gradi l’immagine dell’Italia. Da zimbello del mondo a primo attore della strategia anticrisi. Neanche nei sogni più rosei potevamo immaginarcelo.

Qualcosa -dunque- si muove. Ma aspetterei a festeggiare: servono segnali un po’ più decisi. Almeno sul fronte interno.

Il primo è anagrafico: quando la Coldiretti diffonde uno studio che ci fotografa impietosamente come un Paese di vecchietti al potere, vuol dire che c’è ancora qualcosa che non va. L’età media della nostra classe dirigente è di 59 anni. Per settori, il quadro è abbastanza impietoso: Ministri 64 anni,  senatori 57, deputati 54, professori universitari 63, direttori generali P.A. 57, manager aziende quotate 53, imprese industria e commercio 59, sindacati 57, vescovi Chiesa Cattolica 67, bancari 67 (per inciso, questi ultimi sono quelli che dovrebbero fare credito ai giovani… ah ah ah!).

Un’allegra generazione di 50-60enni, che dubitiamo seriamente guardi al futuro. Questa è una generazione interamente rivolta al passato, per forma mentis portata a difendere posizioni, rendite e privilegi acquisiti. Altro che riforme e innovazione! Anche nell’anagrafe, insomma, ritroviamo i motivi del declino dell’Italia.

Suona così involontariamente comica la difesa d’ufficio di Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, classe 1949…: “I settantenni di oggi sono quelli che hanno fatto l’Italia, persone quasi completamente attive, sane, con una grande energia. Sono i giovani che devono farsi avanti“. Roma, ci è o ci fa? Lo vogliamo dire che siete voi a non dare loro spazio?

Comunque, sulla base del ragionamento di Giuseppe Roma, è giunto il momento di richiamare in servizio Garibaldi e Cavour, trovando il modo di farli resuscitare. Avendo loro fatto per primi l’Italia, chi meglio di loro può traghettarla nelle perigliose acque del Terzo Millennio Digitale? E perché non riportare in vita Giulio Cesare? Nelle parole di Giuseppe Roma, cari lettori, leggiamo l’esatto motivo del perché questo Paese abbia ancora MOLTA strada da fare prima di tornare ad essere un luogo da cui non scappare.

Caro Franco Morganti (classe 1931, ci risulta): con tutto il rispetto frenerei un po’ il suo ottimismo. Quello che indica lei è l’obiettivo verso cui puntare. Sa, questi giovani che hanno voltato le spalle all’Italia, sono ora un tantino diffidenti. Non basta qualche liberalizzazione annacquata a farli restare o rientrare. Non basta un Governo più presentabile (per quanto ancora troppo “anziano”). Non bastano promesse. Servono fatti.

Il merito? Se ne parla, ma al momento né nel pubblico, né nel privato si odono “rivoluzioni meritocratiche”. I giovani? Ancora emarginati dalle stanze dei bottoni, ci risulta. Gli ordini professionali? Ancora potenti, per quanto qualcosa abbiano dovuto cedere.

Morganti: non bastano i palliativi: serve uno tsunami culturale, che scardini quei meccanismi di privilegi che la sua generazione e quella immediatamente successiva hanno costruito, mettendo un freno a mano grosso come il Pirellone al potenziale di crescita del Paese.

Lo sa cosa sta avvenendo? Ora dall’Italia fuggono non solo i giovani, ma anche gli imprenditori: “Il Sole 24 Ore” ci informa che sono state ben 720 le imprese del Nord Est che si sono trasferite, nel 2011. Parliamo di una delle regioni più ricche del Paese, dove però -rispetto al Land tedesco del Baden Wuerttemberg- gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo sono un quarto. Quelli privati un dodicesimo…

Afferma la ricercatrice del Cnr Carolina Brandi, in un’audizione al Senato: “alla base del preoccupante dato sull’emigrazione dei giovani laureati italiani vi è tanto la ricerca di un lavoro in linea con le aspettative, quanto l’estrema difficoltà, in Italia, di utilizzare adeguatamente gli sforzi compiuti per la formazione, e pertanto di non vanificarli“.

Tutto qui: inutile scrivere trattati filosofici. Serve la volontà di attrarre i migliori, ben sapendo che rivoluzioneranno il mondo che avete costruito. Questo porterà alla perdita dei VOSTRI privilegi, in favore del BENE COMUNE.

Lo ha capito la Danimarca, dove -così mi è stato riferito in forma confidenziale- l’agenzia governativa “Work in Denmark”,  puntando sulla crisi del Sud Europa, viene periodicamente e soprattutto in Italia (ma anche in Spagna e in Grecia) per “fare la spesa” (dicono proprio così!), nel senso di rubare giovani talenti da portare a Copenhagen. I settori? Farmaceutico, chimico e ingenieristico.

Lo ha capito la Turchia, Paese giovane, che come ha scritto recentemente il “Wall Street Journal”, sta letteralmente riportando a casa migliaia e migliaia di giovani altamente qualificati – ora all’estero.

Quando lo capirà l’Italia? Quando saremo già Terzo Mondo??? Come on…!

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